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© Nanabozho (il Coniglio Magno)
Aggiornamento di questa versione italiana : 1 aprile 2003

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Zen alla radio

Qualche giorni fa, un animatore della radio della Costa Azzurra mi ha contattato per ch'io parli dello Zen nella sua trasmissione. Cio che lo aveva attratto era il fatto che il mio sito sia intitolato "Un Zen Meridionale". Evidentemente, alla sua domanda, ho dovuto ammettere ch'era una specie di barzeletta rispetto allo "Zen Occidental" di Eric Rommeluère, pur stando con lui sulla linea di voler mettere lo Zen dentro, invece del rivestirsene per qualche corti periodi, ogni giorno, od ogni settimana (quando non è ancora meno).

Difatti, ciò che viene presentato quanto "Zen" nella maggioranza dei posti, non è nient'altro di una specie di scenografia folclorica per ammiratori accaniti del Giappone, laquale finisce persino per sembrare sbalorditiva agli stessi Giapponesi, visto che non ce la fanno più a riconoscere quel che è censato essere a modo loro. E spesso, per molti che partecipano a quel carnevale in nero, si cercherebbe in vano quel che la saggezza popolare chiama un atteggiamento "Zen".

Ho dunque tentato di esporre in poche parole l'essenza di quel ch'era per me una sana pratica del Buddhismo Zen. Cioè che lo Zen è un'atteggiamento di fronte all'esistenza, stando a trarre un equilibrio ed una forma di felicità, grazie all'azione al momento presente. Ho dato esempi che toccano allo sport e alla moto. Avessi disposto di più tempo, mi sarei potuto adagiare di più, ma la necessaria concisione di un intervento minimalista mi ha costretto a dirne di meno. Spero non esser stato troppo maldestro.

Mi ero particolarmente stupito di costatare che i partigiani di uno "Zen" quassù evocato odiavano cordialmente quel uso popolare della parola Zen, come se fosse una marca depositata cui fossero i titolari. Ed anche più stupito di vedere fino a che punto costoro erano in totale inadeguazione con quell'uso popolare.

Ciò che mi ha spinto a cercare l'origine di tali bloccaggi. Mi sembrava fosse un peccato che gente che ci avrà dedicato tanto tempo della loro preziosa vita senza che vi si possa osservare degli effetti positivi della loro pratica nella loro vita di tutti i giorni. Certo, frequentemente si sente rispondere da loro che la pratica devesi effettuare senza scopo. Ne convengo. Ma non vedo che il senza scopo debba corrispondere ad un senza effetti.

Non mi adagierò qui sull'origine, socio-storica, di tali bloccaggi. Mi accontenterò di tornare su dei seguenti punti:

    a) Non si può separare lo Zen dal Buddhismo. Se lo si tenta, si lo spoglia del suo midollo e ci si addentra in una via senza etica, micidiale. 

    b) Lo Zen (e quindi il Buddhismo) è un atteggiamento. Un atteggiamento rispetto all'esistenza, la propria e quella altrui, perché formano un tutto indissociabile. Quell'atteggiamento è uno di ottimismo moderato.

Ad esempio, se si dice dei pessimisti che cominciano una relazione umana col dare una nota da 0/20 ad un nuovo conoscente, sperando che migliorerà progressivamente la nota, gli ottimisti cominciano dal canto loro per dare una nota da 20/20. I primi si chiudono di primo acchito la porta a tante possibilità, mentre i secondi si espongono per forza a dei disappunti. Bisognarebbe cominciare con una nota da 10/20 ed osservare come andrà ad evolvere col passare del tempo, con benevolenza. Quando si è forzati di costatare che detta benevolenza è stata abusata, si può porre un fine alla relazione, senza troppo dramma interiore.

La benevolenza permette di capire (senza per tanto scusare) certi atteggiamenti, di non fare una montagna di ciò che non ha reale importanza, e di liberare la mente per delle cose che sono davvero importanti. La benevolenza ("voler del bene", o "voler bene") non è un atteggiamento piagnucoloso. Mettere uno schiaffo ad un bambino che ha fatto una scicchezza vale pure ad insegnargli che nella vita, rischia degli schiaffi ben più cattivi, ben più malvolenti, e ben più duri che quello, se non sta attento all'ordine delle cose. La benevolenza si può persino esercitare nell'ombra.

Quest'atteggiamento del Buddismo è anche un atteggiamento di disponibilità. Non necessariamente di disponibilità permanente, tipo "Lascio perdere tutto a favore altrui ", ma di una disponibilità più sottile, dove si è disposti ad osservare, ad ascoltare, ad udire, a vedere ciò che ci circonda. Il che si può a volte manifestarsi quanto intensa vampata di felicità di fronte ad un paesaggio, una scena, un suono. Ed a volte come un'intensa reattività a quel che succede, come proprio uno sportivo nella foga dell'azione.

Infine, un atteggiamento si sviluppa. Ci vuole allenamento e studio. Non che si tratti necessariamente di uno studio libresco, benché questa non sia assolutamente da rigettare. Ma di studio in un senso più largo, come quando si parla di studiare un viso, una situazione. E' come la musica, bisogna allenarsi, allenarsi. La musica, per prenderla ad esempio, suona bene quando da l'impressione che il musicista non fa nessuno sforzo, che il suo gioco è totalmente naturale. Ma per poterci arrivare, quanto lavoro, quanta pratica, quante ripetizioni gli sarà voluto! il buffo è che, se l'assieme dei suoi sforzi non bastasse, gli si direbbe che l'esecuzione suonava laboriosa, etc.

Tutto sommato, in un prodotto finito, non si deve sentire lo sforzo, ed è perciò che al momento de suonare la propria partitura, non bisogna suonarla ad'uopo, ma anzi, di modo disinvolto, solo perché c'è da farlo, come diceva un mio maestro nel Conservatorio: "Ciò che merita di esser fatto, merita di esser fatto bene".

Mxl

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