© Nanabozho (il Coniglio Magno)
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Ringrazio Stuart Lachs che mi ha gentilmente autorizzato a tradurre questa opera sua.
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[Copyright (c) 1994 Stuart Lachs da un lavoro in corso. Nessuna parte di quest'articolo può esser riprodotta sotto alcuna forma senza il permesso per iscritto dall'autore.]
Il Buddhismo Zen è stato largamente conosciuto in America grazie agli scritti di D.T. Suzuki, che promuoveva un'interpretazione non-tradizionale, e modernista, dello Zen. Suzuki era uno scrittore e intellettuale giapponese che aveva sperimentato l'allenamento Zen in quanto laico, e che, collo scrivere nel clima intellettuale nazionalista del Giappone dell'inizio novecento, insisteva su di uno Zen liberato dal suo contesto buddhista Mahayanista, centrato su di una specie particolare di esperienza "pura" e senza la preoccupazione tradizionale del Buddhismo per la moralità [1] Questa veduta, oggi rappresentata da Abe Massao e la "Kyoto School" di filosofia religiosa, accentuava quegli aspetti del Buddhismo che sono, e i più diversi dalle tradizioni occidentali, e i più distintamente giapponnesi. Questa veduta ha generato nell'Occidente una concezione estesissima del Buddhismo Zen in quanto tradizione di valore esclusivamente cognitivo, disordinatamente preoccupato colle idee di Sunyata, di non-dualità, e di nulla assoluto, ma pochissima discussione sul karma, su di Marga (la Via), la compassione, o persino le "qualità maravigliose" della Buddheità. Tale veduta fallisce nel dare un'attenzione adeguata alle discipline positive, moralità inclusa, che comprendevano le vite reali dei Buddhisti, e facilmente porta a pensare che i Buddhisti sono incapaci di trattare seriamente il mondo ordinario dell'attività umana. [2] Questa veduta ha anche messo un accento estremo sull'imediatezza dell'illuminazione coll'idea corollaria all'effetto che il coltivare le "vedute corrette" deve essere considerato quanto auto-migliorazione, cioè gradualismo.
Il Buddhismo Zen è stato ricevuto nell'Occidente da una communità largamente universitaria che accettò , grosso modo acriticamente, la veduta modernista propinata da Suzuki. L'attrazione maggiore allo Zen per gli Americani di quel periodo (post 2da Guerra Mondiale) forse fu quella nozione di esperienza illuminata pura, colla sua promessa di certezza epistemologica, ottennibile attraverso un'allenamento sistematico alla meditazione. [3] Al dinanzi dai movimenti di stirpe psicologica, per la trasformazione personale, i cui dirigenti sembravano anche loro ricercatori, il Buddhismo Zen prometteva, nella persona dell'insegnante, un maestro che aveva difatti realizzato lo scopo buddhista dell'Illuminazione e manifestava le sue qualità in modo continuo attraverso la sua vita quotidiana.
Gli studenti americani dello Zen hanno avuto tendenza a tenere questi insegnanti in timore e venerazione, sino al punto di considerare le loro azione come pure e disinteressate. Questa tendenza all'idealizzare l'insegnante proviene in parte dalla mancanza di esperienza dello studente, ma viene anche fortemente favorita dall'organizzazione Zen e anche dall'insegnante stesso. Di recente, ho sentito un roshi americano sulla radio che stava promuovendo il suo libro. Insisteva sull'unicità nello Zen del lignaggio di "transmissione da mente a mente" da Shakyamuni fino ad oggi e su di come il roshi parla per, o sta al posto di, il Buddha. Siccome sono stati attratti al Buddhismo dalla presenza di una persona "illuminata", gli studenti sono venuti a riguardare il comportamento dell'insegnante quanto aldilà della critica, un atteggiamento irrealista che ha avuto conseguenze sfortunate.
A partire dal 1975 fino ad oggi, una serie di scandali ha fatto eruzione in un centro Zen dopo un altro, rivelando che parecchi maestri Zen avevano sfruttato gli studenti sessualmente e finanzialmente. Questo listino ha incluso, a diversi periodi, gl'insegnanti principali della Zen Studies Society in New York City, il San Francisco Zen Center, il Zen Center di Los Angeles, il Cimarron Zen Center in Los Angeles, l'oramai defunto Kanzeon Zen center in Bar Harbor, Maine, il Morgan Bay Zendo in Surry, Maine, il Providence Zen Center ed il Toronto Zen center. Questi stanno tra i centri più grandi e più influenti. Nella maggior parte dei casi, i scandali hanno durato in continuo per anni, o sono parsi finire solo per riprendere di nuovo. In un centro, per esempio, i scandali sessuali sono stati ricorrenti per qualche venticinque anni collo stesso maestro e parecchie donne. Questi scandali sono stati pervasivi quanto persistenti, colpendo quasi tutti i principali centri Zen americani.
