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Capire lo Shobogenzo
Perché lo Shobogenzo è difficile da capire
©Windbell Publications
La reazione della maggioranza delle persone che leggono lo Shobogenzo per la prima volta è che sembra difficilissimo vedere chiaramente cosa significhi quel che c'è scritto. E' questa una reazione naturale, perché quando si legge una frase, si aspetta solitamente di poter capire immediatamente il significato di quel che si sta leggendo. La prima volta che ho avuto fra le mani una copia dello Shobogenzo, ho scoperto che non ne potevo capire niente, benché fosse scritto nella mia lingua madre. Ovviamente, leggere lo Shobogenzo in traduzione introduce un nuovo assieme di problemi in relazione colle capacità e conoscenze del traduttore, e alle similitudini di lingue.
I tentativi di delucidare i problemi che presenta lo Shobogenzo al lettore mi portano ad enunciare quattro ragioni principali.
1. Lo Shobogenzo è scritto con una struttura logica particolare, che ho chiamata "Quattro viste" o "Tre filosofie ed una Realtà." Spiego questo sistema di logica in una sezione ulteriore.
2. Maestro Dogen scriveva utilizzando parecchie frasi e citazioni dal Buddhismo cinese che sono relativamente sconosciute al profano, e che sono difficili da rendere in altre lingue. Quelle frasi compaiono nello Shobogenzo nella loro forma cinese di origine, faccendo sì che certe parti del libro siano un commento in Giapponese del secolo tredicesimo di frasi cinesi ancora più antiche. Nella versione tradotta, abbiamo il problema addizionale di rappresentare quelle frasi in una lingua-bersaglio diversissima.
3. I concetti che Maestro Dogen voleva esprimere erano profondi e sottili. Persino nella sua propria lingua gli era necessario inventare parecchie parole e frasi nuove per rendere quel che intendeva dire. Quelle parole nuove non furono in larga misura adoperate dalla lingua giapponese, e sono quindi poco familiare al nostro uso contemporaneo.
4. Maestro Dogen scrisse lo Shobogenzo allo scopo di spiegare la sua esperienza della realtà ottenuta dal suo praticare Zazen. Le sue parole sono basate sulla sua esperienza. E' normale oggi pensare che qualcosa di filosofico debba essere capito intellettualmente, in quanto esercizio intellettuale. Non abbiamo molta esperienza delle filosofie che puntano alla pratica fisica. Pensiamo che solo leggere un libro basti a capire cosa c'è scritto dentro.
Il problema delle contraddizioni
Benché questi quattro gruppi di problemi siano ostacoli seri, non sono insuperabili. Se si conosce il problema si può andare verso una soluzione, pur lentamente che sia. Ma nello Shobogenzo possiamo scoprire un problema addizionale di un ordine totalmente diverso -- il libro sembra essere, ed infatti è, zeppo di contraddizioni!
Di solito, ci pare che un libro in cui lo scrittore si contraddice sia di poco valore. Questo è largamente dovuto al fatto che la civiltà moderna è cresciuta sino ad essere vasta e potente, grazie ai milleni in cui gli esseri umani hanno sviluppato modi logici ed esatti di procedere e di controllare il loro ambiente. L'intelletto è diventato sovrano. Gli esseri umani hanno utilizzato i loro poteri di ragionamento per sviluppare tutto un campo di studi intellettuali e morali per guidare il nostro progresso attraverso la storia. E in tempi recenti, abbiamo applicato i nostri poteri di ragionamento allo studio scientifico esatto del nostro mondo, studio basato sulla credenza nel principio di causalità. Così, nel mondo di oggi, sia nel campo della filosofia che in quello della scienza, chiunque presenta delle proposizioni contraddittorie viene presto trascurato. Gli scritti che non sono logicamente consistenti vengono trascurati dagli studiosi e dagli studenti seri. Non sono accettabili per i nostri intelletti delicati..
Sembra naturale che tale criterio venga applicato persino allo Shobogenzo; l'esistenza di contraddizioni in esso dovrebbe diminuire il suo valore. Ma lo Shobogenzo è letteralmente pieno di contraddizioni. Secondo quella misura, dovremmo concludere che il libro non ha nessun valore per lo studioso. Ma è accettabile quella nostra conclusione ?
Nelle sezioni che seguono vorrei dare un'occhiata più dettagliata alla natura e al perché di quell'abbondanza di contraddizioni in un libro che è stato descritto come opera filosofica maggiore.
Esempi di contraddizioni nello Shobogenzo
Per illustrare il problema vorrei mettere in risalto contraddizioni a livelli vari all'interno dello Shobogenzo. Userò l' edizione in 95 capitoli, poiché è la prima edizione ad esser stata stampata su tavole di legno. I numeri di capitoli ivi citati riferiscono ai capitoli nell'edizione in 95 capitoli.
1. Contradizioni tra capitoli
Metterò a confronto i due capitoli (89) Shinjin Inga e (76) Dai Shugyo.
Shin significa 'profondo', e jin (da shin) significa 'credere in'. Così Shinjin Inga significa profonda credenza in causa ed effetto. Dai significa 'grande' e shugyo significa 'pratica'. Così Dai shugyo significa 'la grande pratica buddhista'; cioè la pratica di Zazen.
In ambedue questi capitoli, Maestro Dogen cita la medesima storia. Si tratta di una celebre storia cinese a proposito del maestro Hyakujo Ekai (cin. Baizhang Huaihai) e di una volpe selvatica; la storia riguarda la relazione tra pratica buddhista e la legge di causa ed effetto. Questa relazione viene spiegata in due modi, ognuno totalmente diverso dell'altro.
"Di solito, quando Maestro Daichi del Monte Hyakujo nel distritto di Koshu (che succedette al Maestro Baso e fu chiamato Maestro Ekai dal suo vivo) dava la sua predica informale, c'era un signore anziano nel pubblico, che ascoltava sempre la predica con il resto del pubblico. Se si ritirava il pubblico, il signore anziano si ritirava pure. Ma un giorno non andò via subito. Finalmente, il Maestro chiese, 'Qual è questa persona, che sta davanti a me?'
L'anziano rispose: 'Non sono una persona. Lungo tempo fa, nel tempo del Buddha Kasyapa, abitavo [in quanto maestro] in questa montagna. Un giorno, uno studente buddhista mi chiese se persino una persona della grande pratica buddhista cadesse in [ restrizioni di] causa ed effetto. In risposta, gli dissi, "Non cade in causa ed effetto." Sin da quel momento, sono caduto nel corpo di una volpe selvatica per cinque cento vite. Così la prego, Maestro, di dirmi qualche parola che mi cambierà. Vorrei sgomberarmi dal corpo della volpe selvatica.' Poi chiese, 'Cade pure qualcuno della grande pratica buddhista in causa ed effetto?'
Il Maestro disse, 'Non sii oscuro rispetto a causa ed effetto.'
A queste parole l'anziano realizzò la grande verità, e dopo essersi prosternato, egli disse, 'Sono già libero del corpo di una volpe selvatica. Ora vorrei rimanere sulla montagna dietro a questo tempio. Posso chiederLe, Maestro, di eseguire una cerimonia funebre per un monaco buddhista, per me?' [1]
In ambedue i capitoli, la medesima storia viene citata quasi parola per parola. Nella storia vengono usate due espressioni per parlare di causa ed effetto; la prima, la risposta del signore anziano al suo studente, è Fu raku inga che si traduce con "Non cade in causa ed effetto"[2] . La seconda, la risposta di Maestro Ekai al signore anziano, è Fu mai inga che si traduce con "Non sii oscuro rispetto a causa ed effetto." [3]
In ognuno dei due capitoli, Maestro Dogen trae conclusioni contraddittorie da queste due espressioni nella storia. In (89) Shinjin Inga egli dice:
"[L'espressione di] non cadere in causa ed effetto è soltanto una negazione di causa ed effetto, con il risultato che la gente cade in stati cattivi. [L'espressione di] non essere oscuro rispetto a causa ed effetto mostra una credenza profonda in causa ed effetto, e coloro che la sentono possono sbarrazzarsi degli stati cattivi. Non ce ne dobbiamo meravigliare, e non ne dobbiamo dubbitare."
Questi commenti suggeriscono che Maestro Dogen interpreti le due espressioni fu raku inga e fu mai inga come avendo significati diametralmente opposti. Egli insiste chiaramente sulla differenza tra le due frasi "non cadere in causa ed effetto" e "non essere oscuri rispetto a causa ed effetto."
Ma se guardiamo al suo commento sulla storia nel capitolo (76) Dai Shugyo, scopriamo che dice questo:
"Procedendo a tastoni per ciò che è la grande pratica buddhista, [possiamo scoprire che] si tratta soltanto delle stesse grandi cause ed effetti. E poiché queste cause ed effetti sono inevitabilmente perfette cause e completi effetti, non possono in nessun caso esser discussi in quanto cadendo o non cadendo, o in quanto oscuri o non oscuri. Se l'idea di non cadere in causa ed effetto è sbagliata, l'idea di non essere oscuri rispetto a causa ed effetto deve anch'essa essere sbagliata."
Qui Maestro Dogen insiste chiaramente che fu raku inga e fu mai inga significano esattamente la stessa cosa. Egli nega qualsiasi distinzione tra "non cadere in causa ed effetto" e "non essere oscuri rispetto a causa ed effetto."
Così, grazie a questi due capitoli, possiamo vedere che Maestro Dogen giunge a conclusioni opposte e contraddittorie a partire dai medesimi fatti. Pare logicamente inconsistente, e questo è certo vero se solo osserviamo la situazione a partire da un punto di veduta astratto.
2. Contradizioni tra paragrafi
Se guardiamo un altro capitolo, (22) Bussho, possiamo scoprire contraddizioni tra due paragrafi nello stesso capitolo. Egli cita il Maestro Nazionale Sai-un:
'Il Maestro Nazionale Sai-un di Enkan nel distritto di Koshu era un maestro veterano nell'ordine di Baso (cin. Mazu Dao-i). Una volta predicò all'assemblea, "Ogni essere vivente ha la Natura-di-Buddha!"
Così le menti sono tutte nient'altro che esseri viventi, e tutti gli esseri viventi hanno connaturata in sé la Natura-di-Buddha. Erba, alberi, e terre nazionali fanno uno con la mente: poiché sono mente, sono esseri viventi, e poiché sono esseri viventi, hanno connaturata in sé la Natura-di-Buddha. Il sole, la luna e le stelle fanno uno con la mente: poiché sono mente, sono esseri viventi, e poiché sono esseri viventi, hanno connaturata in sé la Natura-di-Buddha.'
Qui Maestro Dogen è chiaramente d'accordo con l'insistenza di Maestro Sai-un che ogni essere vivente ha la Natura-di-Buddha.
Ma proprio nel paragrafo seguente, egli cita Maestro Isan Reiyu:
'Maestro Dai-en del Monte Dai-I-san predicò una volta all'assemblea, "Tutti gli esseri viventi non hanno la Natura-di-Buddha."
...Dovremmo continuare a procedere a tastoni per scoprirne il senso. Come potrebbero tutti gli esseri viventi avere la Natura-di-Buddha? Se uno qualsiasi avesse la Natura-di-Buddha, potrebbero essere una banda di demoni. Portando un lenzuolo da demone, vorrebbero ricoprire ogni essere vivente. Ma la Natura-di-Buddha è soltanto la Natura-di-Buddha, e dunque gli esseri viventi sono soltanto esseri viventi. Gli esseri viventi non sono sin dall'origine dotati dalla Natura-di-Buddha.'
Maestro Dogen afferma che tutti gli esseri viventi hanno la Natura-di-Buddha nel primo paragrafo e lo nega nel secondo!
3. Contraddizioni tra frasi
Persino all'interno di un singolo paragrafo, abbondano le contraddizioni. Prendiamo ad esempio il capitolo (3) Genjo Koan. Nel primo paragrafo del capitolo possiamo scoprire le frasi seguenti:
"Quando ogni cosa e fenomeno esiste come insegnamenti buddhisti, allora ci sono delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune. Quando i milioni di cose e fenomeni sono tutti separati da noi, ci sono né delusione né illuminazione, né buddha né gente comune, né vita né morte."
In questa breve citazione si possono scoprire due enunciati; nel primo, Maestro Dogen afferma l'esistenza di delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune a partire da un unico punto di veduta. Ma nella frase che segue, egli dice che visto da un altro punto di veduta, delusione e illuminazione, buddha e gente comune, vita e morte non esistono. Egli è logicamente inconsistente all'interno di un singolo paragrafo perché cambia il suo punto di veduta.
4. Contradizioni all'interno di una frase
In (14) Sansui Gyo, troviamo la frase seguente:
'Un Buddha eterno disse, "Le montagne sono montagne. I fiumi sono fiumi." Quelle parole non significano che le montagne siano 'montagne;' significano che le montagne sono montagne.'
