Qualche giorni fa, un animatore della radio della Costa Azzurra
mi ha contattato per ch'io parli dello Zen nella sua trasmissione. Cio
che lo aveva attratto era il fatto che il mio sito sia intitolato "Un
Zen Meridionale". Evidentemente, alla sua domanda, ho dovuto ammettere
ch'era una specie di barzeletta rispetto allo "Zen
Occidental"
di Eric Rommeluère, pur stando con lui sulla linea di voler
mettere lo Zen dentro, invece del rivestirsene per qualche corti
periodi, ogni giorno, od ogni settimana (quando non è ancora
meno).
Difatti, ciò che viene presentato
quanto "Zen" nella maggioranza dei posti, non è nient'altro
di una specie di scenografia folclorica per ammiratori accaniti del
Giappone, laquale finisce persino per sembrare sbalorditiva agli stessi
Giapponesi, visto che non ce la fanno più a riconoscere quel
che è censato essere a modo loro. E spesso, per molti che
partecipano a quel carnevale in nero, si cercherebbe in vano quel che
la saggezza popolare chiama un atteggiamento "Zen".
Ho dunque tentato di esporre in poche parole
l'essenza di quel ch'era per me una sana pratica del Buddhismo Zen.
Cioè che lo Zen è un'atteggiamento di fronte
all'esistenza, stando a trarre un equilibrio ed una forma di
felicità, grazie all'azione al momento presente. Ho dato
esempi che toccano allo sport e alla moto. Avessi disposto di
più tempo, mi sarei potuto adagiare di più, ma la
necessaria concisione di un intervento minimalista mi ha costretto a
dirne di meno. Spero non esser stato troppo maldestro.
Mi ero particolarmente stupito di costatare
che i partigiani di uno "Zen" quassù evocato odiavano
cordialmente quel uso popolare della parola Zen, come se fosse una
marca depositata cui fossero i titolari. Ed anche più
stupito di vedere fino a che punto costoro erano in totale
inadeguazione con quell'uso popolare.
Ciò che mi ha spinto a cercare
l'origine di tali bloccaggi. Mi sembrava fosse un peccato che gente che
ci avrà dedicato tanto tempo della loro preziosa vita senza
che vi si possa osservare degli effetti positivi della loro pratica
nella loro vita di tutti i giorni. Certo, frequentemente si sente
rispondere da loro che la pratica devesi effettuare senza scopo. Ne
convengo. Ma non vedo che il senza scopo debba corrispondere ad un
senza effetti.
Non mi adagierò qui sull'origine,
socio-storica, di tali bloccaggi. Mi accontenterò di tornare
su dei seguenti punti:
a)
Non si può separare lo Zen dal Buddhismo. Se lo si tenta, si
lo spoglia del suo midollo e ci si addentra in una via senza etica,
micidiale.
b)
Lo Zen (e quindi il Buddhismo) è un atteggiamento. Un
atteggiamento rispetto all'esistenza, la propria e quella altrui,
perché formano un tutto indissociabile. Quell'atteggiamento
è uno di ottimismo moderato.
Ad esempio, se si dice dei pessimisti che
cominciano una relazione umana col dare una nota da 0/20 ad un nuovo
conoscente, sperando che migliorerà progressivamente la
nota, gli ottimisti cominciano dal canto loro per dare una nota da
20/20. I primi si chiudono di primo acchito la porta a tante
possibilità, mentre i secondi si espongono per forza a dei
disappunti. Bisognarebbe cominciare con una nota da 10/20 ed osservare
come andrà ad evolvere col passare del tempo, con
benevolenza. Quando si è forzati di costatare che detta
benevolenza è stata abusata, si può porre un fine
alla relazione, senza troppo dramma interiore.
La benevolenza permette di capire (senza per
tanto scusare) certi atteggiamenti, di non fare una montagna di
ciò che non ha reale importanza, e di liberare la mente per
delle cose che sono davvero importanti. La benevolenza ("voler del
bene", o "voler bene") non è un atteggiamento piagnucoloso.
Mettere uno schiaffo ad un bambino che ha fatto una scicchezza vale
pure ad insegnargli che nella vita, rischia degli schiaffi ben
più cattivi, ben più malvolenti, e ben
più duri che quello, se non sta attento all'ordine delle
cose. La benevolenza si può persino esercitare nell'ombra.
Quest'atteggiamento del Buddismo è
anche un atteggiamento di disponibilità. Non necessariamente
di disponibilità permanente, tipo "Lascio perdere tutto a
favore altrui ", ma di una disponibilità più
sottile, dove si è disposti ad osservare, ad ascoltare, ad
udire, a vedere ciò che ci circonda. Il che si
può a volte manifestarsi quanto intensa vampata di
felicità di fronte ad un paesaggio, una scena, un suono. Ed
a volte come un'intensa reattività a quel che succede, come
proprio uno sportivo nella foga dell'azione.
Infine, un atteggiamento si sviluppa. Ci
vuole allenamento e studio. Non che si tratti necessariamente di uno
studio libresco, benché questa non sia assolutamente da
rigettare. Ma di studio in un senso più largo, come quando
si parla di studiare un viso, una situazione. E' come la musica,
bisogna allenarsi, allenarsi. La musica, per prenderla ad esempio,
suona bene quando da l'impressione che il musicista non fa nessuno
sforzo, che il suo gioco è totalmente naturale. Ma per
poterci arrivare, quanto lavoro, quanta pratica, quante ripetizioni gli
sarà voluto! il buffo è che, se l'assieme dei
suoi sforzi non bastasse, gli si direbbe che l'esecuzione suonava
laboriosa, etc.
Tutto sommato, in un prodotto finito, non si
deve sentire lo sforzo, ed è perciò che al
momento de suonare la propria partitura, non bisogna suonarla ad'uopo,
ma anzi, di modo disinvolto, solo perché c'è da
farlo, come diceva un mio maestro nel Conservatorio: "Ciò
che merita di esser fatto, merita di esser fatto bene".
Mxl