Bisogna insistere che la fonte del problema non sta nell'attività sessuale per se, ma nell'abuso di autorità e la natura ingannevole (e sfruttante) di tali affari. Questi affari furono condotti in segreto, ed anche negati pubblicamente. Gl'insegnanti spesso mentirono alle allieve implicate sulla natura della relazione. In certi casi, il maestro pretese che l'esperienza sessuale doveva avanzare lo sviluppo spirituale dell'allieva. Un insegnante giustificò le sue molteplici avventure sessuali dopo la loro scoperta quanto necessarie per il rafforzare del centro Zen. Presumibilmente perché parecchie delle donne implicate dirigevano centri satellitari del suo e che l'aver un'avventura segreta col "maestro" approfondirebbe la loro comprensione e la loro pratica.
Il plagio praticato da questi uomini ha avuto effetti estesissimi in quasi tutti i casi. Le studentesse implicate furono spesso schiacciate dal sapere che erano state sfruttate proprio dalla persona cui si fidavano di più. Talune ebbero bisogno di psicoterapia per parecchi anni, in seguito. Vi furono colassi mentali e matrimoni rotti. I centri Zen furono straziati a fazioni tra quelli che lamentavano il comportamento dell'insegnante e tra chi lo negava o scusava. Gli apologisti, quando non negavano assolutamente l'accaduto, lo spiegavano a raggione della "pazza saggezza" dell'insegnante, o più communemente biasimavano la vittima o anche rigettavano tutto l'affare colla scusa che l'insegnante non è perfetto. Un altra spiegazione era che lo studente non capiva ancora bene l'insegnamento. E' stato raro che i maestri Zen in America venissero puniti. Di solito, quelli che obiettavano a quel che accadeva o se ne andavano da soli, o erano spinti fuori dal centro da quelli leali al maestro, senon dal maestro stesso. Certi studenti che se ne sono andati hanno in seguito smesso di praticare mentre altri furono così delusi e amareggiati che abbandonarono completamente il Buddhismo.
Gl'insegnanti Zen americani che sono stati scoperti nel loro plagio sono di rado stati pubblicamente criticizzati per la loro condotta da altri maestri Zen, sia qui che in Giappone. In un caso, membri della gerarchia Zen giapponese minacciarono di por fine alla formazione di uno studente che voleva che si deportasse un monaco giapponese plagiario. Lo studente finì infatti per starsi tranquillo, finì la sua formazione, ed è oggi un roshi ben noto. Il monaco di chi si tratta è il roshi già descritto che ha sfruttato la sua situazione per venticinque anni.
Il riflettere sopra questi problemi mi ha portato a investigare la storia dello Zen da più vicino, in particolare certi termini chiave che sono venuti a caratterizzare il Buddhismo Zen. Cosa, ad esempio, significano i termini di "trasmissione del Dharma" e "roshi", che tanto impepano le conversazioni tra gli studenti americani dello Zen e conferiscono tanta autorità sull'insegnante? Sarà infallibile la trasmissione del Dharma? Cosa dice la tradizione stessa sulla regolazione della condotta dei monaci? Sarà unico lo Zen tra le religioni, nell'avere nessuna dimensione morale o etica come lo credono tanti praticanti? Saranno queste cose specifiche alla nostra coltura americana permissiva? Sarà che ci siamo fatti una veduta esaggeratamente idealizzata della storia del Cian/Zen? Ci sarà nella nostra pratica qualcosa che "manca" se i supposti esemplari dell'allenamento non possono trattare in modo responsabile colla gente e le situazioni circostanti? Dovremmo tenere in mente che dal punto di vista dello Zen, la verità non può esser espressa in parole, ma ci si può soltanto alludere nelle attività spontanee e naturali della vita quotidiana. [4] E' l'allenamento ai koan, in particolare, condotto in un modo che non coincide colla vita che si fa nel mondo reale? O, più fondamentalmente, si considererà erroneamente l'allenamento ai koan come compiendo da solo la Via del Buddha? Sarà questi diventato una fine in se? Sarà l'allenamento Zen e lo studio dei koan in particolare non in vista della liberazione, ma bensì una formazione specifica alla spontaneità e all'apprendistato di certi modi stilizzati di essere? Ci saranno aspetti della relazione tra maestro e alllievo che richiedessero di essere cambiati? Che peso, semmai, si dovrebbe dare alle trasmissioni fatte in seguita da un maestro poco onorevole? Che significato ha lo stesso termine "monaco"? Quanto dallo Zen, come lo pratichiamo nell'Ovest, davvero est-asiatico, ma sopratutto di coltura giapponese col suo carattere autoritario e ritualizzato specifico?
