Può
la carota fare la felicità dell'asino?
Ognuno conosce la faccenda della carota
appesa all'estremità di una pertica, davanti al naso
dell'asino, per forzarlo a camminare.
L'altro giorno,al vedere un bambino che
strillava "Ne ho voglia!" davanti alla facciata di un negozio di
articoli ad un euro, mi sono rammentato un episodio dello stesso
genere, con un mio nipotino, ed eccomi ripartito sui tre
veleni:avidità, ira ed ignoranzia.
Sembra proprio che l'avidità sia
uno dei principali motori dell'essere umano. A secondo D.
Loy (e sono
d'accordo), tale avidità è in relazione col
Non-Se.
Si sa che il Buddhadharma insegna il Non-Se,
cioè che nulla esista di per se, cioè independantemente del
proprio contesto, cioè ancora senza relazione col resto.
Ora, se tale principio è relativamente facile da integrare,
in tanto che si tratti di cose e di oggetti, come per esempio che non
si ha libri senza carta e senza inchiostro, che non c'è
inchiostro senza delle materie concui viene fatto, né carta
senza gli alberi o le piante da carta, senza processo vegetale, e
così via, senza contare l'autore, che rimane indispensabile,
allora tutto ciò va bene, ma rimane ben più
difficile ammetterlo per se stessi.
E persino se volessimo ammetterlo per il
nostro corpo, i nostri bisogni fisici, le nostre origini, ecc., ci
resta un piccolo ridotto per il quale non vorremmo ammettere il non-se,
ed è la nostra coscienza. L'uomo si è dunque
immaginato un'anima immortale incarcerata in un corpo temporaneo;
dopodiché ci stanno più opzioni, tra cui la
cristiana contemporanea,di scelta tra inferno e paradiso per
l'eternità, o purgatorio, svariatamente prima del paradiso
per l'eternità.
Tale schema comporta parecchie varianti, che
si ritrovano persino nel Buddhismo Mahayana; viene concorrenzato dallo
schema metempsicotico, dove l'anima farfalleggia da un'esistenza
all'altra, con o senza esistenze animali, l'idea basilare stando sempre
al premiare i buoni e punire i cattivi.
Ma l'idea basilare del Buddha Dharma,
è che l'essere umano, al più profondo di se
stesso, sa la realtà del Non-Sé, e tenta con
tutti i mezzi di dimostrare il contrario, sopratutto grazie alla
possessione. "Possiedo, ergo
sum". L'idea
generale essendo: "Valgo qualcosa, poiché possiedo tanto",
o, "poiché ho tanto potere", od ancora, "poiché
mi ammira ttanta gente".
A scala ridotta, ciò si
può manifestare con la macchina, l'orologio, l'amico o
l'amica. Esistere nello sguardo altrui, poiché non
è possibile nel suo proprio.
Dunque, per tornare alla carota, se non
ottengo quel che desidero, è la stessa esistenza mia che ne
viene minacciata!
Uno dei casi più tipici,
è quello del desiderio carnale e della gelosia. Il dimanio
delle passioni dove il verbo patire ha una parte cosi bella! Certi vanno fino a
suicidarsi ("annientarsi") in certi casi estremi.
Le persone più tormentate da
questo problema tendono a lanciarsi in una politica di acquisti senza
fine: sia in beni materiali, in potere, o in conquiste sessuali, non
c'è ne mai abbastanza. Il profeta Mohammed(su di lui la
pace, su di lui la salvezza!) diceva che se si dasse al figlio di Adamo
un monte di oro, egli ne chiederebbe subito uno secondo.
Come di fatti è il processo
d'acquisto che conta, e non l'acquisto stesso, il processo è
senza fine e di là, disperante. Esattamente come la carota
che pende davanti al naso dell'asino.
E' in tal sens o che bisogna rinunciare. Non
necessariamente ai beni di questo mondo (va bene, lo si può
fare, lo fanno i monaci, ma è una tappa di più)
ma sopratutto all'attaccamento che ci abbiamo. E' il modo
più sicuro che la nostra felicità non venga
guastata dagl'infortuni dell'esistenza. Asino, rinuncia alla tua carota.
Mxl