Presa così com'è, la frase non ha senso. Le montagne non sono montagne; sono montagne! La forma della frase sembra contraddire le regole della logica. L'enunciato è inaccettabile a secondo le regole normali del ragionamento. Eppure, ci stanno molte frasi simili nello Shobogenzo. Come le possiamo capire?
Possiamo accettare le contraddizioni?
Sin dal tempo dei Greci, gli esseri umani hanno sviluppato e raffinato un assieme di regole logiche che noi usiamo quando pensiamo a, o discutiamo dei problemi del mondo. Questa è stata la basi della nostra capacità di analizzare e capire il mondo, e quindi di sviluppare le nostre grandi scienze e filosofie. Senza l'esatto sistema della logica che governa ogni attività analitica, sarebbe stato inconcepibile che si fosse potuto sviluppare la civiltà Europeo-Americana.
Meglio vale, quindi, essere qualche po' prudenti quando si discute fino a che limite si possa ammettere la contraddizione logica all'interno di un certo proseguimento intellettuale. In recenti anni, si è detto che il pensiero buddhista possa con facilità accommodare quello che è illogico; infatti c'è chi ha affermato che il pensiero buddhista è aldilà della logica! La veduta propinata da quella gente sembra essere che la religione debba essere aldilà della ragione, e la negazione della logica ha quindi una parte centrale da svolgere. Un esempio di questa tendenza sta nell'interpretazione moderna delle storie cinesi di koan. Molte di quelle storie sembrano illogiche quando le leggiamo in modo superficiale. E c'è dunque gente che insiste che uno degli scopi dello studio buddhista sia di sviluppare un modo strano di pensare che sarebbe aldilà della logica occidentale.
Dobbiamo credere tali strane insistenze? Lo stesso maestro Dogen aveva forti opinioni su questo problema ricorrente. In (14) Sansui Gyo egli dice:
'Nei tempi di oggi, nella grande Cina dei Song, vi è un certo gruppo di gente inaffidabile che ha oramai formato una tale folla da non poter esser vinta da un piccolo gruppo di gente reale. Dicono che questo discorso della Montagna Orientale movendosi sopra dell'acqua ed altre storie come quella del falcetto di Maestro Nansen, sono storie che non possono essere capite razionalmente. La loro idea è come segue: "Una storia che dipendesse da qualsiasi sorta di considerazione intellettuale no potrebbe essere una storia Zen dei patriarchi buddhisti. Ma le storie che non si possono capire razionalmente sono effettivamente storie dei patriarchi buddhisti. Ecco la ragione di cose come l'uso del bastone da Maestro Obaku e le grida di katsu da Maestro Rinzai, che sono aldilà della comprensione razionale e senza attinenza a considerazioni intellettuali, rappresentano la grande illuminazione [che esisteva] anche prima del germogliare della creazione. La ragione per cui molti metodi d'insegnamento dei maestri del passato usavano parole che tagliassero attraverso la confusione era che [i loro insegnamenti] stavano aldilà della comprensione razionale." Coloro i quali dicono cose del genere non hanno mai incontrato un vero maestro e non hanno occhi di studio buddhista reale; sono soltanto piccoli cuccioli che non meritano l'esser discussi. Per gli ultimi due o trecento anni in Cina, ci sono stati parecchi demoni del genere, molti tali rasati come la banda dei sei. E' così pietoso che la grande verità del Patriarca buddhista sia andata a monte. La loro comprensione non può nemmeno arrivare al livello di quella dello sravaka nel Buddhismo Hinayana; sono persino più stupidi dei non-buddhisti. Non sono laici, non sono monaci, non sono degli esseri umani, e non sono dei nel cielo; sono più stupidi di animali che studiassero il Buddhismo. Quelle che questi rasati chiamano storie incomprensibili sono incomprensibili solo per loro; i patriarchi buddhisti non erano così. Non dovremmo mancare a studiare la strada concreta che capiscono i patriarchi buddhisti, solo perché [la via] è incomprensibile per questi [rasati]. Se [le storie] fossero in ultimo aldilà della comprensione razionale, persino il loro proprio ragionamento dovrebbe adesso essere molto fuori marchio.'
Ovviamente, Maestro Dogen non pensa che le storie di koan siano illogiche; egli è altamente critico dei maestri cinesi che dicono che un koan è una specie di enigma illogica. Chiaramente non accetta con facilità le illogicità, e neanche lo dovremmo noi. Dobbiamo continuare a cercare la ragione che sta dietro all'apparente richezza di contraddizioni nello Shobogenzo.
Qui vorrei offrire un consiglio. Allo scopo di studiare il Buddhismo di Maestro Dogen, io credo sia importantissimo basarci completamente sui suoi insegnamenti. Dobbiamo essere esattissimi nel nostro studio. Se ci accontentiamo di immergerci dentro solo a metà, accetando taluni dei suoi insegnamenti, e criticandone altri, presto diventerà impossibile ottenere una piena comprensione dell'assieme del sistema filosofico ch'egli espone.
Esistenza dell'area della realtà
Come spiegare dunque quelle contraddizioni negl'insegnamenti di Maestro Dogen? Nell'area filosofica, non dovremmo accettare le cose con facilità senza una spiegazione.
Dopo aver letto ripetutamente lo Shobogenzo, mi sono messo a pensare che Maestro Dogen guardava le cose a partire da un'area o punto di veduta che sarebbe diverso dal nostro punto di veduta intellettuale comune. Dal nostro punto di veduta intellettuale comune, non si può assolutamente ammettere la contraddizione logica. Ma Maestro Dogen sembrava avere due punti di veduta: quello intellettuale normale del filosofo, ed un altro punto di veduta; uno che tratta i problemi sulla base di qualcosa che sta fuori dall'area intellettuale. Ora, che il pensiero filosofico possa ammettere l'esistenza di un'area altra di quella intellettuale come base per il dibattito è forse il nocciolo del problema con la filosofia buddhista e lo Shobogenzo.
Dopo l'aver letto lo Shobogenzo tante, tante volte, ho cominciato a vedere che con questo suo uso delle contraddizioni, Maestro Dogen segnava un'area che sta al di fuori del dibattito intellettuale; stava segnando l'esistenza fuori dall'area razionale e intellettuale. Quando ero giovane, mi era difficile credere in un mondo che fosse diverso tanto dal mondo dei miei pensieri quanto dal mondo delle mie percezioni. Maestro Dogen parla del mondo ideale della teoria e del mondo della materia come lo percepiamo. Ma egli si serve di questi due punti di veduta per segnare o descrivere il mondo reale, la realtà nella quale esistiamo. E dopo l'aver letto lo Shobogenzo, ho cominciato anch'io a vedere che il mondo nel quale esisto non è né il mondo delle idee nné quello degli oggetti e delle percezioni, ma qualcosa differente da ambedue.
Questa fu una sorpresa per me. Sin dall'inizio della mia vita ho vissuto nella realtà, ma non avevo chiaramente notato questo fatto prima. E penso che questo fatto piuttosto semplice sia molto importante per capire cosa insegna il Buddhismo. Si dice che mentre il Buddha Gautama stava praticando Zazen una mattina, ebbe l'esperienza che montagne, fiumi, erba e alberi erano tutti buddha. Questo è solitamente chiamato lm'illuminazione del Buddha. Tendiamo a pensare che dopo anni d'intensi sforzi, abbia cambiato il suo stato. Ma a secondo la mia esperienza, ho cominciato a vedere che in fatti la storia del risveglio del Buddha Gautama non significava che avesse entrato in uno stato speciale, ma solo che avesse visto chiaramente per la prima volta la realtà nella quale stava vivendo.
Con questa esperienza, ho cominciato ad interpretare lo Shobogenzo come un libro che descrive o segna quella realtà. Ho scoperto che se prendiamo lo Shobogenzo come un manuale per la realtà, è completamente sensato, con tutto ciò di contraddizioni eccetera. Se prendiamo lo Shobogenzo come descrizione di un sistema intellettuale, è impossibile trovarci un senso. Si può dire che l'oggetto degli scritti di Maestro Dogen era dare una descrizione della realtà. Ma non si può catturare la realtà a parole. Sin dal tempo del Buddha Gautama in avanti, i buddhisti si sono sforzati di catturare la realtà a parole, e mi pare che questo sia la ragione fondamentale per il volume tremendo nonché la varietà dei sutra buddhisti che ci sono pervenuti. Maestro Dogen non faceva eccezione. Anche lui ha tentato l'impossibile. Questa è la ragione per cui lo Shobogenzo sembra così difficile da spiegare; questa è la ragione delle contraddizioni che contiene. Maestro Dogen non tenta di costruire una teoria intellettuale specifica -- egli sta tentando di utilizzare tutti gli attrezzi della filosofia e della logica per segnare qualcos'altro; qualcosa che sta aldilà di esse. Nell'area delle sole ragione e logica, è impossibile abracciare sistemi di pensiero che contengano grandi contraddizioni. Ma la stessa realtà contiene contraddizioni. Noi stessi sperimentiamo quelle contraddizioni ad ogni momento. Così una descrizione intellettuale della realtà deve trovare uno spazio per quelle contraddizioni, poco importa quanto inaccettabile quello possa sembrare ai nostri poteri intellettuali.
A quel punto, vorrei menzionare un punto molto fondamentalo rispetto alla natura della stessa contraddizione. Noi abbiamo l'impressione nell'area intellettuale ch'esiste qualcosa che si chiama contraddizione; che qualcosa possa essere illogico. Ma in realtà, non c'è niente che sia una contraddizione. E' soltanto una caratteristica dello stato reale delle cose. E' soltanto col nostro intelletto che possiamo scoprire l'esistenza di una cosa chiamata contraddizione.
Un ponte tra l'intelletto e la realtà
Dopo l'aver studiato lo Shobogenzo per più di 50 anni, la mia certezza è completa: lo scopo del Buddhismo è di realizzare la realtà. Il Buddha Gautama ci incalzava a scoprire la realtà tramite la pratica di Zazen. L'interpretazione tradizionale della parola sanscrita dharma è piuttosto vaga, riferendosi a una forma d'insegnamenti. Ma io credo che dharma significhi non solo 'insegnamenti' ma segni anche tre aree -- principi ovvero insegnamenti, situazioni o circostanze esterne, e morale o comportamento. Questi sono i componenti di una filosofia della realtà.
Possiamo, allora, avere una filosofia della realtà, se la realtà è fuori dall'area con la quale tratta la filosofia ? Logicamente dobbiamo dire che la risposta è di no. Realtà e intelligenza sono completamente separate. Quale specie di sistema possiamo costruire che ci permetterà di proseguire una descrizione della realtà?
Era proprio in questo stato che i Buddhisti svilupparono il loro metodo unico di spiegare la realtà. Il metodo si chiama catvary arya satyani, ovvero le quattro nobili verità, e spiega l'interazione tra attività intellettuali e realtà tramite l'uso di quattro punti di veduta. I due primi punti di veduta sono le prospettive filosofiche tradizionali, il terzo è una filosofia della realtà ed il quarto è la realtà esperienziale.
Questa è l'ipotesi che ho sviluppata quarant'anni fa, a partire dallo studio dello Shobogenzo, e benché non abbia avuto il sostegno neanche della società buddhista in Giappone, non posso scoprire nessun'inadeguatezza nella mia idea, poco importa come ci provo.
Catvary arya satyani, le quattro nobili verità comprendono duhkha-satya, samudaya-satya, nirodha-satya e marga-satya. L'interpretazione tradizionale si svolge come segue:
Duhkha-satya, ovvero la verità della sofferenza dice che ogni cosa e fenomeno in questo mondo sono sofferenza.
Samudaya-satya ovvero la verità degli aggregati dice che la causa della sofferenza è il desiderio.
Nirodha-satya, ovvero la verità della negazione dice che ci dobbiamo disfare del desiderio.
Marga-satya, ovvero la verità della via corretta dice che quando ci disfaremo di ogni desiderio, realizzeremo la verità.
Quando lessi questa interpretazione tradizionale delle quattro nobili verità, la trovai così dogmatica e illogica che non la poté accettare. Dire che tutto nel mondo sia sofferenza mi sembra il sommo del dogmatismo. Certo, spesso ci pare il mondo essere pieno di tristezza, ma l'asserzione che tutto sia sofferenza nel mondo è pessimista al di là delle parole. E dire che la causa di tutta questa sofferenza sia il desiderio è troppo dogmatico. Io penso che, fondamentalmente, il desiderio sta alla radice della nostra forza vitale. Ci è impossibile disfarci del desiderio e continuare a vivere. Se il Buddhismo dovesse insistere che dobbiamo distruggere ogni desiderio in noi, allora ci starebbe spingendo a fare l'impossibile. E l'ultima delle verità non è chiara. Qual'è la natura della verità che si realizzerà? Si dice che dobbiamo seguire l'ottuplice nobile sentiero, ma nessuna spiegazione chiara di quegli otto sentieri è mai stata data nei tempi del Buddha Gautama. Cosa s'intende per 'corretto'? Le quattro nobili verità sono riputate stare al centro degli insegnamenti buddhisti, ma mi sembrava impossibile credere in un assieme d'idee così dogmatiche e parziali.