Un trattamento pieno di queste domande va oltre lo scopo di questo articolo, ma io credo che questi soggetti richiedono un esame e una discussione seria. Il nocciolo dell'affare viene a questo: come operano le istituzioni del Buddhismo Zen nel mondo rispetto al come noi ci aspettiamo che funzionino sulla basi della veduta essenzialmente idealizzata che abbiamo accettato acriticamente.
Cosa allora sarebbe il contenuto di questa veduta idealizzata? Consideriamo dapprima il senso del termine "trasmissione del Dharma". A secondo la veduta largamente ritenuta, la trasmissione del Dharma è il riconoscimento da parte dell'insegnante che lo studente ha raggiunto "la mente del Buddha" e che questa comprensione è uguale a quella dell'insegnante. E' la continuità di questa catena di menti illuminate suppostamente esclusiva allo Zen e risalendo al Buddha storico, catena che è la basi concettuale per la considerevole autorità del maestro. Dal punto di vista della tradizione Zen, è la trasmissione del Dharma che giustifica di tenere il maestro per il Buddha, il che è quel che ha fatto la tradizione Zen sin dalla dinastia dei Tang.[5] E' quest'utilizzazione di un lignaggio spirituale in quanto basi per l'autenticità ("una trasmissione fuori dalle scritture")[6], piuttosto che un testo specifico, che distinguisce la scuola Cian dalle altre scuole buddhiste cinesi del periodo. Quest'interpretazione implicherebbe che la trasmissione del Dharma viene data solo sulla basi della realizzazione spirituale dello studente. Dopo investigazione, il termine "trasmissione del Dharma" risulta molto più flessibile ed ambiguo quanto noi occidentali lo supponiamo. Certo, viene dato in riconoscimento del fatto che lo studente ha raggiunto una realizzazione spirituale così profonda come quella del maestro stesso. Questa veduta, e correttamenta questa sola, viene a volte chiamata "trasmissione da mente a mente". Trasmissione da mente a mente implica logicamente l'illuminazione del discepolo. Tuttavia, la trasmissione del Dharma è anche stata data per altre raggioni. A secondo alcuni universitari, la trasmissione del Dharma è stata in realtà interpretata quanto adesione ad un lignaggio d'insegnamento, concessa per una qualsiasi delle seguenti, presunte leggittime, raggioni: lo stabilire i propri contatti politici, vitali per il benessere del monastero; il cementare un connessione personale con un allievo; l'aumentare l'autorità di missionari [7] spargendo il Dharma all'estero; o il provvedere salvezza (in modo postumo, nel Giappone medioevale) col permettere ad un recipiendario deceduto di raggiungere "la linea di sangue" del Buddha. Verso la fine della dinastia dei Sung (960-1280 PC), perlomeno, la trasmissione del Dharma venne data meccanicamente ai responsabili anziani di un monastero, presumibilmente per non bloccare la loro strada verso l'abbaziato.[8] E chiaro che l'illuminazione non fu sempre considerata essenziale alla trasmissione del Dharma. Manzan Dohaku (1636-1714), un reformatore Soto, sosteneva questa veduta, col citare a autorità l'immensa figura dello Zen giapponese, Dogen (1200-1253).[9] Questa diventò, e rimane sino ad oggi, la concezione ufficiale dello Zen Soto.
