L'altro giorno, ho tradotto l'ultimo
articolo di Brad Warner
che tratta di un libro che egli ha letto su di ancora un altro guru
abusivo. Nello stesso tempo, ho una corrispondenza con un giovanotto
incontrato in occasione di una una sesshin con Maestro Nishijima, e che
annoia molto il fatto che un amico suo (che ho incontrato pure lui)
avesse deciso d'inseguire la via del guru autoritario (e quindi fra
poco abusivo, è fatale). Ciò, più una
donna che mi tocca ogni tanto incontrare per strada che aveva
conosciuto a Deshimaru, e chi, dopo della morte di costui, è
andata apresso al suo erede rivendicato, Kôsen; costei, dopo
che lo stesso Kosen la abbia buttata fuori dal suo dojo, dopo
più di vent'anni di devozione cieca, sta soltanto cercando
un altro sostituto del padre da vampirizzare.
Sono quindi ben costretto di costatare che i
guasti del "guruismo" non si limitano a delle lontane contrade
orientali o americane.
C'è un piccolo esercizio mentale
cui mi adisco ogni tanto, e lo trovo istruttivo assai. Quando mi viene
una fantasia ingombrante (ma mi sa che lo son tutte), tento di metterla
colle spalle al muro. La prova ab absurdum, in somma. Una trentina d'anni fa, un'epoca
dunque cui già seviziava il guruismo, mi ero fatto la
riflessione che diventare un guru e fondarsi una setta era certo un
mezzo efficiente di farsi un sacco di quattrini e di saziare i suoi
desideri di potere, di carisma e di sesso facile.
Ma col proseguire l'esercizio nei modi quivi
specificati, mi sono accorto dei seguenti dettagli: certo, il guru gode
di una autorità (pressapoco) incontestata. (Cotanti ci
provano conoscono peraltro rapidamente il loro dolore. Scomunicati! )
Certo, egli può godere di vantaggi materiali considerevoli,
senza pur menzionare il danaro facile. Ma ben bisogna accorgersi che,
persino in questa semplice proiezione speculativa, questa situazione
esclude in partenza il guru dal classico circuito della amicizie: vive
circondato da coloro i quali vengono attratti dal suo carisma e il suo
potere. I suoi veri amici tendono a staccarsi da lui, visto che
l'ambiente del guru gli rende sempre più intollerabile la
critica anziche le osservazioni negative. Chi più
è, non può più gioire della
discrezione dell'anonimato. Robert Pirsig, l'autore di Lo Zen e l'arte della manutenzione della
motocicletta,
nel suo libro seguente, Lila,
menziona
che un maestro zen, nel corso di una ritirata a loro aveva detto: "Non
diventate troppo celebri, seno andrete direttamente all'Inferno".
Forse può il guru farsi tutte le
ragazze (o magari i ragazzi) che vorrà. (Giovane, avevo
incontrato un tipo che mi si era confidato che il suo guru gli faceva
le penetrazioni sessuali anali, a fine di "fargli scoprire la sua
Kundalini." Ovviamente, non mi fù possibile fargli valere
che stava facendosi ... avere). Ma quando potrà il guru
assicurarsi che la persona è sincera, e non attratta da
tutto tranne la sua persona reale? Stiamo nella situazione del famoso
dilemma di Armida, che usa della magia per sedurre Rinaldo. Ma quando
ci riesce, subito si lamenta che Rinaldo a lei è legato solo
in modo coatto. Vorrebbe che l'amore di lui per lei fosse sincero, ma
non lo può essere se egli libero non è, e se lo
libera, ella sa che lo perderà...
Ma quel che più mi aveva
disgustato in quella proiezione, era l'idea di non poter mai far nulla
senza venir spiato, accompagnato, inseguito dalle assiduità
dagli ammiratori ed seguaci, ecc. Che il dire "Basta, sono stufo, me ne
vado a Tahiti!" non sia possibile, perché, ad ogni modo, ci
sarebbero sempre minimo uno o due cretini a voler accompagnarti a tutti
costi, mi era parso insoportabile. Mi piace essere libero nei miei
movimenti, è una delle ragioni perché mi piace la
moto. Ma come andare colla moto (perlomeno al modo che a me piace)
quando si è un guru?.
Finalmente, mi pare quindi che se ci si tiene
alla propria libertà, si evita di diventare un guru. E se si
è sinceri nella propria volontà di aiutare gli
altri, si evito lo stesso di diventare un guru. Ma è meno
facile. Come resistere all'adulazione frenetica di ammiratori e trici
quando si è circondati da loro, in una situazione che
valorizzi tanto e così necessariamente la nostra piccola
persona? Al tipo che ha un minimo di complessi, può
dimostrarsi devastante.
Sin dall'estate scorsa, jsono anch'io
presunto essere un "maestro zen". Se c'è chi tale
affermazione fassi crollare di risate, ne sarò felicissimo,
visto che le risate fanno bene. Ovviamente, per essere un maestro, ci
vogliono gli allievi, e finora potevo ancora rassicurarmi al vedere che
non ne ho uno solo. Purtroppo, devo ammettere che non è del
tutto vero. Non è vero perché, come ho
riflettuto, non c'è bisogno avere una classe ed un gruppo di
allievi iscritti per insegnare: è una cosa che facccio ogni
giorno, il più discretamente possibile, per evitare un mio
enorme diffetto: l'essere "cattedratico". In seguito, ci sono delle
persone che mi consultano regolarmente per corriere elettronico, e a
quelle mi sento il dovere di reispondere quanto più
onestamente che possibile.
Siccome la mia priorità
più immediata, per il momento, è di uscire dal
buco nel quale la mia incuria mi ha buttato, ho ben poca voglia di
precipitarmi in piazza per gridare "Udite! Udite! Venite ascoltare la
Buona Parola del Buddha cui sono uno degli eredi (no 91!). Diffido
molto troppo di me stesso, di una parte, e sopratutto, sono molto
troppo pigro, rispetto agli argomenti quivi menzionati. Ma mi sa che
dovrò qualche giorno cedere alle sirene del dovere. E
lì mi toccherà radoppiare la vigilanza.
Mxl