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© Nanabozho (Gichi Wabush)
Aggiornamento di questa versione italiana : 15 gennaio 2004

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Maestro Zen

 

L'altro giorno, ho tradotto l'ultimo articolo di Brad Warner che tratta di un libro che egli ha letto su di ancora un altro guru abusivo. Nello stesso tempo, ho una corrispondenza con un giovanotto incontrato in occasione di una una sesshin con Maestro Nishijima, e che annoia molto il fatto che un amico suo (che ho incontrato pure lui) avesse deciso d'inseguire la via del guru autoritario (e quindi fra poco abusivo, è fatale). Ciò, più una donna che mi tocca ogni tanto incontrare per strada che aveva conosciuto a Deshimaru, e chi, dopo della morte di costui, è andata apresso al suo erede rivendicato, Kôsen; costei, dopo che lo stesso Kosen la abbia buttata fuori dal suo dojo, dopo più di vent'anni di devozione cieca, sta soltanto cercando un altro sostituto del padre da vampirizzare.

Sono quindi ben costretto di costatare che i guasti del "guruismo" non si limitano a delle lontane contrade orientali o americane.

C'è un piccolo esercizio mentale cui mi adisco ogni tanto, e lo trovo istruttivo assai. Quando mi viene una fantasia ingombrante (ma mi sa che lo son tutte), tento di metterla colle spalle al muro. La prova ab absurdum, in somma. Una trentina d'anni fa, un'epoca dunque cui già seviziava il guruismo, mi ero fatto la riflessione che diventare un guru e fondarsi una setta era certo un mezzo efficiente di farsi un sacco di quattrini e di saziare i suoi desideri di potere, di carisma e di sesso facile.

Ma col proseguire l'esercizio nei modi quivi specificati, mi sono accorto dei seguenti dettagli: certo, il guru gode di una autorità (pressapoco) incontestata. (Cotanti ci provano conoscono peraltro rapidamente il loro dolore. Scomunicati! ) Certo, egli può godere di vantaggi materiali considerevoli, senza pur menzionare il danaro facile. Ma ben bisogna accorgersi che, persino in questa semplice proiezione speculativa, questa situazione esclude in partenza il guru dal classico circuito della amicizie: vive circondato da coloro i quali vengono attratti dal suo carisma e il suo potere. I suoi veri amici tendono a staccarsi da lui, visto che l'ambiente del guru gli rende sempre più intollerabile la critica anziche le osservazioni negative. Chi più è, non può più gioire della discrezione dell'anonimato. Robert Pirsig, l'autore di Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, nel suo libro seguente, Lila, menziona che un maestro zen, nel corso di una ritirata a loro aveva detto: "Non diventate troppo celebri, seno andrete direttamente all'Inferno".

Forse può il guru farsi tutte le ragazze (o magari i ragazzi) che vorrà. (Giovane, avevo incontrato un tipo che mi si era confidato che il suo guru gli faceva le penetrazioni sessuali anali, a fine di "fargli scoprire la sua Kundalini." Ovviamente, non mi fù possibile fargli valere che stava facendosi ... avere). Ma quando potrà il guru assicurarsi che la persona è sincera, e non attratta da tutto tranne la sua persona reale? Stiamo nella situazione del famoso dilemma di Armida, che usa della magia per sedurre Rinaldo. Ma quando ci riesce, subito si lamenta che Rinaldo a lei è legato solo in modo coatto. Vorrebbe che l'amore di lui per lei fosse sincero, ma non lo può essere se egli libero non è, e se lo libera, ella sa che lo perderà...

Ma quel che più mi aveva disgustato in quella proiezione, era l'idea di non poter mai far nulla senza venir spiato, accompagnato, inseguito dalle assiduità dagli ammiratori ed seguaci, ecc. Che il dire "Basta, sono stufo, me ne vado a Tahiti!" non sia possibile, perché, ad ogni modo, ci sarebbero sempre minimo uno o due cretini a voler accompagnarti a tutti costi, mi era parso insoportabile. Mi piace essere libero nei miei movimenti, è una delle ragioni perché mi piace la moto. Ma come andare colla moto (perlomeno al modo che a me piace) quando si è un guru?.

Finalmente, mi pare quindi che se ci si tiene alla propria libertà, si evita di diventare un guru. E se si è sinceri nella propria volontà di aiutare gli altri, si evito lo stesso di diventare un guru. Ma è meno facile. Come resistere all'adulazione frenetica di ammiratori e trici quando si è circondati da loro, in una situazione che valorizzi tanto e così necessariamente la nostra piccola persona? Al tipo che ha un minimo di complessi, può dimostrarsi devastante.

Sin dall'estate scorsa, jsono anch'io presunto essere un "maestro zen". Se c'è chi tale affermazione fassi crollare di risate, ne sarò felicissimo, visto che le risate fanno bene. Ovviamente, per essere un maestro, ci vogliono gli allievi, e finora potevo ancora rassicurarmi al vedere che non ne ho uno solo. Purtroppo, devo ammettere che non è del tutto vero. Non è vero perché, come ho riflettuto, non c'è bisogno avere una classe ed un gruppo di allievi iscritti per insegnare: è una cosa che facccio ogni giorno, il più discretamente possibile, per evitare un mio enorme diffetto: l'essere "cattedratico". In seguito, ci sono delle persone che mi consultano regolarmente per corriere elettronico, e a quelle mi sento il dovere di reispondere quanto più onestamente che possibile.

Siccome la mia priorità più immediata, per il momento, è di uscire dal buco nel quale la mia incuria mi ha buttato, ho ben poca voglia di precipitarmi in piazza per gridare "Udite! Udite! Venite ascoltare la Buona Parola del Buddha cui sono uno degli eredi (no 91!). Diffido molto troppo di me stesso, di una parte, e sopratutto, sono molto troppo pigro, rispetto agli argomenti quivi menzionati. Ma mi sa che dovrò qualche giorno cedere alle sirene del dovere. E lì mi toccherà radoppiare la vigilanza.

Mxl

 


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