Philip Kapleau narra la storia che gli aveva racontato Nakagawa Soen roshi, della scuola Rinzai, che lui (Soen roshi) non aveva il kensho quando Gempo roshi lo designò come successore.[10] A secondo l'interpretazione di un ricercatore, la trasmissione formale difatti non costituiva più di un'investitura rituale di un allievo in una genealogia istituzionalmente certificata. [11]
In quanto lezione sul significato della storia istituzionale, badiamo alla scuola odierna dello Zen Soto in Giappone. Questa scuola si sforza di riprodurre le strutture istituzionali dei tempi di Dogen quando ogni tempio Soto doveva avere un abbate, ed ogni abbate doveva avere la trasmissione del Dharma. Nel 1984, c'erano 14,718 tempi Zen Soto in Giappone e 15,528 bonzi Soto. Siccome ogni abbate deve essere un bonzo, segue che ogni bonzo Soto (95%) ha la trasmissione del Dharma. Si deve notare che una maggioranza di questi bonzi passeranno meno di tre anni in un monastero. Più interessante ancora, mentre molto è stato scritto nei testi Soto sul rituale della trasmissione del Dharma, c'è quasi niente sulle qualifiche richieste per essa. [12]
Il termine "roshi" pure è stato usato in una varietà di modi. Ancora una volta, prevale un' interpretazione idealizzata tra gli studenti dello Zen che prendono "roshi" per significare "maestro," cioè qualcuno che è pienamente illuminato sino al punto che ogni gesto suo manidesta l'Assoluto. Storicamente in Giappone, "roshi" è difatti a volte capito per indicare un rango basato sullo sviluppo spirituale, mentre in altre epoche, si usa come termine di titolo dalla connotazione di rispetto e basta. Sembra che ci siano state occasioni nel uso giapponese (e particolarmente Soto) dove denotava soltanto un rango amministrativo. Non c'è autorità centrale ne in Cina, ne in Giappone o da nessuna parte che certifichi il passaggio di chiunque nella "rosheità", passaggio basato su un qualsiasi criterio e di certo, non la realizzazione spirituale. Non sarebbe una falsa affermazione dire, come lo notò una volta Soko Morinaga roshi, il già presidente dell'Università [Rinzai] Hanazono: "Un roshi è chi si chiama con questo termine, e riesce ad aver altra gente chiamarlo così".
Un esempio interessante si può vedere nella persona di Philip Kapleau. Il Sig. Kapleau usa il titolo "roshi" ed i suoi allievi, come quasi tutti gli studenti dello Zen, lo chiamano così. Il Kapleau è stato estremamente influente, così attraverso il suo insegnamento personale come tra i suoi libri e articoli, nello spargere lo Zen in America e all'estero. Se nient'altro, ha insegnato per parecchi anni ed è rimasto intatto dai scandali, una cosa che parecchi altri con una trasmissione del Dharma e titoli ufficiali non possono dire. Eppure, il Kapleau stesso ha esplicitamente affermato che non è un erede del Dharma del suo insegnante, Yasutani roshi, e che non ha ricevuto il titolo di roshi da lui ne da nessun altro.[13] Essenzialmente, lo ha preso lui, quel titolo. Questo non vuol dire che non è ne più ne meno qualificato di chiunque altro. E interessante vedere che il Kapleau ha "trasmesso" a taluni dei suoi discepoli. Questo è essenzialmente una linea che commincia con lui, contrariamente a tutte le altre linee Zen, che, perlomeno, retoricamente mantengono il mito di un lignaggio ininterrotto risalendo sino al Buddha Shakyamuni.[14]
"Nello Zen coreano, l'equivalente del roshi/Maestro Zen, il pangjang, sta sorprendentemente in una posizione eletta e compie all'inizio un mandato di dieci anni... Se il maestro non da una prestazione soddisfaccente, una petizione di cinquanta monaci basta a far tenere una votazione di richiamo... Le affinità di un monaco stanno più con i suoi compagni di meditazione che con un maestro specifico". [15] Questo è estremamente diverso dal modello giapponese che si crede communemento in America essere l'unica forma autentica.
Il termine "monaco" è un' altra parola che richiede un poco di esame. Il termine cinese significa "persona lasciatocasa" e viene applicato esclusivamente ad individui che hanno lasciato le loro famiglie e seguono le regole monastiche, che includono il celibato tra altri. I Giapponesi usano la stessa parola (obosan) sia per 'monaco' che per 'prete', e ammettono del matrimonio, come lo fanno certe scuole coreane. [16] In America, quando si usa da certe persone Zen che fanno parte di linee originarie dal Giappone, il termine "monaco" non ha significati ben definiti. Il celibato è di rado implicito nell'uso americano del termine. Un uomo sedicente monaco può esser sposato, può vivere con qualcuno, o può avere una fidanzata. Una situazione similare vale per le monache. Può anche accadere che un "monaco" abbia una "monaca" da fidanzata. Ci sarà gente per dirsi monaco o monaca che saranno celibi, ma sarebbero una minoranza nel mondo americano dello Zen. E non è che i monaci Zen americani seguano gli altri requisiti o regole monastiche, quali evitare spettacoli, alcolici, e relazioni coi membri del sesso opposto. Un gruppo Zen americano è andato sino all'istituzione di un nuovo rito, "l'unione spirituale", per riconoscere e leggittimare le relazioni sessuali tra membri che si considerano altrimenti come monaco e monaca celibi .[17]