Dopo l'aver letto lo Shobogenzo ed essermi familiarizzato con il pensiero di Maestro Dogen, ho scoperto una nuova interpretazione delle quattro nobili verità. E' un'interpretazione che ci consente di combinare le nostre spiegazioni intellettuali e la realtà. Ho scoperto il metodo particolare che usa Maestro Dogen per collegare il pensiero filosofico e la realtà. Ho chiamato questa teoria quella delle tre filosofie ed una realtà.
Per illustrare questo metodo mi servirò del capitolo (3) Genjo Koan, che è il terzo capitolo nell'edizione in 95 capitoli dello Shobogenzo, ma era quello primo nell'antecedente edizione in 75 capitoli. Ha quindi un significato speciale a ragione della mia convinzione che sia qui che Maestro Dogen espone al lettore il suo punto di veduta filosofico. Il primo paragrafo del Genjo Koan è:
"Quando ogni cosa e fenomeno esiste come insegnamenti buddhisti, allora ci sono delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune. Quando milioni di cose e fenomeni sono tutti separati da noi, ci sono né delusione né illuminazione, né buddha né gente comune, né vita né morte. Il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, e così [in realtà] c'è vita e morte, c'è delusione e realizzazione, ci stanno gente e buddha. Benché tutto questo possa essere vero, i fiori appassiscono anche se gli amiamo, e le erbacce crescono anche se le odiamo, e nient'altro."
Questo paragrafo è composto di quattro frasi. La prima è: "Quando ogni cosa e fenomeno esiste come insegnamenti buddhisti, allora ci sono delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune." Cosa significa? Questa frase descrive la situazione quando pensiamo al mondo sulla base di un sistema filosofico idealista -- un assieme di insegnamenti. A partire da questa base possiamo scoprire differenze tra più categorie; delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune. Questi contrasta con la seconda frase che dice che non ci stanno differenze se guardiamo al mondo "quando milioni di cose e fenomeni sono tutti separati da noi stessi." Questa seconda frase ci dice che se vediamo il mondo come separato dal nostro proprio punto di veduta soggettivo, cioè obiettivamente, non possiamo scoprire differenza alcuna in valore tra delusione e illuminazione, buddha e gente comune, vita e morte. Sono tutti fatti concreti ed hanno valore uguale in quanto ciò. Questo è il punto di veduta scientifico o materialista. Qui, Maestro Dogen distingue chiaramente tra le prospettive filosofiche dell'idealismo e del materialismo.
Allo stesso tempo, nella terza frase egli separa il punto di veduta buddhista da questi primi due: egli dice che il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, e ci stanno quindi in realtà gente e buddha. Maestro Dogen ci sta dicendo che il Buddhismo è differente dai relativi confronti in termini di grande o piccolo, pesante o leggero. Naturalmente, il significato della frase "all'origine trascendente su abbondanza e scarsità" non è esatto, ma egli sembra star dicendo che il Buddhismo non appartiene all'area in cui si fanno i paragoni, in cui si dice che questo vale di più di quello, che questo non è così importante di quello, e non appartiene neanche all'area dei paragoni fisici.
Qui, dovremmo fare una pausa per pensarci bene sopra. Sarà mai possibile avere una "filosofia" che non appartenga all'area intellettuale discriminante? Ci sarà un'area filosofica in cui si potesse trascendere ambedue i criteri soggettivo ed obiettivo? L'unico mezzo a cui abbiamo da penzare a proposito dei problemi filosofici è l'intelletto. Cosa significa trascendere la filosofia nell'area della filosofia?
A volte i nostri pensieri sono della natura "io penso questo", o "io credo in questo." Ci serviamo delle nostre proprie idee e credenze per costruirci un'immagine del mondo. Il nostro atteggiamento è soggettivo. La filosofia che si costruisce sulla base dei nostri pensieri soggettivi si chiama soggettività.
Ad altri momenti basiamo i nostri pensieri sulle nostre percezioni sensoriali. Percepiamo il mondo materiale tramite i sensi e diamo un senso a ciò che percepiamo grazie al nostro intelletto. Quello è oggetttività.
Soggetivismo e oggetivismo, idealismo e materialismo formano i due tipi fondamentali di filosofia. Ambedue sono proseguimenti dell'intelletto. Possiamo anche scoprire filosofie che sono un miscuglio dei due tipi di base. Ma potremmo scoprire un sistema filosofico che non corrispondesse ad alcuno di questi tre gruppi? La risposta è: no, naturalmente. E' impossibile costruire una filosofia che non sia in qualche modo basata né sull'idealismo, né sul materialismo, né su di un miscuglio dei due; è quella la natura della filosofia. La filosofia è innegabilmente ristretta all'area dell'intelletto.
Ma nella terza frase del Genjo Koan, vediamo Maestro Dogen insistire che il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, sopra ogni specie di analisi relativistiche. La parola 'Buddhismo' nella frase è butsu-do in Giapponese. Butsu significa 'Buddha' o 'buddhista', e do significa via, principio, o criterio morale. Così la parola tradotta come 'Buddhismo' si riferisce pure al comportamento, alla condotta o all'azione buddhista. Io credo che in questa frase Maestro Dogen ci sta dicendo che il Buddhismo non sta nella stessa area dell'analisi filosofica, ossia idealista ossia materialista. Io credo che l'area trascendente a cui si riferisce Maestro Dogen è l'area del nostro comportamento o condotta; cioè le nostre medesime azioni.
Questo è un punto molto importante per capire gl'insegnamenti buddhisti. I filosofi sono pronti a credere che l'intelletto è assoluto; che non c'è nulla che non si possa analizzare con gli attrezzi della logica, niente che non si possa descrivere o discutere a parole. Maestro Dogen ci da un esempio in (10) Shoaku Makusa di questa tendenza nostrana di aderire all'intelletto in quanto onnipotente. Egli cita una discussione tra un famoso poeta cinese, ed il Maestro buddhista Choka Dorin:
'Haku Kyo-i della dinastia Tang era un discepolo laico di Maestro Bukko Nyoman (cin. Foguang Ruman), e discepolo alla seconda generazione di Maestro Baso Do-itsu (cin. Mazu Dao-i). Quando era prefetto del distretto di Koshu studiava sotto al Maestro Choka Dorin (cin. Zhuoguo Daolin). Un giorno Kyo-i chiese, "Cos'è esattamente la grande intenzione degl'insegnamenti del Buddha?"
Maestro Dorin rispose, "Non fare il male. Fare il bene."
Kyo-i disse, "Se cio è vero, allora persino un bambino di tre anni potrebbe pronunciare tali parole!"
Maestro Dorin disse, "Benché un bambino di tre anni possa pronunciare questa verità, un signore anziano di ottant'anni non la può praticare."
A quelle parole, Kyo-i immediatamente si prosternò a mò di ringraziamento, eppoi se ne andò.'
La storia sottolinea l'assoluta differenza tra il dire "non fare il male" e effettivamente non fare il male. Nelle nostre vite giorno per giorno stiamo ben disposti a dimenticare questa differenza, la differenza tra l'idea di condotta corretta e la condotta corretta propriamente detta. Questo è uno degli articoli più importanti di doctrina della filosofia buddhista; la differenza fondamentale e assoluta tra pensiero ed azione. I buddhisti hanno scoperto che l'area delle nostre azioni, della nostra condotta, del nostro comportamento in questo mondo è completamente diversa da quella dell'analisi intellettuale o della percezione sensoriale. E' quello il significato dell'enunciato di Maestro Dogen nel Genjo Koan:
"Il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, e così [in realtà] c'è vita e morte, c'è delusione e realizzazione, ci stanno gente e buddha."
Benché la frase sia un enunciato del quadro filosofico di Maestro Dogen, non espone un concetto intellettuale; riferisce alle nostre azioni reali. E dice che le nostre azioni reali sono al di fuori dell'area filosofica; la trascendono.
Adesso abbiamo un problema. Possiamo permettere alla filosofia buddhista di contenere enunciati che non siano enunciati di filosofia di per sé, ma parlino di qualcosa che sarebbe aldilà della filosofia? Possiamo affermare un tale sistema filosofico quanto valido e razionale? Nella tradizione del pensiero occidentale, questo non è accettabile. Ma almeno di accettarlo e di muoverci in avanti, non potremo per niente capire la filosofia di Maestro Dogen. La dovremo rifiutare in quanto sistema filosofico.
Nella filosofia occidentale c'è un metodo che ci rammenta questo problema. Si tratta del metodo della dialettica, molto apprezzata dal filosofo tedesco Hegel (tesi, antitesi e sintesi) e adoperata da Karl Marx nel suo sviluppo della dottrina del materialismo dialettico. Maestro Dogen utilizza uno strumento simile alla dialettica nello spiegare la relazione triangolare tra soggettività, oggetività e Buddhismo.
E' chiaro che Maestro Dogen pensa che il Buddhismo appartiene ad un'area al di fuori dell'area intellettuale; cioè, non è analisi intellettuale di per sé. Ma allo stesso tempo, egli propone il Buddhismo quanto filosofia realista. Cosa significa una 'filosofia realista'?
La filosofia dell'azione
Io credo che la terza frase del Genjo Koan sia la definizione di Maestro Dogen di una filosofia della realtà. La storia già citata a proposito di Maestro Choka Dorin ci rammenta che manchiamo di solito la differenza tra abilità intellettuale e l'azione stessa. Ma io credo che tale differenza sia cruciale: Lo stesso Buddha Gautama scoprì la chiara differenza tra ciò che crediamo di essere la realtà e cos'è l'azione reale. La filosofia buddhista è una filosofia basata su di questa differenza. Ella espone questa differenza, ed è di per sé una filosofia completamente nuova. La chiamo filosofia dell'azione.
Al livello della vita quotidiana, ci è ovvio che pensare a proposito del mangiare è completamente diverso dall'esperienza propria del mangiare. E che il gusto del cibo è separato e diverso dall'azione di mangiare. Questo è chiarissimo, ma falliamo spesso a riconoscere fatti così semplici. Questo ha un'importanza fondamentale per una chiara comprensione della filosofia buddhista.
Nella teoria buddhista, l'azione viene descritta come contatto tra il soggetto e l'oggetto. E' l'incontro tra interno e esterno. Questo si vede nell'insistenza buddhista all'effetto che mente e corpo sono uno solo. L'azione sempre ha luogo nel momento presente. Il tempo qui ed adesso è il soggetto del capitolo dello Shobogenzo intitolato Uji. In questo capitolo Maestro Dogen spiega che il momento presente è il palcoscenico di ogni azione.
Così l'azione è diversa dal pensiero. L'azione è diversa dal percepire con i sensi. L'azione non esiste senza una negazione del pensiero. L'azione non esiste senza una negazione della percezione sensoriale -- perché l'azione sta fuori dall'area del pensiero e della percezione. Allo stesso tempo, non è possibile costruire una filosofia che non abbia una base intellettuale. Così la filosofia dell'azione è per natura propria un'anomalia. Viene basata sulla negazione dell'intelletto e della percezione sensoriale, ma si basa su di ambedue. Questa è una vera dialettica. Questa è pure una vera contraddizione. E' la contraddizione tra intelletto e realtà. Nell'area dell'intelletto, non dovremmo mai accettare l'inconsistenza logica, e non dovremmo mai cedere alla veduta sostenuta da alcuni che la teoria buddhista sarebbe aldilà della logica. Nei limiti della spiegazione intellettuale, dovremmo attenerci a strette regole logiche per sviluppare una struttura teorica qualsiasi. Ma la filosofia dell'azione segna qualcosa che sta aldilà di un'immagine intellettuale. E' quella la ragione per cui è così difficile farci un posto nei sistemi filosofici dell'Occidente. Ma è arrivato il tempo di muoverci aldilà dei limiti intellettuali delle filosofie esistenti della nostra civiltà, e ci serve la terza filosofia.
La realtà
Avendo tracciato la base del nostro nuovo punto di veduta filosofico, siamo propensi a dimenticare che questa nuova filosofia è pur soltanto quello. La filosofia dell'azione non potrà mai riacciuffare l'ineffabile natura della realtà stessa -- potrà soltanto segnare la strada. E la realtà di cui tutti noi facciamo l'esperienza è completamente diversa dalle filosofie qualsiasi che potremmo costruire. E' impossibile a descrivere pienamente a parole. Questa è la ragione per cui parecchi scrittori tentano di riallacciare la realtà all'espressione simbolica e alla poesia.
Maestro Dogen dice nell'ultima frase nel paragrafo del Genjo Koan, " Benché tutto questo possa essere vero, i fiori appassiscono anche se gli amiamo, e le erbacce crescono anche se le odiamo, e nient'altro." In questa frase egli tenta di esprimere l'ineffabile natura della realtà.
