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Zen Meridionale Potersi sedere in loto ©
Nanabozho (Gichi Wabush) |
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Introduzione: il mio andamento personale
Esercizi di ammorbidimento: le salutazioni al sole
La cultura del loto: o come non danneggiarsi le ginocchia
Introduzione: il mio andamento personale
Per parecchi anni, a partire dal 1973, il Buddhismo e, in particolare, lo Zen, non sono stati per me altro che oggetti di studio intellettuale. Mi attraeva il Buddhismo, e la biblioteca dei miei mi offriva qualche occasione d'informarmi, ma, nello stesso tempo, ci trovavo una costretta che rifiutavo, senza menzionare la mancanza di spiegazioni corrette che mi lasciava intravvedere alcunché un po' nichilista. Queste esitazioni mi hanno nondimeno concesso di offrirmi --- niente più -- una buona cultura generale del Buddhismo.
Tra tanti libri, una vita di Milarepa, vite dei maestri Zen, una vita del Buddha, e poi, coll'andare degl'incontri e degli suggerimenti di lettura, Alan Watts, e sopratutto il celeberrimo Zen and the Art of Motorcycle Maintenance, di Robert M. Pirsig. Devo peraltro menzionare che questi fu l'unico a menzionare, fosse soltanto di sfuggita, l'interesse del sedersi. Alan Watts, per menzionarlo, sosteneva che fosse inutile. E' solo dopo l'aver letto il manga di Sakaguchi Hisachi Ikkyu, biografia romanzata del celebre monaco zen del quattrocento, che s'impose a me l'idea che dovetti praticare zazen.
Lo Zen, introdotto in Francia da Taisen Deshimaru a partire dagli anni '60, essendo ben rappresentato un po' dappertutto, è molto naturale che mi sia indirizzato verso il dojo zen locale per poter intraprendere tale pratica. Pare pero che la morte prematura di maestro Deshimaru, nel 1982, non abbia permesso di correggere qualche incoerenze in seno all'associazione da lui fondata, coinvolgendo lacune enormi a livello dell'insegnamento e del consiglio ai praticanti. Il fatto che la discussione e lo scambio tra praticanti vi siano fortemente sconsigliati, a beneficio di un'esclusività dell'insegnate, sembrano aver fatto sicché la pratica in seno a tale associazione tenda a ridursi a sedersi e 'bbona sera.
Avevo, in occasione della mia prima sesshin (le ritirate di pratica intensiva di zazen) chiesto al responsabile se conoscesse un modo di alleviare il mal delle ginocchia. Invece, egli mi rispose con una formula in (come si suol dire in francese) "lingua di legno", oppure l'equivalente "zen" del politichese, che il mal di ginocchia è una manifestazione dell'ego ! Pur avendo tale risposta trovato in me, malgrado tutto, un senso, non ho potuto non stupirmi di una tale ed ovvia mancanza di compassione e d'intelligenza, da parte di quel insegnante. A quel punto, non è possibile troppo raccommandare a tutti quanti vogliono cominciare la meditazione di stare attenti a quel tipo di cose. Ho diffatti imparato in seguito che sono parecchi i danni irreversibili che spettano all'articolazione del ginocchio, per mancanza di un ammorbidimento idoneo. Niente giustifica che uno si possa ritrovare andicappato, a prescindere dal fatto che nella maggioranza dei casi, tale andicap allontana per sempre il praticante dalla meditazione seduta, a volte dopo parecchi decenni di pratica assidua.
Di più, sembra anche che la pratica di zazen senza la pieghevolezza del corpo, e senza lo studio dei testi, possa giungere allo sviluppo di rigidità non solo fisiche, ma persino mentali, a « dessicare » la persona, che così diventa meschina, dura, arcigna, e persino scortese, in poche parole, il dinanzi totale di quel che ci si aspetterebbe da una pratica buddhista. Con questa strana conclusione che centinaia, oppure miliaia di persone si credono praticare zazen si da anni mentre danno sbagliatamente quel nome ad una pratica che non ha nulla a che vedere con la verità di zazen.
Così sono arrivato a cercare su di Internet, in ricerca di fonti alternativi, quale il sito di maestro Nishijima, in seguito a che sono diventato il suo discepolo. D'altronde, trovai sul sito dell'Albuquerque Zen Center, negli Stati Uniti di America, la riproduzione di un antico articolo tratto da un magazine di yoga. Essendo poco legibili le foto, mi sono risolto a sostituirle con illustrazioni personali.
Finalmente, con la raccomandazione di un collega insegnante buddhista, faccio, ogni mattina, il sûrya namaskar, le « salutazioni al sole ». Tale esercizio è eccellente per ammorbidire un organismo invecchiato, irrigidito dopo di una notte di immobilità, e mantenere un organismo giovane nella propria tonicità. Consente pure un riscaldamento dei muscoli prima di cominciare gli esercizi che seguono, e ho quindi aggiunto un diagramma di spiegazione per chi sarebbe interessato.
A venticinque anni, mancavo enormemente di scioltezza. A trenta, potevo appena toccare i miei ginocchi col piegarmi in due, e a quasi cinquant'anni, si può immaginare che non c'era stato miglioramento. Quando ho cominciato la pratica di zazen, quello si è dimostrato andicappante, e mi sembrava che non si doveva migliorare da solo. Da quasi dieci anni che faccio questi esercizi, mi hanno progressivamente permesso di ammorbidire le mie articolazioni sino al punto che, coll'avvicinarsi della sessantina, dispongo di una scioltezza di gran lunga superiore a quel ch'era nella mia gioventù, e mi sento oggi fisicamente molto meglio nella mia vita quotidiana, nonché tanto più ad agio nella pratica di zazen
Namo Dharmaya
Michel Yûdô Proulx, il 15 settembre 2006
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