L'idealizzazione inerente ai termini "trasmissione del Dharma", "roshi" e "monaco" ha contribuito ai problemi che abbiamo sperimentato nello Zen americano. Dalla natura propria dei ruoli che lo studente ascrive ai titoli, da meccanicamente all'insegnante una fiducia che non darebbe a nessun altro. Questa fiducia è spesso completa e naturale, perché il portare le sottane significa tradizionalmente il voltare le spalle alle motivazioni egoistiche, il voto di salvare tutti gli esseri senzienti e il non infliggere danni. Per un osservatore non familiare con questo tipo di pratica religiosa, l'estensione sino alla quale lo studente si arrende può sembrare stupefacente. Parecchia gente accetta questo tipo di fiducia nella pratica spirituale, ma arreca problemi quando l'insegnante non ha la maturità emozionale o non è abbastanza disciplinato per assumere la responsabilità di guidare studenti. Benché possa l'insegnante avere un certo livello di realizzazione, è troppo spesso lontano dalla veduta idealizzata che ne ha lo studente o che propinano le istituzioni Zen. "Nella tradizione Cian, la retorica sostiene che ogni trasmissione è perfetta, che ogni successore è l'equivalente spirituale del suo predecessore... l'aspetto basilare è la sua natura participativa; ricevere la certificazione dell'illuminazione da un maestro Cian/Zen è giungersi alla successione dei patriarchi ed entrare in una communione dinamica con i savvi dei tempi antichi. O si appartiene al lignaggio dei maestri illuminati, o no; non c'è una categoria intermediaria, tipo "quasi illuminato" o "piuttosto come un maestro".[18]
Nello Zen, si può identificare un processo a due tempi, guardare dentro e guardare fuori. Il guardare dentro include il processo della meditazione; il guardare fuori include il prendere il maestro a modello per la vita, ed a ispirazione per la pratica. Come è corrente nella pratica religiosa di tipo gnostico, l'insegnante nello Zen è l'arbitrio finale della realtà. Non solo giudica del livello di saggezza/penetrazione dell'allievo, ma, almeno per gli allievi più vicini, spesso fa commenti e giudica di ogni aspetto della vita quotidiana dell'allievo. Tuttavia, come si è visto, c'è spesso una seria disparità tra la veduta che ha l'allievo dal suo maestro, e la vita effettiva del maestro. I studenti non reggono il maestro rispetto a una qualsiasi regola di condotta, non solo per che non si sentono l'autorità sufficiente per fare tali giudizi sul maestro. Temono anche che le critiche che potrebbero minare l'autorità dell'insegnante potessero gettare un dubbio sul valore dei loro anni di pratica sotto questo maestro. Certi ne sono venuti a sentirsi doverosi del proteggere immature istituzioni Zen nei Stati Uniti, ed esitano nel contribuire al danno che uno scandalo pubblico potrebbe causare. Altri temono che questo potesse impericolare la loro salita a una posizione d'insegnante.
Com'è già stato menzionato, mentre D. T. Suzuki ed altri hanno portato gente a credere che non c'era una moralità prescritta nello Zen, è un quadro diverso che si sorge se guardiamo agli inizi storici dello Zen. In Cina, dove cominciò lo Zen, in monasteri Zen divennero distinti dagli altri monasteri colle famose regole di Baizhang (749-814) che è censato aver prescritto un codice di condotta rigoroso per i membri della communità monastica, e penalità severe per la condotta scorretta. Accade che tutti i resoconti classici della fondazione per Baizhang di un sistema indipendente di formazione monastica Cian si possono rintracciare a una fonte sola: le "Regole dell'Approccio Cian" (Chanmen Gueishi) scritto approssimativamente verso il 960 PC [19] A secondo questo testo, "se il reo ha commesso un'offesa seria, doveva venir bastonato col proprio bastone". La sua sottana e la sua ciotola ed altra roba monastica venivano bruciati davanti alla communità radunata, ed era (così) espulso [dall'ordine dei monaci buddhisti]. Veniva quindi buttato fuori [dal monastero] per una porta laterale in segno della sua disgrazia. Le regole si applicavano a tutti. Baizhang raccomendava per giunta di "nominare abbate una persona spiritualmente percettiva e moralmente lodevole". Questo implica assolutamente un aspetto morale e sociale alla vita Cian. Ecco la logica dello Zen dalle sue più antiche formulazioni in quanto scuola buddhista distinta.