L'uso di espressioni simboliche per catturare la natura della realtà stessa è un passo che non possiamo trovare nello stesso modo nel pensiero filosofico occidentale. E' un passo aldilà delle tre fasi, tesi, antitesi e sintesi. E' un passo aldilà della filosofia stessa. Le spiegazioni della realtà non possono assolutamente essere la realtà. Questa è la ragione per cui io chiamo il mio sistema filosofico a quattro fasi, tre filosofie ed una realtà.
Tre filosofie ed una realtà
Ci sono stati due sistemi filosofici principali nella storia del pensiero occidentale: l'idealismo ed il materialismo. E' facile scoprire la base di questi due sistemi nello stesso processo del pensiero umano. Dapprima, quando si pensa a un problema filosofico, il nostro treno di pensieri avanza da una premessa logica ad un'altra premessa logica. Costruiamo un quadro razionale nella nostra mente ed è questa entità che diventa l'oggetto dei nostri pensieri o credenze. I nostri pensieri sono basati sull'intelletto stesso. Quello fu il modo usato da Platone e normalmente lo si chiama idealismo; cioè, una filosofia centrata sulle stesse idee. Non si deve certo sottostimare l'effetto che ha avuto il pensiero idealista sulla storia della filosofia occidentale.
Ma nella storia del pensiero si può scoprire un'altra corrente distinta; una corrente nella quale il quadro razionale che noi costruiamo è basato sulla percezione del mondo esterno attraverso i sensi. Quello che si percepisce attraverso i sensi ci da un'immagine mentale del mondo esterno. Basiamo i nostri pensieri e le nostre credenze su questa informazione a partire dalla mente esterna. Tale sostanza che è fuori dalla mente, la chiamiamo materia. E un quadro razionale basato sulla materia, lo si chiama materialismo.
Queste due filosofie fondamentali sorgono a partire da diverse fonti e sono fondamentalmente opposte l'una all'altra. Fatto sta che non ci stanno ragioni per noi di decidere quale da queste due viste del mondo sia vera. Per migliaia di anni, i filosofi idealisti hanno insistito che l'idealismo fosse la verità, che le idee fossero la vera perfezione, ed i filosofi materialisti hanno dissentito, insistendo che il mondo fisico sia la realtà vera e propria. Questo conflitto, benché appaia quasi comico quando lo guardiamo da lontano, ha occupato le menti di molti pensatori sinceri sin da così lungo tempo che lo si possa ricordare.
Il Buddha Gautama notò questo conflitto, come sorse nelle sue proprie ricerche, e fu preocupatissimo di scoprire una soluzione. Dopo di una lunga e sincera ricerca, un giorno scoprì che stava vivendo nella realtà, non nell'area dell'intelligenza umana che è casa per ambedue il materialismo e l'idealismo. Nell'area intellettuale ci stanno due punti di veduta soli; l'idealismo, basato su di una veduta soggettiva della realtà, ed il materialismo che è basato su di una veduta oggetiva. Soggetto ed oggetto si possono differenziare in modo assoluto nelle nostre menti. Quello è in fatto que che dice Maestro Dogen nel primo paragrafo del Genjo Koan. Idealismo e materialismo hanno ambedue pretese uguali ad essere la descrizione corretta della realtà; non sarà mai possibile decidere qual'è quella migliore.
Il Buddha Gautama scoprì che la soluzione al conflitto tra i due sistemi filosofici fondamentali era considerare le cose a partire da una terza area, ch'egli chiamò nirodha satya, o filosofia della negazione. Per negazione, intendiamo la negazione di ambedue il pensiero intellettuale e la percezione sensoriale. Allo stesso tempo, questa negazione suggerisce uno sfondo dell'azione -- che non appartiene all'area della mente o dei sensi. Ma include la vita delle aree che stanno fuori dall'area dei nostri intelletto e sensi? Sembra essere una strana insistenza. La mia risposta è si. Ad esempio, concetti e nomi di oggetti sono etichette intellettuali, ma le entità stesse sono senza nome; esistono come sono -- senza nome -- in un'area senza nome. Quello è fatto importantissimo, ma che facilmente viene trascurato in questo mondo di abitudini intellettuali radicate nel quale viviamo. Abbiamo tendenza a pensare che le cose e fenomeni reali che ci circondano sono identici ai concetti che abbiamo di loro, e quindi non distinguiamo tra le cose come le vediamo con l'intelletto o i sensi e le cose nella realtà senza nome. Quella è la delusione che scoprì il Buddha Gautama nella condizione umana.
Per riepilogare, dunque, ci sono stati tre correnti di base del pensiero filosofico nella storia; idealismo, materialismo, e sistemi filosofici che sono un miscuglio dei due. Questi rispecchiano i due modi fondamentali di pensare; il pensiero basato sulla mente ed il pensiero basato sulla percezione. Accanto a quelle tre correnti, non possiamo scoprire nessun altro sistema filosofico che resista all'esame. Recentemente però, particolarmente nell'area della filosofia buddhista, abbiamo visto l'emergenza di una "filosofia" basata sul concetto di sunyata o vacuità [4]. Questi pensatori propongono un sistema filosofico diverso dall'idealismo, dal materialismo e dalle loro combinazioni, ma pur sempre nell'area intellettuale. Per me, in quanto monaco buddhista, il loro punto di veduta è totalmente senza fondazione.
A volte sembrarebbe, nel primo paragrafo del Genjo Koan, che Maestro Dogen stia suggerendo l'esistenza di una strana area dell'intelletto che non è é idealista né materialista né una combinazione dei due. Ma mi pare questo sia un malinteso su di ciò che egli intende per trascendenza di abbondanza e scarsità. Trascendere abbondanza e scarsità significa uscire dalle aree dell'intelletto e della percezione sensoriale, non significa sbarrazzarsi da quelle due aree all'interno dell'intelletto -- non è una negazione intellettuale dell'intelletto che risultarebbe nella "Vacuità." Ci è impossibile disfarci dalla differenza tra abbondanza e scarsità all'interno delle aree della mente e della percezione sensoriale. Ma il Buddha Gautama e Maestro Dogen scoprirono ugualmente questa area che non sta all'interno della mente o della percezione -- l'area dell'azione. La scoperta di questa area e la chiarificazione della sua natura in termini filosofici risolve il problema del conflitto tra idealismo ed materialismo. Questa è il proprio contributo del Buddhismo alla filosofia mondiale.
Hegel e Marx sembrano ambedue aver notato il bisogno di una risoluzione a questo conflitto, e tentarono ambedue di scoprire una filosofia che sorpassasse questa differenza. Nessuno dei due riuscì, perché le loro filosofie in fine non segnavano una realtà che fosse aldilà delle aree dell'intelletto o della percezione sensoriale. Benché suggerisca l'interesse di Hegel per la storia del mondo un suo interesse per il mondo reale al di fuori del mondo delle idee, egli s'è fatto intrappolare dal suo concetto di "spirito del mondo" che lo ritraeva a conclusioni intellettuali. L'interesse di Marx per le soluzioni materiali lo ha fatto cadere nel tranello della sua propria credenza nella realtà ultima della materia, ed in fine anche lui è fallito nei suoi tentativi di trascendere il conflitto.
La dialettica buddhista, tuttavia, differisce in importanti modi dalla dialettica Hegeliana o Marxista in quanto la dialettica buddhista ha quattro fasi -- tesi, antitesi, sintesi e realtà. La dialettica buddhista dice che ci stanno tre specie di modi per vedere la realtà, ma in fine, l'oggetto delle nostre spiegazioni non esiste nella nostra intelligenza; esiste così com'è nella realtà senza nome. Così in questo senso, la filosofia buddhista funge di ponte tra filosofia e realtà. Ecco perché la teoria buddhista sembra così difficile da afferrare.
Finalmente, la realtà non si può mettere in parole. I buddhisti impiegano il paragone di un dito che punta alla luna. La luna è un simbolo per la realtà ed il dito è simbolico della spiegazione filosofica. Ironicamente, le dialettiche Hegeliana e Marxista rimangono intrappolate dall'eccellenza delle loro spiegazioni intellettuali. Ma il Buddhismo punta al il mondo reale in un modo essenzialmente pratico.
E' un fatto triste e pur divertente che noi esseri umani abbiamo per migliaia di anni scambiato l'immagine del mondo da noi costruita grazie alle nostre eccellenti capacità intellettuali, per il mondo reale in cui noi esistiamo. Abbiamo fallito a riconoscere l'esistenza della realtà. Benché vivendo nella realtà, siamo in larga misura incapaci di riconoscere il fatto.
Ma il Buddha Gautama riconoscì quel fatto dopo dei suoi sforzi pratici nel proseguire la verità, e mi pare che il mondo entri adesso un una nuova fase -- una fase nella quale stiamo scoprendo la natura della realtà nella quale noi viviamo; non un mondo solo della mente, né un mondo solo di sostanza materiale, ma un mondo reale. Questo, mi pare, è la ragione per cui tanta gente ora dimostra un interesse nella credenza buddhista.
Ma il mondo reale è ineffabile, aldilà della descrizione. e questa è la ragione per cui ambedue il Buddha Gautama e Maestro Dogen ci incitavano a praticare Zazen. Zazen ci insegna la vera natura della realtà.
Nell'ultima fase, quindi, abbiamo da pensare a quello che è impossibile di pensare. Questa è la ragione fondamentale per cui lo Shobogenzo di Maestro Dogen sembra così difficile. Ma se noi studiamo lo Shobogenzo possiamo scoprire un sistema filosofico che si basa sul realismo -- una filosofia per oggi.
La struttura dello Shobogenzo
Lo Shobogenzo esiste in parecchie versioni, le tre meglio stabilite stando l'edizione in 12 capitoli, l'edizione in 75 capitoli e l'edizione in 95 capitoli. Le due prime sono edizioni antichissime che mai furono stampate, ma passarono attraverso più copie manuali di sconosciuta accuratezza. L'edizione in 95 capitoli include tutti i capitoli in ambedue le altre due edizioni con una eccezione: il capitolo intitolato Ippyaku Hachi Homyo Mon. Questa edizione, essendo la più inclusiva, fu pubblicata nell'era di Genroku (1688 &endash; 1703) e fu stampata su tavole di legno nel 1816. Questa ebbe per effetto di fissarne i contenuti a quello stadio, e fu questa edizione che divenne la versione stabilita in Giappone a partire da questo momento sino alla Seconda Guerra Mondiale.
Dopo della guerra, certi giovani studiosi dell'epoca raggionarono che l'edizione in 75 capitoli era quella più genuina poiché pubblicata da Maestro Dogen egli stesso. Scoprirono una vecchia copia che constava di 75 capitoli, e che pretesero fossero stati copiati dalla stessa mano di Maestro Dogen. Un'analisi susseguente delle pennellate fece pesare un dubbio su di questa pretesa, che ancora attende di venir sostanziata.
Una seconda ragione per tale nuova preferenza per l'edizione in 75 capitoli era l'opinione del Dr. Kunihiko Hashida, uno psicologo del Giappone dell'anteguerra, e studioso dello Shobogenzo. Il Dr. Hashida era del parere che la disposizione cronologica dei capitoli nell'edizione in 95 capitoli fa sicché sia difficile di seguire l'assieme del sistema filosofico, mentre l'edizione in 75 capitoli non presenta tali problemi. Quando ho sentito questo, ho letto anch'io l'edizione in 75 capitoli per vedere se potessi essere d'accordo con lui. Sfortunatamente, mi sono parse ambedue le edizioni ugualmente difficili da capire. Per di più, mi è parso che in contrasto con l'edizione in 95 capitoli, i capitoli della prima metà dell'edizione in 75 capitoli non stavano in ordine cronologico, ma quelli dell'ultima metà lo erano. Questa inconsistenza mi porta a porre un dubbio su di ogni pretesa che l'edizione in 75 capitoli fosse più facile da capire..
La mia propria preferenza per l'edizione in 95 capitoli pone sui fatti seguenti:
1. L'edizione in 95 capitoli fu la prima edizione a andare stampata, ed a quel momento vennero fissati i contenuti.
2. L'edizione in 95 capitoli è la collezione più inclusiva dei sermoni di Maestro Dogen, ad eccezione del capitolo Ippyaku Hachi Homyo Mon.
3. La questione di sapere se Maestro Dogen stesso pubblicò l'edizione in 75 capitoli è tuttora aperta.
4. I capitoli nell'edizione in 95 capitoli sono disposti in ordine cronologico a secondo la data alla quale ognuno dei sermoni venne fatto, e questo è una base coerente e storicamente utile della disposizione.
Titoli dei capitoli
I titoli dei capitoli dell'edizione in 95 capitoli vengono dati qui. Le mie opere in Giapponese -- che contengono testo originale, traduzione in Giapponese moderno, e commentario -- raggruppano i capitoli in dodici volumi. Nella traduzione inglese, i capitoli vengono raggruppati in quattro volumi.
