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Aggiornato al 15 novembre 2006

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nishijima

[Ripreso dal blog di  Gudo Wafu Nishijima rôshi]

6/11/2006

Gakudô-yôjin-shu 

Gakudo-yojin-shu (4) 

(Seguito del testo)

No.6 Ciò che si deve sapere, praticando zazen

La pratica di zazen e il proseguimento della verità sono grandi compiti per tutta la nostra vita --- da non prendere alla leggera. Come potremmo mai dimostrarci temerari al mettergli in pratica? La gente (in ricerca della verità) del passato si è tagliata il braccio o le dita; questi sono eccellenti esempi venuti dalla Cina. Tanto tempo fà, il Buddha Gotama lasciò la sua famiglia e abbandonò il regno; questo pure è un precedente nella pratica de la verità.

Oggi, la gente dice che dobbiamo avere una pratica facile. Ma tale parole sono totalmente sbagliate. Non sono assolutamente conforme al Buddhismo. Anche se scegliessimo di praticare qualcosa di facile quanto lo stare disteso su di un letto, finirebbe per essere faticoso. E se ci permettessimo di lasciarci annoiare dalla nostra sola pratica, tutto il nostro lavoro diventarebbe faticoso. Inutile dire che la gente a chi piacciono le pratiche facili non hanno la costituzione idonea per ricercare la verità.

Lungi dall'essere facili, gli insegnamenti che si sono sparsi dappertutto il mondo  non sono altro che l'insegnamento che il gran maestro il Buddha Gotama ha raggiunto tramite pratiche ardue e dolorose attraverso tempi senza inizio. La fonte originale era così. Come mai potrebbero essere facili i torrenti? Egli a chi piace la verità mai si deve proporre una pratica facile, poiché allora mai si potrebbe poggiare su di un terrono sodo, e faticarebbe ad arrivare al deposito del tesoro.

Ci furono nel passato gente di una grande abilità, e persino loro dirono che la loro pratica era difficile. Noi dobbiamo ammettere la profondità e la grandezza della verità buddhistica. Se il Buddhismo fosse stato facile da praticare, sin dall'origine, quella gente di grande capacità non avrebbe dichiarato che il Buddhismo è difficile da praticare e difficile da capîre. A paragone di quella gente nella storia, quelli di oggi non valgono un pelo su di una mandria di nove tori. Pur radunando tutte le nostre magre risorse e le nostre poche conoscenze, e ci sforziamo alla difficile pratica, mai potremmo arrivare a ciò ch'era facile da comprendere e da praticare per questi antichi maestri.

Qual'è dunque questa cosa che i nostri coevi vorrebbero capire e praticare con facilità? Non è un insegnamento secolare, e neanche un insegnamento buddhistico; non vale la pratica dei demoni del cielo o di quelli del suolo. Non può valere la pratica dei non-buddhisti o quella dei buddhisti intellettuali e sensuali. Non può venir detto altro che di essere la sbagliatissima ed illusissima pratica della gente ordinaria. E persinose  quelli che la ricercano intendessero uscire dalla società secolare, le loro vite quotidiane non verrebbero meno preso in un infinito ciclo di misera vita e morte.

Per duro che sia il romperci le ossa e pestarci il midollo, la cosa più difficile rimane il equilibrare la nostra mente. Per duro che sia il mantenere i precetti ed una condotta pura, il più difficile rimane il equilibrare la nostra condotto corporale. Se valesse la pena di ridurci le ossa a polvere, quelli, numerosi, che sopportarono tale austerità sin dai tempi antichi avrebbero raggiunto gl'insegnamenti del Buddha Gotama, mentre sono rari coloro che ci sono arrivati.

Se valesse la pena di essere un uomo di condotta pura, numerosi sarebbero i puritani avendo raggiunto la verità, sin dai tempi antichi. La ragione è che è molto difficile per chiunque di mantenere il suo mentale nello stato di equilibrio.

La percettività non ha importanza. E neanche l'intendimento scolastico. La mente, la volontà, la coscienza non sono primordiali. Le immagini mentali, i pensieri e le riflessioni neanche lo sono. Senza mai  usarle, c'è stato, nel passato, gente che ha potuto sperimentare lo stato dell'equilibrio del corpo-e-mente, ed entrare nella verità buddhistica. E' quello ch'intendeva dire il Buddha Gotama quando disse che il Bodhisattva Avalokitesvara aveva cambiato direzione e perso la coscienza della sua percezione. Quando è chiaro che due aspetti – il movimento e la calma – non compaiono davvero, allora compare lo stato di equilibrio.