Se gli studenti hanno offerto un potere eccessivo agli insegnanti, ciò non ci dice perché tanti insegnanti Zen hanno preso vantaggio dell'opportunità di abusare di quel potere. Dopo tutto, non lo hanno fatto tutti. La domanda sorge, non spesso fatta nei circoli Zen americani, di cos'è la relazione tra risveglio e condotta? Cosa dobbiamo capire dalle ovvie disparità in una persona che ha la sanzione istituzionale, cioè la trasmissione del Dharma, che è supposta avere una perspicacia profonda, ma che si conduce in modo irresponsabile? E' difficile capire perché maestri dai titoli altisonanti e lunghi anni di pratica meditativa si comportano in un modo cosi egoista, interessato, disonesto e distruttivo? Il Sutra della Piattaforma stesso dice che "Se non la (sagezza) mettiamo in pratica, vale un'illusione e un fantasma". [20] Una spiegazione parziale potrebbe essere quella di Zhiyi (531-597) il fondatore del Buddhismo Tientai e l'autore della più completa guida alla meditazione cinese, ch'era cosciente di che lo stesso sforzo d'intensa concentrazione potesse agitare i klesa (afflizioni ed illusioni) generando svariati sentimenti e desideri che non accadderebbero nel corso della coscienza normale, tentando il praticante di lasciar perdere la pratica. [21] Ad ogni modo, ci si mette di rado in discussione il livello di realizzazione di un maestro.
Si potrebbe che il problema abbia a che fare colla descrizione e la veduta dell'illuminazione in quanto statica, nel senso di vedere solo quello che è, in vece di una veduta più dinamica che implica pure quello che funziona? Una veduta della realizzazione buddhista che focalizza sulla funzione, in vece dell'oggetificare un'esperienza, metterebbe anche un' accento primario sul contesto e le connessioni, cioè le relazioni con altra gente e la società in quanto assieme. [22]
La questione della relazione tra illuminazione e la coltura ha persistito nelle tradizioni Zen dalla fine del settecento sino ad oggi. L'illuminazione in tale contesto riferisce all'esperienza della profonda penetrazione nella vera natura della realtà. La coltura può venir presa come il vivere uno la suo propria vita quotidiana dal punto di vista risvegliato che include una coscienza della piena umanità del resto della gente e la nostra connessione con essa.[23] Mazu (709-788), un maestro Cian importante e influente, diceva che l'esperienza del risveglio subito era inherentemente così completa che il tutto della Via del Buddha era realizzato e completato tramite quest'esperienza. Questa veduta venne ad essere conosciuta come "coltura improvvisa/ risveglio improvviso". Altri maestri maggiori dello Zen, quali Zongmi [24] (780-841), Yenshou (901-975), ed il Coreano, Cinul (1158-1210) ritenevano ceh l'illuminazione improvvisa poteva dare la piena realizzazione, ma forse solo per individui eccezionalmente dotati quali il Sesto Patriarca Huineng e Mazu. Per la varietà più corrente dell'umanità, di quelli che sono meno dotati spiritualemente, l'esperienza del risveglio offre infatti una vista veritiera della propria natura del Se, ma senza esaurire l'egoismo. Certe delusioni, quali la confusione esistenziale, possono venir superate tramite una profonda esperienza. Altre delusioni profondamente insediate quali l'avidità, l'odio e l'amor proprio si possono superare solo col riprodurre quel che "abbiamo visto fare in quanto esperienza vissuta e col modellare la nostra vita di conseguenza". [25] L'ingiunzione buddhista di vivere una vita etica si capisce non solo come esercizio della costrizione e dell'autocontrollo, ma anche come manifestazione positiva della compassione nei nostri rapporti con gli altri. Il maestro Cian Yenshou lo esprimeva così:
"Se le formazioni
palesi non sono ancora
recise e che persistono le energie di lordura e di consuetudine ,
o che checchesia che vedi porti
alla passione
e che checchesia che encontri produca ostacoli, allora,
benché avrai capito
il significato
dello stato senza numeno, il tuo potere sarà ancora
insufficiente.
Non ti devi attaccare a questa
comprensione e
dichiarare 'mi sono già svegliato al fatto che la natura
delle
lordure è il Vuoto',
poiché,
più tardi, quando deciderai di coltivare, la tua pratica
sarà, invece, invertita ...
Dovrebbe quindi esser chiaro
che se le parole
e le azioni sono contradittorie, la correzione o l'incorrezione
della tua pratica si possono
verificare.