VOLUME UNO
1. BENDOWA: Discussione a
proposito di perseguire
la Verità
2. MAKA HANNYA HARAMITSU: Maha Prajna Paramita
3. GENJO KOAN: La legge realizzata dell'Universo
4. IKKA NO MYOJU: Una perla brillante
5. JU-UN-DO SHIKI: Regole per la Sala delle Nuvole
6. SOKUSHIN ZE BUTSU: La mente qui ed adesso è Buddha
7. SENJO: Lavarsi
8. RAIHAI TOKUZUI: Prosternazione verso [chicchessia] abbia il
midollo
9. KEISEI SANSHIKI: Il suono della valle e la forma delle
montagne
10. SHOAKU MAKUSA: Non fare il male
11. U-JI: Esistenza-tempo
12. KESA KUDOKU: I meriti del Kasaya
13. DEN-E: La trasmissione del Vestito
14. SAN SUI GYO: Le montagne ed I fiumi come sutra
15. BUSSO: I patriarchi buddhisti
16. SHISHO:Il certificato di trasmissione
17. HOKKE TEN HOKKE: L'Universo-loto fa girare l'Universo-loto
18. SHIN FU-KATOKU: La mente non si afferra (I)
19. SHIN FU-KATOKU: La mente non si afferra (II)
20. KOKYO: Lo specchio eterno
21. KANKIN: Leggere i sutra
VOLUME DUE
22. BUSSHO: Natura-di-buddha
23. GYOBUTSU IGI: Dignitoso comportamento di un buddha agente
24. BUKKYO: L'insegnamento buddhista
25. JINZU: Poteri mistici
26. DAIGO: La grande realizzazione
27. ZAZEN SHIN: Un ago per Zazen
28. BUTSU KOJO NO JI: Sulla realtà ascendente del Buddha
29. INMO: L'ineffabile
30. GYOJI: L'azione morale e l'osservanza dei precetti (I)
30. GYOJI: L'azione morale e l'osservanza dei precetti (II)
31. KAI-IN ZANMAI: Sagara Mudra Samadhi, uno stato come il mare
32. JUKI: Affermazione
33. KAN-NON: Il Bodhisattva Avalokitesvara
34. ARAKAN: Arhat
35. HAKUJUSHI: Cedri
36. KOMYO: Chiarezza
37. SHINJIN GAKUDO: Proseguendo lo stato di verità
attraverso
corpo-e-mente
38. MUCHU SETSUMU: Predicando un sogno in un sogno
39. DOTOKU: Esprimere lo stato di verità
40. GABYO: Dolci di riso dipinti
41. ZENKI: Tutte le funzioni
VOLUME TRE
42. TSUKI: La luna
43. KUGE: Fiori nel cielo
44. KOBUSSHIN: La mente dei buddha eterni
45. BODAISATTA SHI-SHO-BO: I quattro modi del Bodhisattva nelle
relazioni umane
46. KATTO: Il complicato
47. SANGAI YUISHIN: Il triplice mondo è solo mente
48. SESSHIN SESSHO: Predicando la mente, predicando la natura delle
cose
49. BUTSUDO: Buddhismo
50. SHOHO JISSO: Ogni cosa e fenomeno sono forma reale
51. MITSU GO: Sussurri mistici
52. BUKKYO: I sutra buddhisti
53. MUJO SEPPO: Lo stato senza emozione predica il Dharma
54. HOSSHO: La natura del Dharma
55. DARANI: Dharani
56. SENMEN: Lavarsi la faccia
57. MENJU: La trasmissione a faccia a faccia
58. ZAZEN GI: Il metodo standard di Zazen
59. BAIKE: Fiori di Prugno
60. JUPPO: Le dieci direzioni
61. KENBUTSU: Incontrare il Buddha
62. HENSAN: Completando lo studio buddhista
63. GANZEI: Globi oculari
64. KAJO: Vita quotidiana
65. RYUGIN: Sussurri di drachi
66. SHUNJU: La primavera e l'autunno
67. SOSHI SAIRAI NO I: L'intenzione del Primo Patriarca nel suo
venire dall'Ovest
68. UDONGE: Il fiore di Udumbara
69. HOTSU MUJOSHIN: Lo insediamento della mente suprema
70. HOTSU BODAISHIN: Lo insediamento della mente di Bodhi
71. NYORAI ZENSHIN: L'intero corpo del Tathagata.
72. ZANMAI O ZANMAI: La samadhi che è re delle samadhi
VOLUME QUATTRO
73. SANJU-SHICHI-BON BODAI BUNBO:
Le trentasette
classi di modi di praticare la Verità
74. TENBORIN: Aggirando la Ruota del Dharma
75. JISHO ZANMAI: La samadhi, stato dello sperimentare il
Sé
76. DAI SHUGYO: La grande pratica
77. KOKU: Lo spazio
78. HATSU-U: I patra
79. ANGO: Il ritiro
80. TASHINTSU: Conoscere la mente altrui
81. O SAKU SENDABA: Il re richiede il Saindhava
82. JI KU-IN MON: Regole per la cucina
83. SHUKKE: Trascendendo la vita di familia
84. SANJI NO GO: L'azione karmica nei tre tempi
85. SHIME: I quattro cavalli
86. SHUKKE KUDOKU: I meriti del trascendere la vita di familia
87. KUYO SHOBUTSU: Servendo offerte ai buddha
88. KI-E SANBO: Devozione ai tre Tesori
89. SHINJIN INGA: Profonda credenza in cause ed effetti
90. SHIZEN BIKU: Il Bhiksu [che fraintese] il quarto dhyana
91. YUI-BUTSU YO-BUTSU: Soli i buddha e i buddha
92. SHOJI: Vita e morte
93. DOSHIN: Mente della Bodhi
94. JUKAI: Ricevere i precetti
95. HACHI DAI NINGAKU: Otto grandi verità umane
APPENDICE
Le mie opere contengono i seguenti capitoli addizionali:
BUTSUKOJO NO JI: Il fatto del progresso di un buddha (dalla versione ristretta dello Shobogenzo)
IPPYAKU HACHI HO MYO MON: Le Centootto porte che chiarificano il Dharma (dall'edizione in 12 capitoli)
Raggruppando i capitoli
Come l'ho già indicato, io credo che Maestro Dogen ha construito il suo sistema filosofico sulla base delle Tre Filosofie ed una Realtà. Quello significa che possiamo mettere i capitoli dello Shobogenzo in quattro gruppi corrispondenti.
Ho diviso i capitoli fra quei quattro gruppi a secondo i quattro criteri seguenti:
1. Punto di veduta idealista o
soggettivo
2. Punto di veduta materialista o oggettivo
3. Punto di veduta realista o fattuale
4. Realtà stessa
Il primo gruppo contiene capitoli che stanno in relazione con mente, spirito, teoria, pensiero, significato, valore religioso. Il secondo gruppo contiene capitoli che stanno in relazione con cose, materia, natura, il mondo esterno, lo spazio. Il terzo gruppo contiene capitoli che stanno in relazione con unità di corpo-e-mente, unità di mente e materia, il momento presente, l'azione. L'ultimo gruppo contiene capitoli in relazione con l'ineffabile, il complicato, la realtà, l'espressione simbolica della realtà.
Il primo gruppo contiene 23 capitoli, il secondo 26 capitoli, il terzo 27 capitoli e l'ultimo 19 capitoli.
Categorizzando i capitoli
Ho susseguentemente ancora suddiviso ciascun gruppo a secondo le categorie seguenti:
G (S). Vista soggettiva -- Mente,
Buddhismo,
teoria, intuizione, Buddha
G (O). Vista oggettiva -- L'Universo, rivelazione dell'Universo, la
natura, rivelazione della natura, causa ed effetto, tradizione
G (A). Vista fattuale -- Stabilimento della credenza, precetti, vita
giorno per giorno, azione, pratica buddhista, tempo
G (R). Realtà stessa -- Scopi, lo stato buddhista, cosa
esiste, Zazen, lo stato in Zazen
Una volta sistemati in queste quattro categorie, i capitoli mi danno la lista seguente:
G (S)
Mente
(S) HOTSU MUJO SHIN: Lo
insediamento della mente
suprema (69)
HOTSU BODAI SHIN: Lo insediamento della
mente di
Bodhi (70)
DOSHIN: Mente da Bodhi (93)
(O) SESSHIN SESSHO: Predicando la mente, predicando la natura delle
cose (48)
(A) KOBUSSHIN: La mente dei buddha eterni (44)
(R) SHIN FU-KATOKU: La mente non si afferra (18)
SHIN FU-KATOKU: La mente non si afferra
(19)
Buddhismo
(S) BUKKYO: L'insegnamento
buddhista (24)
(O) KANKIN: Leggere i sutra (21)
(A) TENBORIN: Aggirando la Ruota del Dharma (74)
(R) KI-E SANBO: Devozione ai tre Tesori (88)
Teoria
(S) GABYO: Dolci di riso dipinti
(40)
(O) KUGE: Fiori nel cielo (43)
(A) MUCHU SETSUMU: Predicando un sogno in un sogno (38)
(R) DOTOKU: Esprimere lo stato di verità (39)
Intuizione
(S) MAKA HANNYA HARAMITSU :
Mahâ
Prajña Parâmitâ (2)
(O) TASHINTSU : Il potere di conoscere i pensieri altrui (80)
(A) KOKYO : Lo specchio eterno (20)
(R) KAN-NON : Il Bodhisattva Avalokiteçvara (33)
Buddha
(S) YUIBUTSU YOBUTSU: Soli i
buddha e i buddha
(91)
(O) SOKUSHIN ZE BUTSU: La mente qui ed adesso è Buddha (6)
(A) BUSSHO: Natura-di-buddha (22)
(R) BUSSO: I patriarchi buddhisti (15)
G (O)
L'Universo
(S) GENJO KOAN: La legge
realizzata dell'Universo
(3)
(O) JUPPO: Le dieci direzioni (60)
(A) NYORAI ZENSHIN: L'intero corpo del Tathagata (71)
(R) IKKA NO MYOJU: Una perla brillante (4)
Rivelazione dell'Universo
(S) BUKKYO: I sutra buddhisti (52)
(O) MUJO SEPPO: Lo stato senza emozione predica il Dharma (53)
(A) SHOHO JISSO: Ogni cosa e fenomeno sono forma reale (50)
(R) HOKKE TEN HOKKE: L'Universo-loto fa girare l'Universo-loto
(17)
La natura
(S) KEISEI SANSHIKI: I suoni
della valle e la
forma delle montagne (9)
(O) SAN SUI GYO: Le montagne ed i fiumi come Sutra (14)
(A) TSUKI: La luna (42)
(R) BAIKE: Fiori di Prugno (59)
Rivelazione della natura
(S) SANGAI YUISHIN: Il triplice
mondo è
solo mente (47)
(O) KOKU: Lo spazio (77)
(A) GANZEI: Globi oculari (63)
(R) RYUGIN: Sussurri di drachi (65)
Causa ed effetto
(S) SHINJIN INGA: Profonda
credenza in cause ed
effetti (89)
(O) SHIZEN BIKU: Il Bhiksu [che fraintese] il quarto dhyana (90)
(A) SANJI NO GO: L'azione karmica nei tre tempi (84)
(R) DAI SHUGYO: La grande pratica (76)
Tradizione
(S) SHIME: I quattro cavalli (85)
(O) HAKUJUSHI: Cedri (35)
(A) KESA KUDOKU: I meriti del Kasaya (12)
DEN-E:La trasmissione del Vestito (13)
HATSU-U: I patra (78)
(R) SHISHO:Il certificato di trasmissione (16)
G (A)
Stabilimento della credenza
(S) SHUKKE: Trascendendo la vita
di familia
(83)
SHUKKE KUDOKU: I meriti del trascendere
la vita di
familia (86)
JUKAI: Ricevere i precetti (94)
(O) JU-UN-DO SHIKI: Regole per la Sala delle Nuvole (5)
(A) KAJO: Vita quotidiana (64)
(R) RAIHAI TOKUZUI: Prosternazione a [chicchessia] tiene il midollo
(8)
Precetti
(S) SANJU-SHICHI-BON BODAI BUNBO:
I trentasette
metodi alla Verità (73)
(O) JI KU-IN MON: Regole per la cucina (82)
(A) BODAISATTA SHI-SHO-BO: I quattro modi del Bodhisattva (45)
(R) HACHI DAI NINGAKU: Otto grandi verità umane (95)
Vita giorno per giorno
(S) KUYO SHOBUTSU: Servendo
offerte ai buddha
(87)
(O) SENJO: Lavarsi (7)
SENMEN: Lavarsi la faccia (56)
(A) JINZU: Capacità mistiche (25)
(R) DARANI: Dharani (55)
L'azione
(S) SHOAKU MAKUSA: Non fare il
male (10)
(O) GYOBUTSU IGI: Dignitoso comportamento di un buddha agente
(23)
(A) SHIJIN GAKUDO: Proseguire lo stato di verità attraverso
corpo-e-mente (37)
(R) GYOJI (I,II): L'azione morale e l'osservanza dei precetti
(30)
Pratica buddhista
(S) HENSAN: Completando lo studio
buddhista
(62)
(O) SOSHI SAIRAI NO I: L'intenzione del Primo Patriarca nel suo
venire dall'Ovest (67)
(A) MENJU: La trasmissione a faccia a faccia (57)
(R) KENBUTSU: Incontrare il Buddha (61)
Tempo
(S) SHUNJU: La primavera e
l'autunno (66)
(O) ANGO: Il ritiro (79)
(A) UJI: Esistenza-tempo (11)
(R) SHOJI: Vita-e-morte (92)
G (R)
Scopo
(S) DAIGO: La grande
Realizzazione (26)
(O) JUKI: Affermazione (32)
(A) BUTSUDO: Buddhismo (49)
(R) BUTSU KOJO NO JI: Il fatto del progresso di un buddha (28)
Lo stato buddhista
(S) MITSU GO: Sussurri mistici
(51)
(O) UDONGE: Il fiore di Udumbara (68)
(A) KATTO: Maranta e wisteria (46)
(R) KOMYO: Chiarezza (36)
Cosa esiste
(S) ARAKAN: Arhat (34)
(O) IPPIAKU HACHI HOMYO MON: Centootto porte che chiarificano il
Dharma (Appendice)
(A) ZENKI: Tutte le funzioni (41)
(R) O SAKU SENDABA: Il re richiede il Saindhava (81)
Zazen
(S) BENDOWA: Discussione a
proposito di perseguire
la Verità (1)
(O) ZAZEN GI: Il metodo standard di Zazen (58)
(A) ZAZEN SHIN: Un ago per Zazen (27)
(R) ZANMAI O ZANMAI: La Samadhi che è Re delle Samadhi
(72)
Lo stato in Zazen
(S) JISHO ZANMAI: Samadhi, stato
dello
sperimentare il Sé (75)
(O) HOSSHO: Natura del Dharma (54)
(A) KAI-IN ZANMAI: Sagara Mudra Samadhi, uno stato come il mare
(31)
(R) INMO: L'ineffabile (29)
Non sto pretendendo che questo sia l'unico modo per classificare i capitoli nello Shobogenzo, ma ci da effettivamente un modo di individuare ognuno dei capitoli nell'assieme della struttura dell'opera.