Se si potesse entrare nella verità buddhistica grazie alla percettività e all'erudizione, il gran prete Jinshu sarebbe stato un uomo della verità. Se la verità buddhistica fosse contraria alla volgarità o alla bassezza sociale, come sarebbe potuto il patriarca del Monte Sokei1 ottenere la verità buddhistica? E' ben ovvio che la transmissione e il ricevimento del Buddhismo si ambienta aldilà della percettività e dell'erudizione. Se si cercano fatti, si ottengono fatti; e se si riflette sui fatti, si esperimenta il Buddhismo.

Non ci preocupiamo dell'essere vecchi e sbiaditi, né dell'essere giovane e vispo. Maestro Joshu era nella sessantina quando si mise in questua della verità, ma diventò un maestro eccellente nel lignaggio di maestro Bodhidharma. Una figlia della famiglia Tei iniziò il suo studio del Buddhismo all'età di tredici anni, e continuò sino a diventare un membro eccellente di un tempio buddhista.

La dignità degli insegnamenti del Buddhismo solo compare se ci comportiamo da buddhisti, e non possiamo distinguere tale dignità tranne sperimentandola.

Gli eruditi veterani degl'insegnamenti teorici del Buddhismo e gli esperti in insegnamenti secolari possono tutti qualche giorno scoprire zazen. Ce ne sono stati parecchi esempi: maestro Eshi del Monte Nangaku era un uomo dai molteplici talenti, ma studiò lo stesso con maestro Bodhidharma. Maestro Yoka Gengaku era un personnaggio eminente, il che non gl'impedì di studiare il Buddhismo con maestro Daikan Eno.

Si può dire che la realizzazione degli insegnamenti buddhistici e l'obtenzione della verità poggiano sullo studio con un maestro. Quando si visita un maestro buddhista, e si studia con lui, bisogna ascoltare ciò che dice senza tentare di scontrarlo con le proprie viste. Se si paragonassero le parole del maestro con le proprie viste, non si potrebbe giovare dei suoi insegnamenti.

Se fate visita ad un maestro e se ascoltate i suoi insegnamenti, purificate il vostro corpo-e-mente, e calmate i vostri occhi ed orecchie. Udite semplicemente gl'insegnamenti del maestro, e non mescolategli  con altre immagini. Unificando il vostro corpo-e-mente, siate come una brocca pronta ad essere riempita d'acqua. Allora sicuramente, potrete ricevere gl'insegnamenti del maestro.

Gli stolti di oggi memorizzano frasi tratte da libri, o traggono la conoscenza degli antenati buddhisti, per poi tentare di paragonargli a ciò che dice il maestro. A quel momento, non hanno altro che le loro viste proprie, o le parole degli antenati del passato. Non sono assolutamente disposti ad ascoltare le parole del maestro.

Ci sono anche quelli che, dando il primato alle proprie viste, aprono i sutra buddhisti, ne imparano due o tre parole a memoria, e considerano di aver ricevuto gl'insegnamenti buddhisti. In seguito, quando hanno fatto visita a maestri dalla chiara comprensione e a maestri dell'insegnamento fondamentale, se ciò che sentono somiglia alle proprie viste, affermano gl'insegnamenti, ma se non è conforme alle loro proprie vecchie opinioni, gli negano. Senza sapere come respingere gl'insegnamenti sbagliati, come potrebbero mai risalire sulla via giusta? Ben si potrebbe che, persino durante illimitati eoni, restassero nell'illusione. Sarebbe un peccato, non è vero?

Gli studenti buddhisti devvono sapere che la verità buddhistica esiste aldilà del pensiero, della discriminazione, della supposizione, della riflessione, della percezione o della comprensione. Passiamo la vita a scherzare in seno a quelle cose, e dunque, se la verità buddhistica esiste in esse, perché mai non l'abbiamo ancora realizzata? Gli studenti della verità non devvono riposarsi sulle facoltà di pensiero, di discriminazione, e via dicendo. Nello stesso tempo, siamo tuttavia attrezzati di pensiero e di altre facoltà, e se le applichiamo col nostro corpo, ed esaminiamo la nostra situazione, allora è come se le guardassimo in uno specchio.