Misura la forza delle tue facoltà, non ti puoi permettere
d'ingannarti
te stesso"
[26]
Al livello storico, la linea di Mazu ha sopravissuto ed ha dominato la tradizione Zen sin dalla dinastia Sung (960-1280) ad oggi, mentre, per esempio, quella di Zongmi si è estinta. Il risultato è che la veduta che l'illuminazione improvvisa ha cagionato che la coltura improvvisa è diventata la retorica ufficiale del Buddhismo Zen. La veduta Zen opposta, ma sempre ortodossa, che l'illuminazione improvvisa doveva esser seguita da una coltura graduale, è stata largamente svalutata. Nelle parole di Zongmi, "Il risvegliarsi dall'illusione è improvviso, trasformare uomini ordinari in santi è graduale."[27] La maggioranza degl'insegnanti sono lungi di essere Buddha pienamente illuminati, ma sono invece gente che ha bisogno di coltivarsi di più. Abbiamo bisogno di tener questo in mente quando interagiamo con loro.Mentre nella pratica dello Zen dobbiamo focalizzare sui nostri propri inadempimenti, rimane un posto per il senso commune nel guardare le azioni altrui, persino quelle dei nostri maestri. Il Dalai-lama ha scritto, rispetto al come lo studente deve guardare il maestro: "...troppa fede e troppa purezzadella percezione imputata possono facilmente far marcire le cose."[28]
Note
1. A secondo Suzuki, lo Zen è "estremamente flessibile nell'adattarsi a qualsiasi filosofia o dottrina morale finché non si interfera con il suo insegnamento intuitivo. Lo si può trovare saldato all'anarchismo o al fascismo, al communismo o alla democrazia, all'ateismo o all'idealismo, o a qualsiasi dogmatismo politico o economico." Zen and Japanese Culture, Princeton University Press, 1959, p. 63. Per una discussione più spinta sulle fonti e le motivazioni nazionalistiche della presentazione fatta da D.T. Suzuki del Buddhismo Zen, si veda l'articolo di Robert H. Sharf, "The Zen of Japanese Nationalism, " History of Religions, August, 1993. Bernard Faure pure analizza criticamente una parte del pensiero di Suzuki in Ch'an Insights and Oversights, Princeton Press, 1993, pp. 52-74
2. Paths To Liberation; the Marga and Its Transformations in Buddhist Thought pubb. da Robert E. Buswell, Jr. e Robert Gimello 1992, U. of Hawaii Press, p27.
3. Si veda "Buddhism and the Rhetoric of Religious Experience." proposto al raduno annuale dell'American Academy of Religion, 1992, p. 37, Sharf.
4. "Encounter Dialogue and Transformation in Ch'an" di John R. McRae in Paths to Liberation, pubb. da Robert Buswell e Robert Gimello, U. of Hawaii Press, 1992, p. 354.
5. p 195 "On the Ritual Use of Ch'an Portraiture in Medieval China, " T. Griffith Foulk e Robert H. Sharf, Cahiers D'Extrême Asie 7
6. Per una discussione interessante sull'accettazione tarda assai e persino controversa di questa idea autodefinita nel Cian vedi " Ch'an Slogans and the Creation of Ch'an Ideology: ' A Special Transmission Outside the Scriptures, " documento presentato da Albert Welter al raduno annuo dell'American Academy of Religion, Novembre 1995.
7. Holmes Welch, Buddhism in China: 1900 to 1950, Harvard University Press, 1967, p. 315. Welch menziona il caso interessante di un monaco cinese nel novecento che diede la sua trasmissione del Dharma a un altro monaco cinese che stava allora in Birmania, "senza averlo neanche mai incontrato, e per giunta, senza neanche sapere se accettarebbe la trasmissione".
8. "Myth, Ritual, and Monastic Practice," di T. Griffith Foulk in Religion and Society in Tang and Sung China, pubb.da Patricia Buckley Ebrey e Peter N. Gregory, U. of Hawaii Press, 1993, p. 160.
9. Soto Zen in Mediaeval Japan, William M. Bodiford, U. of Hawaii Press,
1993, p. 215. "La trasmissione del Dharma Zen tra maestro e discepolo poteva occorere anche se il discepolo non aveva realizzato l'illuminazione, per quanto l'iniziazione rituale era stata effettuata." Per una discussione più spinta sui sorprendenti usi della trasmissione del Dharma, vedi:: Welch gia citato, The Rhetoric of Immediacy, Bernard Faure, Princeton University Press, 1991, e Foulk. Vedi pure "On the Ritual Use of Ch'an Portraiture in Medieval China, " T. Griffith Foulk e Robert H. Sharf, Cahiers d'Extrême Asie, 7, 1993 pp. 149-219
10. Lettera di Philip Kapleau a Koun Yamada, Feb. 17, 1986.
11. Vedi Sharf[2], nota 20, p. 44
12. "The Zen Institute in Modern Japan" di T. Griffith Foulk, P. 157-177 in Zen:Tradition and Transition, Kenneth Kraft ed., NY: Grove Press, 1988.