Costruzione dei capitoli individuali
Nei capitoli possiamo scoprire una struttura simile al livello dei paragrafi. Vorrei illustrare questo in termini concreti dando un'occhiata al capitolo Genjo Koan che ho già citato. Questo capitolo funge da buona introduzione generale allo Shobogenzo, e lo citerò qui appieno.
(3) Genjo Koan
La legge realizzata dell'Universo
Genjo significa "realizzato." E koan è un'abbreviazione di ko-fu no un-toku, che era un tabellone per affiggere una nuova legge e pubblicarla nella Cina antica. Così koan esprime una legge, o un principio universale. Nello Shobogenzo, genjo koan significa la legge realizzata dell'Universo, cioè il Dharma, o lo stesso Universo reale. In questo capitolo, Maestro Dogen ci predica il Dharma realizzato, o lo stesso Universo reale. Il Buddhismo è intrinsecamente una credenza nell'Universo reale. Così, questo capitolo spiega la base fondamentale del Buddhismo. Ecco perché, quando l'edizione in settentacinque capitoli dello Shobogenzo fu compilata, a questo capitolo venne dato il primo posto. Da questo fatto, possiamo riconoscere l'importanza di questo capitolo.
[83] Quando ogni cosa e fenomeno [5] esiste come insegnamenti buddhisti, [6] allora ci sono delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune. Quando milioni di cose e fenomeni [7] sono tutti separati da noi, ci sono né delusione né illuminazione, né buddha né gente comune, né vita né morte. Il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, e così [in realtà] c'è vita e morte, c'è delusione e realizzazione, ci stanno gente e buddha. Benché tutto questo possa essere vero, i fiori appassiscono anche se gli amiamo, e le erbacce crescono anche se le odiamo, e nient'altro.
[84] Spingerci a praticare e sperimentare milioni di cose e fenomeni è delusione. Quando milioni di cose e fenomeni ci praticano e sperimentano attivamente, questo è realizzazione. Coloro che realizzano totalmente la delusione sono buddha. Coloro che sono totalmente delusi a proposito della realizzazione sono gente comune. C'è gente che ottiene una realizzazione ulteriore sulla base della realizzazione. C'è gente che aumenta la sua delusione immersi nella delusione. Quando i buddha sono realmente buddha, non hanno bisogno di riconoscersi in quanto buddha. Nondimeno, sperimentano lo stato di buddha, e vanno avanti sperimentando lo stato di buddha.
[85] Anche se noi impieghiamo tutto il nostro corpo-e-mente per guardare le forme, e anche se noi impieghiamo tutto il nostro corpo-e-mente per udire i suoni, percependoli direttamente, [la nostra umana percezione] mai può essere come il riflesso di un'immagine in uno specchio, o come l'acqua e la luna. Quando asseriamo un lato, stiamo ciechi dall'altro lato.
[86] Imparare il Buddhismo è imparare noi stessi. Imparare noi stessi è dimenticare noi stessi. Dimenticare noi stessi è essere sperimentati da milioni di cose e fenomeni. Essere sperimentati da milioni di cose e fenomeni è lasciar sparire il nostro proprio corpo-e-mente, ed anche il corpo-e-mente del mondo esterno. [Allora] possiamo dimenticare la traccia [mentale] della realizzazione, e continuamente dimostrare i segni [reali] di una realizzazione dimenticata, istante per istante. [8]
[87] Quando una persona ricerca dapprima il Dharma, sta molto remota dai confini del Dharma. Ma non appena il Dharma è autenticamente trasmesso alla persona stessa, essa è un essere umano al suo proprio esatto posto. Quando un uomo sta navigando su una nave e muove i suoi occhi verso la sponda, egli fraintende che la sponda si muova. Ma se mantiene i suoi occhi sulla nave, egli può riconoscere che è la nave a muoversi in avanti. [Lo stesso,] quando noi osserviamo milioni di cose e fenomeni con corpo-e-mente turbato, noi pensiamo erroneamente che la nostra propria mente o il nostro proprio spirito possano essere permanenti. Ma se noi ci familiarizziamo con la nostra condotta reale e ritorniamo a questo posto concreto, diventa chiaro che i milioni di cose e fenomeni sono diversi da noi stessi. La legna diventa cenere; non potrà mai tornare ad essere legna. Nondimeno, non dovremmo aderire alla veduta che la cenere è il suo avvenire e che la legna è il suo passato. Dovremmo riconoscere che la legna occupa il suo posto nell'Universo in quanto legna, ed ha il suo istante passato ed il suo istante futuro. E benché si possa dire che abbia il suo passato ed il suo avvenire, l'istante passato e l'istante futuro sono separati. La cenere esiste al suo posto nell'Universo come cenere, ed ha il suo istante passato ed il suo istante futuro. Proprio come mai potrà ancora la legna essere legna dopo esser diventata cenere gli esseri umani non possono vivere ancora dopo della loro morte. Perciò è una regola nel Buddhismo non dire che la vita torna in morte. Ecco perché noi parliamo di "non comparsa." [9] Ed è insegnamento buddhista come stabilito nella predica del Buddha Gautama che la morte non torni in vita. Ecco perché noi parliamo di "non scomparsa." Ed è insegnamento buddhista come stabilito nella predica del Buddha Gautama che la morte non torni in vita. Ecco perché noi parliamo di "non scomparsa."[5] La vita è una situazione istantanea, e la morte è pure una situazione istantanea. E' lo stesso, ad esempio, con l'inverno e la primavera. Non pensiamo che l'inverno diventi primavera, e non diciamo che la primavera diventi estate.
[89] Una persona che ottiene la realizzazione è come la luna riflessa [10] nell'acqua: la luna non diventa bagnata, e l'acqua non è rotta. Benché la luce [della luna] sia larga e grande, si può riflettere in un piede o un pollice di acqua. L'intera luna e l'intero cielo si possono riflettere in una goccia di rugiada su di un filo d'erba o in una singola goccia di pioggia. La realizzazione non riforma [11] un uomo, proprio come la luna non trafora l'acqua. Un uomo non ostacola la realizzazione,[12] proprio come una goccia di rugiada non ostacola il cielo e la luna. La profondità [della realizzazione] può essere lo stesso dell'altezza concreta [della luna]. [Per capire] la sua durata, dovremmo esaminare i piccoli ed i larghi corpi di acqua, e notare le diverse larghezze del cielo e della luna [quando riflessi nell'acqua]. [13]
[90] Quando il Dharma non ha completamente riempito il nostro corpo-e-mente, ci pare che il Dharma sia abbondantemente presente in noi. Quando il Dharma riempie il nostro corpo-e-mente, ci pare che qualcosa [14] stia mancando. Ad esempio, navigando sull'oceano, aldilà della veduta delle montagne, quando guardiamo attorno nelle quattro direzioni, [l'oceano] sembra di essere soltanto tondo; non sembra di avere qualsiasi altra forma. Nondimeno, il grande oceano non è tondo e non è quadrato, e ci stanno tante altre caratteristiche dell'oceano che non potrebbero mai esser contate. [Per i pesci] è come un palazzo e [per gli dei nel cielo] è come una collana di perle [15]. Ma per quanto lontano possano vedere i nostri occhi umani, sembra essere solo tondo. Lo stesso vale per tutto nel mondo [16]. Il mondo secolare ed il mondo buddhista [17] includono un gran numero di situazioni, ma possiamo vederle e capirle solo tanto lontano quanto i nostri occhi di studio buddhista ce lo permettono. Così se noi vogliamo sapere il modo in cui sono naturalmente le cose, [18] dovremmo ricordarci che gli oceani e le montagne hanno caratteristiche innumerevoli a parte l'apparenza di quadratura o di rotondità, e dovremmo ricordarci che ci stanno [altri] mondi in [tutte le] quattro direzioni. Questo non vale solo per la periferia; dovremmo ricordarci che lo stesso vale per questo posto qui ed adesso, e per una singola goccia di acqua.
[91] Quando i pesci nuotano nell'acqua, benché continuino a nuotare, non c'è fine all'acqua. Quando gli uccelli volano nel cielo, benché continuino a volare, non c'è fine al cielo. Allo stesso tempo, pesci ed uccelli non hanno mai lasciato l'acqua o il cielo. Più [acqua o cielo] impiegano, più utile è; meno [acqua o cielo] gli serve, meno utile è. Agendo così, ognuno realizza i propri limiti ad ogni momento ed ognuno fa le capriole [in completa libertà] dappertutto [19]; ma se un uccello lascia il cielo morirà subito, e se un pesce lascia l'acqua morirà subito. Così possiamo concludere che l'acqua è vita ed il cielo è vita; allo stesso tempo, gli uccelli sono vita, e i pesci sono vita; può essere che la vita sia uccelli e che la vita sia pesci. Ci possono essere altre espressioni andiamo anche più in là. L'esistenza della pratica e dello sperimentare, l'esistenza della loro età stessa e della vita stessa si possono anche [spiegare] così. Eppure, un uccello o un pesce che tenterebbe di capire l'acqua o il cielo completamente, anche prima di nuotare o di volare, non potrebbe mai trovare [20] il proprio cammino o trovare il suo posto nell'acqua o in cielo. Ma quando troviamo questo posto qui ed adesso, ne segue naturalmente che il nostro comportamento reale realizzi l'Universo. E quando troviamo un modo concreto qui ed adesso, ne segue naturalmente che il nostro comportamento reale realizza l'Universo. Questo modo e questo posto esistono come realtà perché non sono grandi né piccoli, perché non sono in relazione con noi stessi né con il mondo esterno, e perché non esistono in partenza e compaiono nel presente. Allo stesso modo, se qualcuno sta praticando e sperimentando il Buddhismo, quando riceve un insegnamento, realizza solo questo insegnamento, e quando incontra una [opportunità ad] agire, compie solo questa azione. Questo è lo stato nel quale il posto esiste e la via è realizzata, ed ecco la ragione per cui non possiamo chiaramente riconoscere dove stanno [il posto e la via] -- perché questo riconoscimento e la perfetta realizzazione del Buddhismo compaiono assieme e vengono sperimentati assieme. Non pensate che quel che avete raggiunto entrerà inevitabilmente nella vostra propria coscienza e verrà riconosciuto dal vostro intelletto. L'esperienza dello stato ultimo è subito realizzata, ma un mistico qualcosa non sempre si manifesta. La realizzazione non è sempre definitiva. [21]
[94] Maestro Ho-tetsu [22] del Monte Mayoku stava impiegando un ventaglio. A quel momento, un monaco entrò e gli chiese, "[Si dice che] la natura dell'aria sia sempre presente, e che non c'è posto che l'aria non possa giungere. Perché allora impiega il Maestro un ventaglio?"
Il Maestro disse, "Conosci solo [l'idea astratta] che la natura dell'aria è sempre presente, ma non hai capito il fatto [23] che non c'è posto dove l'aria non possa giungere."
