Cosa serve?
L'altro giorno, mi ha scritto quarcheduno per
chiermi: "Come
esercitarsi senza tregua fino al successo, poiché
l'esercitarsi è il successo! Perché sedersi
giorno dopo giorno, senza mai preocuparsi dell'apparente scacco (ed a
volte quotidiano), poiché sedersi giorno dopo giorno si
basta a se stesso!" questo
riferendosi all'ultimo paragrafo della mia ultima missiva (maggio
2003).
Ammetto di essere rimasto un pò
come stupito, sul momento. Come se mi fossi lasciato andare a dire una
grossa cazzata, grande come un tempio Zen sui bordi della
Lòira, senza accorgermene. Dapprima, la mia naturale
malafede mi ha spinta ad attribuire male intenzioni al mio
corrispondente. Ma colla sua susseguente risposta, non poteva
sussistere dubbio alcuno. Ho quindi dovuto chinarmi sul problema,
malgrado la mia naturale rigidità fisica. E, mizzica, come
fa male alla schiena!
Infatti, il mio proposito, in tutto
quell'articolo, era di trarre l'attenzione sulla necessità
dell'etica nel comportamento, etica purtroppo troppo spesso assente in
parecchi insegnanti sedicenti buddhisti (e non esclusivamente nelle
scuole "Zen." Ed è ovvio che quell'intervento fa sviare il
proposito in un altro campo.
Qualche tempo fà, in uno dei suoi
articoli, un mio corrispondente in Giappone rammentava di questa frase
di Kodo Sawaki, "Non è per caccare che si mangia." Mi
dispiace, so che ci stanno le anime sensibili sulla rete, che une
terra-terra così puzzolente disturba un pò. Ma mi
pare che ci stiamo lo stesso. Occore che mangiare fa sicché,
a fine percorso, si dovrà defecare. Ed è anche
ovvio che si mangia per alimentarsi, ma ch'è impossibile
evitare quell'aspetto ripugnante assai ma però inerente alla
nostra natura. Lo stesso, benché l'esercitarsi sia
effettivamente il successo, occorre lo stesso esercitarsi. Chiunque a
fatto (volontariamente o meno) un digiuno sa che il realimentarsi dopo
quel digiuno richierde uno sforzo, richiede che si vada piano, che si
eserciti a masticare, ad ingerire di nuovo. Dieci anni fà,
dopo di un incidente stradale, mi sono trovato colle mascelle cucite
con filo di acciaio inossidabile, che veniva ristretto ogni settimana,
per un mese. Quando venni finalmente liberato, fui felicissimo del
poter aprire le mascelle, ma non mi fu possibile. I miei muscoli
massilari avevano dimenticato come fare. Gli si è voluto
riesercitargli. Nona facevo neanche più a far passare un
cucchiaio tra le labbre.
Lo stesso, qualche anni fà,
impaurito dal numero di ginocchi rotti che avevo incontrati attraverso
i vari incontri di meditazione e i fori internautici, ho deciso di
mettermi a praticare esercizi di yoga destinati ad ammorbidire le
anche, affin di sollevare le mie ginocchia durante i periodi di Zazen.
Diffatti, così che lo spiegava un'insegnante di yoga in un articolo
che ho tradotto ed illustrato, non sono le ginocchia che devono piegare,
ma l'articolazione del femore e del bacino. Sono, sin dalla giovinezza,
persona piuttosto rigida, fisicamente, e la mancanza di esercizio non
ha per niente migliorato le cose. Mi sono quindi messo ad allenarmi, e
ciò, precisamente senza "preocuparmi dell'apparente scacco
(ed a volte quotidiano)," il che mi ha permesso di migliorare
considerevolmente la mia postura, ed anche l'aggio a reggerla.
Vi è dunque un paradosso, qui.
Devo dar retta al mio interlocutore, e constatare che ho anch'io
ragione. Esercitarsi è il successo, certo, ma bisogna
esercitarsi a farlo lo stesso sino al poter capire perché lo
è. Sedersi giorno dopo giorno basta a se stesso, ma
perciò, occorre farlo senza preocuparsi dell'apparente
scacco.
Mxl