13. Lettera aperta di Yamada roshi 1/16/86. Koun Yamada roshi fu l'erede di Yasutani roshi. Diventò il capo della scuola Zen Sambokyodan fondata da Yasutani roshi e diede anche la trasmissione del Dharma a Robert Aitken. Anche in una lettera del Kapleau a Koun Yamada 2/17/86
14. E' anche vero che nessuno studioso moderno dello Zen, Orientale o Occidentale, prende sul serio l'idea di un lignaggio ininterrotto che risalirebbe sino al Buddha Shakyamuni.
15. The Zen Monastic Experience, Robert E. Buswell, Princeton University Press, 1992, pp. 204-208
16. Tra il 1910 ed il 1945, Corea stette sotto l'occupazione militare del Giappone. Soot pressione ed influsso dei bonzi giapponesi sposati, certi monaci coreani presero moglie e fondarono famiglie. Questo causò una scissione con i monaci tradizionali, celibi, del Sangha coreano, scissione che diventò cosùi severa da cagionare l'intervento del presidente Syngman Rhee nel 1954 per risolvere la lite. Vedi pp. 30-31, The Way of Korean Zen di Kusan Sunim, Weatherhill, 1985.
17. Mountain Record Magazine, vol. XII, number 1, Autunno 1993, p. 59, una pubblicazione dello Zen Mountain Monastery, Woodstock, NY.
18. "Encounter Dialogue and Transformation in Ch'an" di John R. McRae in Paths to Liberation, pubb. da Robert Buswell e Robert Gimello, U. of Hawaii Press, 1992, p. 353,354.
19. The Ch'an "School" and its Place in the Buddhist Monastic Tradition, Ph.D. dissertazione di Theodore Griffith Foulk, University of Michigan, 1987, disponibile da UMI Dissertation Information Service, U.S. telephone number: (800) 521-0600, p. 348
20. The Platform Scripture (Sutra della Piattaforma), trans. by W. T. Chan (New York, 1963), p. 69.
21. Paths to Liberation, "Encounter Dialogue and the Transformation of the Spiritual Path in Chinese Ch'an, " McRae, p. 347
22. In relazione col famoso
versetto di
Bodhidharma:
Una trasmissione speciale
Fuori dalle scritture
Non basata su parole o lettere
Punta direttamente sulla mente
Vedi la tua natura e diventa Buddha. (Gpn. kensho jobutsu)
Nel curricolo Rinzai dei koan, "...kensho e qualcosa che si fa [un verbo, non un sostantivo], non è primariamente qualcosa che si ha". Da" Koan and Kensho in the Rinzai Zen Curriculum, " un articolo non pubblicato presentato al raduno annuo dell'American Academy of Religion da G. Victor Sogen Hori, Nov. 21, 1994. Permesso di citare dato all'autore.
23. Per un interessante discusisone dell'essenza/funzione e la "pratica integrale", l'idea che il grado d'integrazione nella condotta di qualcuno fosse il criterio per il compimento degl'insegnamenti dei savvi, si veda A. Charles Muller, The Composition of Self-Transformation Thought in Classical East Asian Philosophy and Religion. " Toyo Gakuen Kiyo, March, 1993.(Anche disponibile sulla Rete a http://www.human.toyogakuen-u.ac.jp/~acmuller/index.html)
24. Tsung-mi era patriarca e nel lignaggio Cian, e nella scuola Huayen del Buddhismo. Scrisse l'analisi più completa delle scuole buddhiste Cian nella Cina della meta del secolo nono. Per un trattamento completo di questa importante personalità Cian, si veda Tsung-mi and the Sinification of Buddhism, Peter N. Gregory, Princeton University Press, 1991.
25. Si veda The Jewel Ornament of Liberation by SGam.Po.Pa, trans. by Herbert Guenther, Shambala Publications, 1959, footnote 1, p. 252.
26. The Collected Works of Chinul, Robert Buswell, U. of Hawaii Press, 1983, p. 305. Tutto il libro è un tesoro per lo studente dello Zen. Di particolare interesse il capitolo "Excerpts from the Dharma Collection and Special Practice Record with Personal Notes," scritto un anno solo prima della morte di Cinul, e nel quale commenta le diverse sorte di esperienze d'illuminazione e la cura che ci si dovrebbe adoperare nella propria pratica. Lo Zen coreano odierno porta ancora la forte impronta di Cinul.