Il monaco disse, "Cos'è il significato del principio [23] 'Non c'è posto dove l'aria non possa giungere'?"
A questo, il Maestro solo [continuò a] impiegare il ventaglio. Il monaco si prosternò. [24] L'esperienza reale del Buddhismo, il comportamento strepitoso [25] della tradizione buddhista, [26] è così. Uno che dice che poiché [l'aria] è sempre presente, non abbiamo bisogno di impiegare un ventaglio, o che pur quando noi non impieghiamo [un ventaglio] possiamo ancora sentire l'aria, non conosce la semper-presenza, e non conosce la natura dell'aria. Poiché la natura dell'aria è di essere semper-presente, il comportamento dei buddhisti fa sicché la Terra si manifesti come oro, e faccia maturare la Via lattea in delizioso formaggio. [27]
Shobogenzo Genjo Koan
Questo capitolo fu scritto attorno a Ferragosto [28] [nel calendario lunare] nel primo anno dell'era di Tenpuku [1233], e fu presentato al discepolo laico Yo Koshu del distritto di Kyushu. Fu pubblicato nel quarto anno dell'era di Kencho [1252].
Il capitolo si divide in nove paragrafi, e l'ottavo paragrafo è più coerente se lo si divide fra due sotto-paragrafi. Questo ci da dieci paragrafi per capitolo, e questi dieci paragrafi si possono ripartire in quattro gruppi come prima.
Mi riferirò ad ognuno paragrafo impiegando il numero tra parentesi quadre che si riferisce a la pagina corrispondente nella mia opera "Lo Shobogenzo in giapponese moderno." Il paragrafo [83] è il primo paragrafo nel quale Maestro Dogen pone i principi fondamentali che governano l'assieme della struttura dello Shobogenzo. Questo primo paragrafo pone il quadro teorico e di per sé appartiene al punto di veduta soggetttivo.
I paragrafi [84], [85], [86] e [87] sono delle descrizioni di situazioni concrete pertinenti per qualcuno che sta perseguendo la verità buddhista. Queste descrizioni appartengono quindi al secondo gruppo; il punto di veduta oggettivo.
Ma all'interno di questo secondo raggruppamento oggettivo, possiamo ancora suddividere. Il paragrafo [84] riporta un'intenzione personale o volizione, ed è quindi soggetttivo per sua natura all'interno del maggiore gruppo oggettivo.
Il paragrafo [85] riporta una percezione sensoriale ed il mondo esterno, ed è quindi nella seconda fase o sotto-gruppo oggettivo.
Il paragrafo [86] riporta una pratica personale concreta ed appartiene alla terza fase.
Il paragrafo [87] riporta una realtà concreta perché spiega la relazione mutua tra soggetto e oggetto, e l'idea buddhista fondamentale di tempo istantaneo nel presente.
Così all'interno del secondo gruppo contenendo i paragrafi [84], [85], [86], e [87] troviamo la struttura (S), (O), (A), (R), benché i quattro paragrafi appartengano al gruppo (O).
I paragrafi [89], [90], la prima parte di [91], ed la seconda parte di [91], sono delle descrizioni di sforzi buddhisti fattuali, di fatti buddhisti o di atteggiamento buddhista.
Il paragrafo [89] è una spiegazione dell'ottenere l'illuminazione, e l'illuminazione è l'aspetto mentale del realizzare la verità. Così questo paragrafo appartiene a la prima fase della pratica buddhista: il paragrafo [89] è un paragrafo (S) nel gruppo (A).
Il paragrafo [90] descrive le situazioni concrete di una persona che ha ottenuto l'illuminazione: appartiene dunque alla fase oggettiva, ed il paragrafo [90] è un paragrafo (O) nel gruppo (A).
Mi pare sia coerente dividere il paragrafo [91] in due paragrafi, perché a partire dall'inizio del paragrafo sino alla frase delle nona e decima linea: "può essere che la vita sia uccelli e che la vita sia pesci," Maestro Dogen rappresenta l'idea dell'unità fra l'agente e l'azione. Ma a partire dalla frase "ci potrebbe essere un'altra espressione che va ancora più in là," la fine del paragrafo rinvia alla materia concreta, cioè pratica, esperienza, età. Così sembra naturale che il paragrafo venga diviso in due.
Il paragrafo ([94] è l'ultimo paragrafo nel capitolo, ed appartiene al gruppo (R). Maestro Dogen cita una storia buddhista cinese a proposito di Maestro Mayoku Ho-tetsu ed il suo discepolo. Fondamentalmente, la verità buddhista, cioè la realtà, non può esser descritta con parole. Quando Maestro Dogen vuole parlare della realtà, a volte cita una storia buddhista ovvero Koan. Questo paragrafo è un buon esempio del suo impiegare la storia cinese per simbolizzare la realtà.
Ora possiamo fare il sommario della struttura generale del capitolo:
1. [83] -- Espressione del
principio. Para (S)
includendo (S), (O), (A), e (R).
2. [84] -- Aspetto teorico di fatti buddhisti oggettivi. Para (S) nel
gruppo (O).
3. [85] -- Aspetto percettivo di fatti buddhisti oggettivi. Para (O)
nel gruppo (O).
4. [86] -- Fatti buddhisti fattuali e concreti. Para (A) nel gruppo
(O).
5. [87] -- Realizzazione del Dharma nei fatti buddhisti concreti.
Para (R) nel gruppo (O).
6. [89] -- Descrizione soggettiva di sforzi buddhisti fattuali. Para
(S) nel gruppo (A).
7. [90] -- Descrizione oggettiva di sforzi buddhisti fattuali. Para
(O) nel gruppo (A).
8. [91]i -- Descrizione dell'azione con paragone. Para (A) nel gruppo
(A).
9. [91]ii -- Descrizione dell'azione in ultimo. Para (R) nel gruppo
(A).
10.[94] -- Espressione simbolica del Dharma ovvero della
realtà tramite l'uso dei Koan. Para (R) nel gruppo (R).
La struttura SOAR
Ho sottolineato il modo in cui lo Shobogenzo segue quest'eccezionale struttura SOAR, fondata sul principio di Tre Filosofie ed una Realtà. La struttura SOAR ci guida dal (S)oggettivo all'(O)ggettivo, ed ancora all'(A)zione ed alla (R)ealtà.
Struttura SOAR al livello dei paragrafi
All'interno di ciascun paragrafo del Genjo Koan possiamo ancora tracciare la struttura SOAR. Ho analizzato la struttura del primo paragrafo un po' prima in questo articolo. La prima frase del secondo paragrafo descrive il sorgere dell'illusione a partire dall'intenzione soggettiva. Dice "Spingerci a praticare e sperimentare milioni di cose e fenomeni è illusione." Questa è un'espressione soggettiva della differenza trarealizzazione ed illusione e questa frase appartiene quindi alla fase soggettiva.
Poi la frase seguente dice " Quando milioni di cose e fenomeni ci praticano e sperimentano attivamente, questo è realizzazione." Questa frase descrive le circostanze oggettive che influiscono su di una persona che agisce, ed appartiene quindi alla fase oggettiva.
A partire dalla terza frase il paragrafo dice "Coloro i quali realizzano totalmente l'illusione sono buddha. Coloro i quali sono totalmente delusi a proposito della realizzazione sono gente comune. C'è gente che giunge ad una realizzazione ulteriore sulla base della realizzazione. C'è gente che aumenta la sua illusione nel mezzo dell'illusione." Queste frasi descrivono le situazioni effettive della gente che giunge alla realizzazione e che viene delusa dalla realizzazione. Così queste frasi appartengono alla fase dell'azione.
Le frasi seguenti dicono "Quando i buddha sono realmente buddha, non hanno bisogno di riconoscersi come buddha. Nondimeno, sperimentano lo stato di buddha, e vanno avanti sperimentando lo stato di buddha." Queste due frasi esprimono lo stato di buddha realizzato, e così appartengono all'ultima fase.
Perciò, nel secondo paragrafo [84], la prima frase appartiene a (S), la seconda frase a (O), le quattro frasi seguenti a (A), e l'ultime due frasi a (R ).
Un altro esempio compare nel paragrafo seguente [85]. Questo paragrafo si riferisce alla percezione diretta, e quindi l'intero paragrafo appartiene ad (O). Ma allo stesso tempo la prima frase, "impiegare la nostra mente per guardare alle forme ed impiegare la nostra mente per udire i suoni" si riferisce al soggetto, e di conseguenza, questa parte della frase appartiene dunque a (S ).
Inoltre, "impiegare il nostro corpo per guardare le forme e impiegare il nostro corpo per udire i suoni" sta in relazione con la percezione del mondo esterno o degli oggetti attraverso i sensi, e allora questa parte della frase appartiene dunque a (O ).
L'ultima parte della frase, "[la nostra umana percezione] non potrà mai essere come il riflesso di un'immagine in uno specchio, o come l'acqua e la luna" descrive le situazioni effettive dell'umana percezione sensoriale ad appartiene quindi ad (A).
E poi, la frase seguente è "Quando asseriamo un lato, noi stiamo ciechi dall'altro lato." Questa frase esprime la realtà della nostra abilità a percepire con i sensi ed appartiene quindi a (R).
Allo stesso modo possiamo rintracciare la struttura SOAR a livello dei paragrafi attraverso quasi tutti i paragrafi nello Shobogenzo.
Struttura SOAR al livello delle frasi
A l'inizio del Genjo Koan possiamo scoprire la frase seguente: "Quando ogni cosa e fenomeno esiste come insegnamenti buddhisti, allora ci stanno illusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune." La frase comprende quattro paia di parole: illusione e realizzazione, pratica ed esperienza(non era teoria e pratica?), vita e morte, e buddha e gente comune. Il primo paio di parole, illusione e realizzazione, è una distinzione di stato d'animo ed è del tipo (S). Il secondo paio, pratica ed esperienza, è concreto e fattuale ed è quindi del tipo (O). Vita e morte sono direttamente in relazione con l'esistenza e sono dunque del tipo (A), e buddha e gente comune sono distinzioni che facciamo nella vita reale e sono del tipo (R). Così persino all'interno di una singola frase possiamo veder operare la struttura SOAR. Questa è una chiara indicazione che Maestro Dogen adoperava questa struttura in quattro fasi in tutti i suoi scritti filosofici.
Struttura SOAR al livello delle parole composte
Siccome tutti i pensieri di Maestro Dogen erano a a quattro fasi, possiamo scoprire la struttura SOAR persino a livello delle parole composte. Ad esempio, ci stanno quattro composti specifici che vengono frequentemente adoperati in tutto lo Shobogenzo. Sono chonei, ganzei, kento e biku. Il composto chonei significa una testa. Viene spesso adoperato come simbolo del pensiero intellettuale. Ganzei significa globi oculari ed viene spesso adoperato a indicare il punto di veduta oggettivo o materiale. Kento significa un pugno ed viene spesso adoperato come simbolo dell'azione. E biku significa narici, adoperate come simbolo della vita stessa, a partire dall'antico simbolismo indiano dell'aria che respiriamo, e che è la base della vita.
Così questi quattro composti recano la struttura SOAR. Chonei o intelletto è (S), ganzei o percezione sensoriale è (O), kento o azione è (A) e biku o vita stessa è (R). Senza capire il simbolismo che recano questi quattro importanti composti nello Shobogenzo, è extremamente difficile sondarne il significato reale.
Un altro esempio è dimostrato dai quattro composti hoshin, shugyo, bodai, e nehan. Hoshin sta per hotsu bodaishin, insediamento della volontà per la verità. Shugyo significa sforzi concreti nel proseguire il Buddhismo. Bodai significa arrivare alla verità, e nehan è lo stato sereno e pacifico stesso.
Hosshin è volonta e quindi (S), shugyo è sforzo concreto e quindi (O), bodai è azione (A) e nehan è verità (R). Solo riconoscendo la struttura SOAR possiamo significativamente interpretare questi gruppi di composti nello Shobogenzo.
Struttura SOAR al livello carattere-parola
Se postuliamo che la struttura SOAR corre attraverso l'assieme dei pensieri e scritti di Maestro Dogen, allora dovremmo poterla rintracciare persino al livello carattere-parola. E lo possiamo difatti!
Il concetto buddhista centrale di dharma viene tradotto in Giapponese come ho. Quando cominciai ad afferrare l'organizazione generale del pensiero nello Shobogenzo, osservai che ho veniva utilizzato in parecchi modi diversi a secondo il contesto. Si può facilmente classificare questi parecchi modi in quattro gruppi.
Il primo significato di ho è 'insegnamenti del Buddha Gautama'. Il Buddha Gautama ci insegnò la verità filosofica ultima che chiamiamo dharma. Così ho si può tradurre qui come insegnamento, filosofia, teoria, principio. La prima frase del Genjo Koan contiene il composto buppo, combinazione di butsu e ho. Qui butsu significa buddha ed in questo contesto ho significa insegnamenti, cosicché buppo significhi 'insegnamenti buddhisti', cioè gruppo (S).