La porta d'ingresso al quella situazione buddhista esiste solo sotto il controllo di maestri che hanno raggiunto la verità e hanno completamente realizzato la porta. Essa è totalmente fuori dalla portata di chi insegna solo parole.


Quindici giorni dopo dell'equinozio di primavera (nel calendario lunare), secondo anno dell'era Tenpuku (1234).


(Commento)

In questo capitolo, maestro Dôgen dice che per noi, nel corso della nostra vita umana, il compito più importante è di praticare zazen e di studiare il Buddhismo. In questo mondo, pero, quanti sono quelli che hanno idee del genere?

Certi faticano duro per farsi una posizione sociale superiore, e certi sono diligentissimi quando si tratta di fare soldi. In quel tipo di situazione, ci sarà possibile di essere assicurati dell'esistenza della verità vera? Ci sarà possibile credere nell'unica possibilità di Vérità nelle nostre società? A dir il vero, potrebbe bene dimostrarsi impossibile per noi dire che le nostre società umane, divise come sono tra materialismo e idealismo, possano credere in esso. Ma se ci fondiamo sul realismo buddhista, forse avremo l'occasione di raggiungerne la sola possibilità. Se dunque noi, esseri umani, vogliamo crederci e proseguiamo nella nostra questua della verità, dovremo dapprima frantumare totalmente le illusioni dell'idealismo e del materialismo.

Nel punto seguente del suo capitolo, maestro Dôgen rifiuta con vigore gli atteggiamenti comuni dell'essere umano, che sono di seguire la via più facile. Certo, il Buddhismo non ha nulla di una filosofia ascetica, e di conseguenza, non dobbiamo alcunamente ricercare sofferenza in tale pratica. Ma, nello stesso tempo, è necessario di non scegliere un modo più facile solo a ragione del criterio di facilità. La verità buddhistica è sempre l'unica Verità, che trascende il facile e il difficile. Maestro Dôgen insiste dunque su dell'incongruità del discutere della difficoltà o della facilità, quando ci mettiamo in questua della verità, poiché tali atteggiamenti verrebbero completamente opposti alla verità.

Per di più, egli insiste sul fatto che le considerazioni, les decisioni, le supposizioni, le intuizioni, le percezioni e persino la comprensione non hanno nulla a che vedere con il fatto di afferrare la verità buddhistica.

E, dal punto di vista delle filosofie intellettuali, tale insistenza ci potrebbe sembrare alcunché ridicola. Ma quando osserviamo che la verità buddhistica non ha rapporto con le nostre capacità intellettuali, ma solo con il fatto di sapere se il sistema nervoso autonomo è bilanciato, o meno, allora è possibile capire chiaramente la base fondamentale degl'insegnamenti del Buddha Gotama. E' dunque necessario per noi riconoscere che il realismo buddhistico è sempre en corrispondenza con la condizione umana, che il nostro sistema nervoso autonomo sia bilanciato o meno, proprio al momento presente. Tale semplice fatto esiste sin da quando l'uomo è uomo, ma ci è stato necessario aspettare il secolo XIX° o il XX° per poterlo riconoscere. Mi stimo dunque ben felice di vivere nel secolo XXI°.

Dobbiamo dunque pensare che ci è impossibile realizzare la verità buddhistica fondandoci solo sulle lettere, o le parole, ma ci è necessario praticare zazen tutti i giorni, se vogliamo mantenere il nostro sistema nervoso autonomo nello stato d'equilibrio. E, senza quegli sforzi, no potremmo toccare direttamente la realtà. E' quindi il nostro dovere, si potrebbe dire, di farlo. Si può osservare, nella storia recente, che l'allenamento sportivo, le prestazioni musicali ou drammatiche, le sperimentazioni scientifiche, hanno preso proporzioni considerevoli, e penso che tale tendenza suggerisca che la nostra civiltà è forse già entrata in un'era del realismo. Mi pare dunque che ci voglia distruggere questi vecchi sistemi filosofici, così potenti, che sono l'idealismo e il materialismo, la cui ragguardevole Era è arrivata a termine.



1  Dachien Huineng (Daikan Eno), il Sesto Patriarca.



Seguito del testo del Gakudô Yôjin shu

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Dogen Sangha

 

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