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© Nanabozho (Gichi Wabush)
Aggiornamento di questa versione italiana : 5 ottobre 2003

 

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Shiho (Trasmissione del Dharma) bis.

 

Il mese scorso, ho raccontato come avevo ricevuto la Trasmissione del Dharma dal maestro Gudo Nishijima.

Allo stesso tempo di me, a ricevere questa trasmissione, c'era il dirigente del dojo Zen di Villeurbanne, in regione di Lione. In quel momento, quest'uomo attraversava un periodo difficile, siccome veniva sottoposto a pressioni fortissimi da parte del dirigente del dojo zen di Lione che voleva che lasciasse cadere quel nuovo dojo (riflesso da "commerciante" che teme la concorrenza?), ed aveva voluto combinare un viaggio (sognato) in Giappone, e la pratica. Di fronte a tale sincerità, ed anche a quel impegno, maestro Nishijima gli ha offerto di dare pure a lui la sua trasmissione. (Ricorderò qui, dimodoché le cose siano chiare, che né lui né io, avevamo richiesto questa trasmissione, che rientra quindi esclusivamente del buon voler e giudizio del maestro Nishijima).

E' dunque nel corso della medesima cerimonia che lui ed io abbiamo ricevuto questa trasmissione, che faceva di noi i discendenti del Buddha alla novantaunesima generazione. Il che quindi fa di noi "gemelli del Dharma". Difatti, in una prospettiva inereditata dai Cinesi, tramite la trasmissione, ci si entra nella grande famiglia dei patriarchi, e ci si diventa i "figli" del maestro tramettitore, "fratelli" delle altre persone a chi questi ha trasmesso, i "nipoti"di cotanti hanno ricevuto la trasmissione del medesimo "antenato" del maestro, e così via.

Eccoci dunque i "nipoti" di almeno due insegnanti francesi conosciutissimi nel reparto...

L'altro giorno, quando ho communicato su di una lista buddhista che avevo ricevuto questa trasmissione, sono stati fatti alcuni commenti, lasciando intendere che uno che pretendeva insegnare senza essere perfettamente realizzato sarebbe come uno orbo che vorrebbe guidare a dei ciechi. Altri commenti hanno sostenuto che stavamo svalutando la trasmissione. Mi è parso che questi due elementi meritavano una risposta. Specifichiamo dapprima che la prima proveniva da ambienti "tibetani" e la seconda degli ambienti "zen".

Per ciò che riguarda la prima obiezione, ho avuto l'impressione che ciò che ha scandalizzato i miei interlocutori "tibetani " era proprio che io affirmassi essere fallibile, umano, ed avere ancora via da percorrere. Il modello stando naturalmente quello di un insegnante mitico, perfettamente realizzato, allo quale ci si possa abbandonare ad occhi chiusi per che ci porti sull'altra riva. Ora, quando leggo il Canone Canon Pali, devo per forza osservare che il Buddha prende a volte delle decisioni che gli contestano i suoi prossimi, e che questi ultimi, coll'argomentazione dovuta, riescono a far cambiare opinione al Beato. Devo anche per forza constatare che un buon numero dei praticanti buddhisti orientali, inclusi quelli di rito tibetano, criticano l'eccesso di venerazione nel quale vengono tenuti da noi i lama, mentre da loro è meno il caso (Una volta, ho sentito un paragone con i nostri parocchi di contrada di una volta, che godevano certo di un rispetto di funzione, ma niente più, a meno di meritarselo davvero. Ma l'eccesso di zelo de neo-conversi può portare una qualsiasi persona normalmente costituita a slittare. Implicatamente, è quello che ha spinto un uomo come Dagpo Rimpoché a mettere da parte i suoi voti, a fin di non macchiare la sua etica. Non se ne può dire altrettanto di ognuno.

La seconda obiezione raggiunge infatti la prima. Finora, la Trasmissione del Dharma dava al suo detentore un'aura di
perfezione che ha portato più di uno a dichiarare che Tizio, Caio o Sempronio era un "maestro perfettamente realizzato"
il che un minimo di spirito critico avrebbe potuto smentire. L'esperienza ha fatto vedere, tanto negli Stati Uniti (voir
l'
articolo di Stuart Lachs) che qui gli abusi di potere che quell'atteggiamento ha potuto generare.

Ora ecco dunque due cose. La prima è che la prima obiezione sembra provenire da schiavi che hanno paura che i signori gli abbandonino ad una libertà cui non saprebbero cosa fare. E che la seconda sembra provenire da signori che hanno paura che si riduca a nulla ciò che lega i loro schiavi. Mi dispiace, ma il Buddhismo non è una scuola della servitù. Il maestro (stricto sensu di insegnante) non deve essere altro che un kalyanamitra, un "amico nel Dharma", il cui scopo è di portare l'allievo a capire per se stesso il senso profondo degli insegnamenti. Naturalmente, ciò implica al minimo che l'insegnante sappia di cosa sta parlando. Almeno un pò meglio dall'allievo. Ma sarà sempre preferibile che sia inteso che l'allievo debba sottomettere il maestro ai test, per evitare di farsi ingannare da un imbroglione spirituale. Ricordo que costoro sono numerosissimi, e che la vera e propria caratteristica di un imbroglione, è precisamente che gli si da la fiducia (Ricordo pure che un truffatore a chi nessuno darebbe la fiducia non potrebbe truffare nessuno...). Se si parte dal principio che l'insegnante è infallibile, come sottometterlo al test? Soli i buddha possono riconoscere altri buddha. E' dunque a priori impossibile per un aspirante al Dharma di riconoscere se il suo maestro lo è davvero o no. Salvo verificare giorno dopo giorno se ciò che insegna, nella sua applicazione alla vita quotidiana, è vantaggioso o meno.

Questo è comunque l'insegnamento del Buddha Gautama stesso. Se il fatto che gente onesta e irreprensibile nella loro vita quotidiana (sto pensando specificamente al maestro Nishijima) dia la loro trasmissione a gente onesta e che si sforza bene o male di essere anche loro irreprensibili, scredibilizza persone a chi ci si potrebbe rimproverare delle cose, tra cui la minore sarebbe di non essere sinceramente dedicati alla liberazione degli esseri, annamoci allegri.

Sin dai tempi più antichin la trasmissione ha rapprensentato molte cose contradittorie. Miticamente, rappresentava un riconoscimento della realizzazione dell'allievo. Ma siamo sinceri. Nella realtà, quello non ha mai rappresentato altro che una parte molto minore dei casi. La maggioranza del tempo, la trasmissione ha servito a creare legami di clientela, ad attirarsi il favore di grandi del mondo, a allargare legami di alleanze, e di relazioni personali. Si noti che tale situazione non esclude in nessun modo che possa esser stata un riconoscimento della realizzazione dell'allievo. Ma se si ammettonotutti questi altri aspetti quanto naturali, si eviterà di spazzargli sotto al tapetto, e di accreditare un versione mitologica a secondo la quale uno che è il detentore della trasmissione deve d'obbligo esser rispettato e ubbidito, da quel semplice fatto. La trasmissione è una responsabilità. Se si la spoglia di una parte della sua aura malsana, essa potrà con molta meno facilità servire di mallevadoria ai deliri autoritari di skinhead travestiti da monaci.

Mxl


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