Il mese scorso, ho raccontato come avevo
ricevuto la Trasmissione del Dharma dal maestro Gudo Nishijima.
Allo stesso tempo di me, a ricevere questa
trasmissione, c'era il dirigente del dojo Zen di Villeurbanne, in
regione di Lione. In quel momento, quest'uomo attraversava un periodo
difficile, siccome veniva sottoposto a pressioni fortissimi da parte
del dirigente del dojo zen di Lione che voleva che lasciasse cadere
quel nuovo dojo (riflesso da "commerciante" che teme la concorrenza?),
ed aveva voluto combinare un viaggio (sognato) in Giappone, e la
pratica. Di fronte a tale sincerità, ed anche a quel
impegno, maestro Nishijima gli ha offerto di dare pure a lui la sua
trasmissione. (Ricorderò qui, dimodoché le cose
siano chiare, che né lui né io, avevamo richiesto
questa trasmissione, che rientra quindi esclusivamente del buon voler e
giudizio del maestro Nishijima).
E'
dunque nel
corso della medesima cerimonia che lui ed io abbiamo ricevuto questa
trasmissione, che faceva di noi i discendenti del Buddha alla
novantaunesima generazione. Il che quindi fa di noi "gemelli del
Dharma". Difatti, in una prospettiva inereditata dai Cinesi, tramite la
trasmissione, ci si entra nella grande famiglia dei patriarchi, e ci si
diventa i "figli" del maestro tramettitore, "fratelli" delle altre
persone a chi questi ha trasmesso, i "nipoti"di cotanti hanno ricevuto
la trasmissione del medesimo "antenato" del maestro, e così
via.
Eccoci dunque i "nipoti" di almeno due
insegnanti francesi conosciutissimi nel reparto...
L'altro giorno, quando ho communicato su di
una lista buddhista che avevo ricevuto questa trasmissione, sono stati
fatti alcuni commenti, lasciando intendere che uno che pretendeva
insegnare senza essere perfettamente realizzato sarebbe come uno orbo
che vorrebbe guidare a dei ciechi. Altri commenti hanno sostenuto che
stavamo svalutando la trasmissione. Mi è parso che questi
due elementi meritavano una risposta. Specifichiamo dapprima che la
prima proveniva da ambienti "tibetani" e la seconda degli ambienti
"zen".
Per ciò che riguarda la prima
obiezione, ho avuto l'impressione che ciò che ha
scandalizzato i miei interlocutori "tibetani " era proprio che io
affirmassi essere fallibile, umano, ed avere ancora via da percorrere.
Il modello stando naturalmente quello di un insegnante mitico,
perfettamente realizzato, allo quale ci si possa abbandonare ad occhi
chiusi per che ci porti sull'altra riva. Ora, quando leggo il Canone
Canon Pali, devo per forza osservare che il Buddha prende a volte delle
decisioni che gli contestano i suoi prossimi, e che questi ultimi,
coll'argomentazione dovuta, riescono a far cambiare opinione al Beato.
Devo anche per forza constatare che un buon numero dei praticanti
buddhisti orientali, inclusi quelli di rito tibetano, criticano
l'eccesso di venerazione nel quale vengono tenuti da noi i lama, mentre
da loro è meno il caso (Una volta, ho sentito un paragone
con i nostri parocchi di contrada di una volta, che godevano certo di
un rispetto di funzione, ma niente più, a meno di
meritarselo davvero. Ma l'eccesso di zelo de neo-conversi
può portare una qualsiasi persona normalmente costituita a
slittare. Implicatamente, è quello che ha spinto un uomo
come Dagpo Rimpoché a mettere da parte i suoi voti, a fin di
non macchiare la sua etica. Non se ne può dire altrettanto
di ognuno.
La seconda obiezione raggiunge infatti la
prima. Finora, la Trasmissione del Dharma dava al suo detentore un'aura
di
perfezione che ha portato più di uno a dichiarare che Tizio,
Caio o Sempronio era un "maestro perfettamente realizzato"
il che un minimo di spirito critico avrebbe potuto smentire.
L'esperienza ha fatto vedere, tanto negli Stati Uniti (voir
l'articolo di Stuart Lachs) che qui gli abusi di potere che
quell'atteggiamento ha potuto generare.
Ora ecco dunque due cose. La prima
è che la prima obiezione sembra provenire da schiavi che
hanno paura che i signori gli abbandonino ad una libertà cui
non saprebbero cosa fare. E che la seconda sembra provenire da signori
che hanno paura che si riduca a nulla ciò che lega i loro
schiavi. Mi dispiace, ma il Buddhismo non è una scuola della
servitù. Il maestro (stricto sensu di insegnante) non deve
essere altro che un kalyanamitra,
un
"amico nel Dharma", il cui scopo è di portare l'allievo a
capire per se stesso il senso profondo degli insegnamenti.
Naturalmente, ciò implica al minimo che l'insegnante sappia
di cosa sta parlando. Almeno un pò meglio dall'allievo. Ma
sarà sempre preferibile che sia inteso che l'allievo debba
sottomettere il maestro ai test, per evitare di farsi ingannare da un
imbroglione spirituale. Ricordo que costoro sono numerosissimi, e che
la vera e propria caratteristica di un imbroglione, è
precisamente che gli si da la fiducia (Ricordo pure che un truffatore a
chi nessuno darebbe la fiducia non potrebbe truffare nessuno...). Se si
parte dal principio che l'insegnante è infallibile, come
sottometterlo al test? Soli i buddha possono riconoscere altri buddha.
E' dunque a priori impossibile per un aspirante al Dharma di
riconoscere se il suo maestro lo è davvero o no. Salvo
verificare giorno dopo giorno se ciò che insegna, nella sua
applicazione alla vita quotidiana, è vantaggioso o meno.
Questo è
comunque l'insegnamento del Buddha
Gautama
stesso. Se il fatto che gente onesta e
irreprensibile nella loro vita quotidiana (sto pensando specificamente
al maestro Nishijima) dia la loro trasmissione a gente onesta e che si
sforza bene o male di essere anche loro irreprensibili, scredibilizza
persone a chi ci si potrebbe rimproverare delle cose, tra cui la minore
sarebbe di non essere sinceramente dedicati alla liberazione degli
esseri, annamoci allegri.
Sin dai tempi più antichin la
trasmissione ha rapprensentato molte cose contradittorie. Miticamente,
rappresentava un riconoscimento della realizzazione dell'allievo. Ma
siamo sinceri. Nella realtà, quello non ha mai rappresentato
altro che una parte molto minore dei casi. La maggioranza del tempo, la
trasmissione ha servito a creare legami di clientela, ad attirarsi il
favore di grandi del mondo, a allargare legami di alleanze, e di
relazioni personali. Si noti che tale situazione non esclude in nessun
modo che possa esser stata un riconoscimento della realizzazione
dell'allievo. Ma se si ammettonotutti questi altri aspetti quanto
naturali, si eviterà di spazzargli sotto al tapetto, e di
accreditare un versione mitologica a secondo la quale uno che
è il detentore della trasmissione deve d'obbligo esser
rispettato e ubbidito, da quel semplice fatto. La trasmissione
è una responsabilità. Se si la spoglia di una
parte della sua aura malsana, essa potrà con molta meno
facilità servire di mallevadoria ai deliri autoritari di
skinhead travestiti da monaci.
Mxl