Ma nella stessa frase possiamo scoprire il composto shoho, combinazione di sho e ho, che si traduce con 'ogni cosa e fenomeno'. Qui sho significa 'molteplice' e ho significa 'mondo esterno', 'sostanza materiale', 'ambiente'. Così ho prende anche questa interpretazione concreta (O).
Nel paragrafo [91] del Genjo Koan possiamo scoprire questa frase: "Ma quando troviamo questo posto qui ed adesso, ne segue naturalmente che il nostro comportamento reale realizza l'Universo." Il Giapponese tradotto come "qui ed adesso" è ippo, combinazione di ichi, uno e ho, dharma. In questo contesto, ho suggerisce la nostra condotta al momento presente (A).
E nell'ultimo paragrafo [94] le parole "L'esperienza reale del Buddhismo" sono buppo in Giapponese. In questo contesto lo ho di buppo suggerisce dharma o la realtà ineffabile in ultimo (R).
Così persino a livello carattere-parola, si può osservare che il raggruppamento SOAR sia una parte integrale della struttura dello Shobogenzo.
La struttura SOAR e la sua pertinenza nella storia del pensiero mondiale
Per concludere, inserirò fermamente la struttura SOAR nella corrente del pensiero mondiale.
Una delle differenze più importanti tra gli esseri umani e le scimmie la si trova nella differenza di peso dei rispettivi cervelli. Questo fatto ci consente di credere che gli esseri umani siano ben più intelligenti delle scimmie. Infatti, nessuno potrebbe seriamente negare che l'intelletto sia proprio la caratteristica centrale che mette gli esseri umani da parte rispetto alle altre specie.
La civiltà greco-romana rappresenta forse uno dei punti maggiori nello sviluppo del nostro mondo, ed è qui che possiamo dapprima vedere la divisione del pensiero in due correnti distinte. Possiamo vedere perché succedette questo nella natura propria del pensiero stesso: noi guardiamoci dentro e diventiamo soggettivi, o fuori e diventiamo oggettivi. Non abbiamo altra scelta al livello intellettuale.
Platone chiaramente era un introverso: un idealista, che basava la sua filosofia attorno alla verità delle idee. Ma quella medesima civiltà produsse Democrito, che insisteva che il mondo è un accumulazione di molecole. Questi era un materialista. Questi due punti di veduta filosofici stanno sempre in conflitto; le credenze dell'uno contraddicono quelle dell'altro. Gl'idealisti credono nella libertà umana; i materialisti sono deterministi. I due concetti si escludono mutualmente.
Alla fine dell'Impero romano, la filosofia platonica, fondamentalmente idealista, s'incontrò con la crescente religione del Cristianesimo. La filosofia platonica, il potere delle idee e la supremazia dello spirito diedero al Cristianesimo una forte base filosofica per spiegare le sue credenze, e fu quello a consentire al Cristianesimo di estendersi e crescere in potenza come si muoveva attraverso l'Europa.
In Europa, il Medioevo fu diretto dalle credenze; mente, spirito e fede venivano venerati mentre il corpo fisico, la materia ed il mondo secolare venivano rigettati. Vista così, l'Europa medioevale era un'età dell'idealismo (S).
Durante il Rinascimento, la gente riscoprì la sua fisicalità e le sue percezioni sensoriali. La credenza poco a poco si ricentrò su ciò che si poteva percepire con i sensi, e il dubbio sorse in quelle aree che non c'entravano. Questo segnò l'inizio dell'età della scienza. A un certo momento nel periodo che va dal Cinquecento al Settecento, cioè, all'inizio della rivoluzione scientifica, ebbe luogo un irreversibile movimento verso della scienza e lungi dalla religione. Susseguentemente, al diventare più forte la scienza, si mise a diminuire la forza delle religioni idealiste sino a giungere un culmine attorno a circa la metà dell'Ottocento. La filosofia materialista di Marx segnò, forse, il culmine de pensiero materialista, inducendo Nietzsche a proclamare la 'Morte d'Iddio'. Il periodo a partire dal Rinascimento sino alla fine dell'Ottocento, segnò dunque una fase fortemente materialista (O) nello sviluppo della nostra civiltà.
Quando diventò ovvio che la veduta scientifica del mondo non lasciava posto alcuno per dei, religione, spirito, questo di per sé diede luogo ad un crescente sentimento di disagio, di ansietà. E tale ansietà fu la forza motrice nella ricerca di una nuova filosofia che potesse trascendere il materialismo. Esistenzialismo, pragmatismo, fenomenologia sono tutte filosofie della vita il cui scopo è ricoprire il valore della condotta umana, dell'etica e della nozione dell'essere. In questo senso hanno a che vedere con le nostre azioni (A) in questo mondo.
Da questo piuttosto audace e largo schizzo del flusso della civiltà occidentale, possiamo vedere le origini dell' idealismo (S) nella Grecia antica, la riscoperta della materia ed del mondo esterno (O) nel Rinascimento, il culmine della veduta materialista nel mezzo dell'Ottocento, e la mossa a ricercare una qualche filosofia che trascendesse ambedue (A) nei tempi moderni. Ma se ci limitassimo all'area dell'intelletto nella nostra ricerca, cioè, l'area dove noi analizziamo e comprendiamo il mondo soltanto razionalmente, l'area dove la mente regna suprema, è impossibile scoprire una nuova filosofia che ci consentesse di ricuperare un valore umano nel bel mezzo delle nostre società materialiste.
Per guidare la nostra civiltà in una età nuova, una età dove la nostra condotta reale ha valore, così come i nostri pensieri a proposito della nostra condotta, allora abbiamo da realizzare il significato e le limitazioni dell'intelligenza umana. Ecco perché la nostra condotta fattuale in questa terra non è un attività intellettuale. Nell'area dell'attività intellettuale, possiamo scoprire due approcci o filosofie fondamentali; la filosofia del soggetto, e la filosofia dell'oggetto. Ma la nostra condotta, le nostre azioni, non appartengono alla stessa area della filosofia. Questo è un fatto semplicissimo ma importantissimo da realizzare. Il corpo di conoscenza che descrive questo fatto è pur esso solo una filosofia -- io l'ho chiamata la filosofia dell'azione.
Adoperando la struttura SOAR che ho sottolineata qui, possiamo mettere la filosofia idealista e la filosofia materialista ai loro propri posti. E possiamo muoverci in avanti a vedere che la filosofia dell'azione, benché corpo di conoscenza, non è limitata a discussioni nell'area intellettuale -- segna una via per entrare nell'area dell'azione stessa. Questa via è l'antichissima pratica di Zazen. Nello stato in Zazen stiamo seduti nella realtà e possiamo realizzare chiaramente quel fatto. E l'esperienza dello stare nella realtà piuttosto che dello vivere nel mondo dell'intelletto abbisogna della sua propria filosofia. Così la struttura SOAR diventa un ponte tra filosofia tradizionale e realtà -- un ponte dal mondo materialista della società moderna ad una età nuova di civiltà umana fondata sulla condotta o l'azione stessa. Ecco il valore dello Shobogenzo e questo è il messaggio di Maestro Dogen.
Io spero sinceramente che i numerosi studiosi della religione attraverso il mondo verranno tratti verso il messaggio trasmesso dallo Shobogenzo. Spero che la struttura SOAR quivi sottolineata aiuterà le opere di Maestro Dogen a trovare il loro posto giusto nella storia del pensiero del mondo.
Note
1. Questa e tutte le citazioni susseguenti tratte dallo Shobogenzo in questo articolo provengono dalla traduzione di G.W. Nishijima e Mike Cross. [ritorno]
2. Fu è una parola di negazione, raku significa una caduta, in significa causa e ka significa effetto. Così la traduzione letterale è "non cade [in] causa ed effetto." [ritorno]
3. Fu è una parola di negazione, mai significa oscuro o ignorante, e inga significa causa ed effetto. Così la traduzione letterale è "non [essere] oscuro [a proposito di] causa ed effetto." [ritorno]
4. Ho trattato questo problema in dettaglio nel mio articolo "A Buddhist Monk's View of the Theological Encounter III" proposto per pubblicazione nel Journal of Buddhist-Christian Studies. [ritorno]
5. "Ogni cosa e fenomeno" è all'origine sho-ho (tutti i dharma). La parola sanscrita dharma ha molti significati, ad esempio, legge, insegnamenti, sostanza, entità, cosa, pratica, ecc. [ritorno] [ritorno]
6. "Insegnamenti buddhisti" è all'origine buppo (dharma buddhista). [ritorno]
7. "Milioni di cose e fenomeni" è all'origine banpo (decine di migliai di dharma). [ritorno]
8. "Traccia" e "segni" sono tutti all'origine la stessa parola -- seki. "Continuamente, istante per istante" è all'origine cho-cho (lungo-lungo). [ritorno]
9 "Senza comparsa" è fu-sho. Fu esprime la negazione. Sho significa "comparire" o "comparsa," ed anche "vivere" o "vita." A secondo la teoria buddhista dell'istantaneità, l'Universo compare e scompare ad ogni momento. Cioè, l'Universo esiste momentaneamente. E poiché esiste momentaneamente, non è possibile dire che compare o scompare da un attimo all'altro. Così "senza comparsa" esprime l'istantaneità dell'Universo, e "senza scomparsa" pur esso esprime l'istantaneità dell'Universo. [ritorno]
10. In tutto questo paragrafo, "essere riflesso in" è all'origine yadoru, dimorare. [ritorno]
11. Lett. "non rompe." In altre parole, la realizzazione non cambia l'uomo di per sé. [ritorno]
12. In altre parole, un uomo non cambia lo stato di realizzazione. [ritorno]
13. Lett. "Quanto a la lunghezza e piccolezza del tempo, dovremmo esaminare le grandi acque e le piccole acque, e dovremmo discernere la larghezza e la strettezza del cielo e della luna." [ritorno]
14. Lett. "un lato." [ritorno]
15. "Collana di perle" è all'origine yo-raku, dal sanscrito muktahara. Questa frase è un riferimento a un idea citata nel commento chiamato Sho Dai Jo Ron Shaku Ryaku Jo. L'idea è che diversi soggetti vedono lo stesso oceano in diversi modi. Per i pesci è un palazzo, per gli dei è come una collana di perle, per gli esseri umani è acqua, e per i demoni è sangue o pus. [ritorno]
16. Banpo. Vedi nota 7. [ritorno]
17. Lett. "Polvere interna" (il mondo secolare) e "aldilà del quadro" (il mondo buddhista trascendente). [ritorno]
18. Banpo no kafu. Lett. "lo stile usuale delle decine di migliai di cose e fenomeni." Ka significa casa, vita quotidiana o usuale. Fu significa vento, atmosfera, o stile. [ritorno]
19. La frase originale sta nello stile di doppia negazione: "Non è il caso di non realizzare le limitazioni ad ogni testa, e non è il caso di non fare capriole dappertutto." [ritorno]
20. Lett. "ottenere" o "giungere a." [ritorno]
21. "Non sempre definitiva" è all'origine due caratteri, ka e hitsu. Questi caratteri erano adoperati in Cinese per esprimere le domande "Come sarebbe necessario di...?" o "Come si potrebbe decidere che...?" [ritorno]
22. Successore di Maestro Baso Do-itsu. [ritorno]
23. "Fatto" e "principio" sono ambedue all'origine la medesima parola dori. [ritorno]
24. Shinji Shobogenzo pt.2, no.23. A secondo la storia nel Shinji Shobogenzo, dopo della prosternazione del monaco, il Maestro dice, "Inutile maesro di monaci! Se avesti mille studenti, quale guadagno ci sarebbe?" [ritorno]
25 . "Comportamento" è all'origine "l'aria" (fu). Fu significa "vento," "aria" o "atmosfera," e quindi "stile", "costumi," "modi" o "comportamento." Viene molto frequentemente adoperata nello Shobogenzo con questo ultimo significato, ad esempio, para.[90] di questo capitolo nella frase banpo no ka-fu, "il modo in cui le cose naturalmente sono." [ritorno]
26. Lett. "la vigorosa strada autenticamente trasmessa." [ritorno]
27 . Maestro Goso Ho-en disse nella sua predica formale, "Per cambiare la Terra in oro, e sbattere la Via lattea in formaggio." Formaggio è so-raku, che era un prodotto latteo come yogurt o formaggio. La metafora funziona ancora meglio nelle lingue europee quanto nella forma di origine, poiché la galassia che noi chiamiamo "la Via lattea", in cinese la si chiama "il Lungo Fiume". [ritorno]
28 Lett. "circa alla metà dell'autunno." Nel calendario lunare, l'autunno è luglio, agosto, e settembre. Il 15 di agosto starebbe sempre a luna piena. Siccome il cielo d'autunnoè usualmente chiarissimo, si diceva questo fosse il miglior giorno per vedere la luna. A Maestro Dogen piaceva guardare la luna, e dunque il 15 di agosto era un giorno preferito per lui. [ritorno]
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