Sito
realizzato da Nanabozoh
(il Coniglio Magno) Aggiornato
al 10 novembre 2006
|
Capire lo Shobogenzo
Perché lo Shobogenzo è difficile da capire
©Windbell Publications
La reazione della maggioranza delle persone che leggono lo Shobogenzo per la prima volta è che sembra difficilissimo vedere chiaramente cosa significhi quel che c'è scritto. E' questa una reazione naturale, perché quando si legge una frase, si aspetta solitamente di poter capire immediatamente il significato di quel che si sta leggendo. La prima volta che ho avuto fra le mani una copia dello Shobogenzo, ho scoperto che non ne potevo capire niente, benché fosse scritto nella mia lingua madre. Ovviamente, leggere lo Shobogenzo in traduzione introduce un nuovo assieme di problemi in relazione colle capacità e conoscenze del traduttore, e alle similitudini di lingue.
I tentativi di delucidare i problemi che presenta lo Shobogenzo al lettore mi portano ad enunciare quattro ragioni principali.
1. Lo Shobogenzo è scritto con una struttura logica particolare, che ho chiamata "Quattro viste" o "Tre filosofie ed una Realtà." Spiego questo sistema di logica in una sezione ulteriore.
2. Maestro Dogen scriveva utilizzando parecchie frasi e citazioni dal Buddhismo cinese che sono relativamente sconosciute al profano, e che sono difficili da rendere in altre lingue. Quelle frasi compaiono nello Shobogenzo nella loro forma cinese di origine, faccendo sì che certe parti del libro siano un commento in Giapponese del secolo tredicesimo di frasi cinesi ancora più antiche. Nella versione tradotta, abbiamo il problema addizionale di rappresentare quelle frasi in una lingua-bersaglio diversissima.
3. I concetti che Maestro Dogen voleva esprimere erano profondi e sottili. Persino nella sua propria lingua gli era necessario inventare parecchie parole e frasi nuove per rendere quel che intendeva dire. Quelle parole nuove non furono in larga misura adoperate dalla lingua giapponese, e sono quindi poco familiare al nostro uso contemporaneo.
4. Maestro Dogen scrisse lo Shobogenzo allo scopo di spiegare la sua esperienza della realtà ottenuta dal suo praticare Zazen. Le sue parole sono basate sulla sua esperienza. E' normale oggi pensare che qualcosa di filosofico debba essere capito intellettualmente, in quanto esercizio intellettuale. Non abbiamo molta esperienza delle filosofie che puntano alla pratica fisica. Pensiamo che solo leggere un libro basti a capire cosa c'è scritto dentro.
Il problema delle contraddizioni
Benché questi quattro gruppi di problemi siano ostacoli seri, non sono insuperabili. Se si conosce il problema si può andare verso una soluzione, pur lentamente che sia. Ma nello Shobogenzo possiamo scoprire un problema addizionale di un ordine totalmente diverso -- il libro sembra essere, ed infatti è, zeppo di contraddizioni!
Di solito, ci pare che un libro in cui lo scrittore si contraddice sia di poco valore. Questo è largamente dovuto al fatto che la civiltà moderna è cresciuta sino ad essere vasta e potente, grazie ai milleni in cui gli esseri umani hanno sviluppato modi logici ed esatti di procedere e di controllare il loro ambiente. L'intelletto è diventato sovrano. Gli esseri umani hanno utilizzato i loro poteri di ragionamento per sviluppare tutto un campo di studi intellettuali e morali per guidare il nostro progresso attraverso la storia. E in tempi recenti, abbiamo applicato i nostri poteri di ragionamento allo studio scientifico esatto del nostro mondo, studio basato sulla credenza nel principio di causalità. Così, nel mondo di oggi, sia nel campo della filosofia che in quello della scienza, chiunque presenta delle proposizioni contraddittorie viene presto trascurato. Gli scritti che non sono logicamente consistenti vengono trascurati dagli studiosi e dagli studenti seri. Non sono accettabili per i nostri intelletti delicati..
Sembra naturale che tale criterio venga applicato persino allo Shobogenzo; l'esistenza di contraddizioni in esso dovrebbe diminuire il suo valore. Ma lo Shobogenzo è letteralmente pieno di contraddizioni. Secondo quella misura, dovremmo concludere che il libro non ha nessun valore per lo studioso. Ma è accettabile quella nostra conclusione ?
Nelle sezioni che seguono vorrei dare un'occhiata più dettagliata alla natura e al perché di quell'abbondanza di contraddizioni in un libro che è stato descritto come opera filosofica maggiore.
Esempi di contraddizioni nello Shobogenzo
Per illustrare il problema vorrei mettere in risalto contraddizioni a livelli vari all'interno dello Shobogenzo. Userò l' edizione in 95 capitoli, poiché è la prima edizione ad esser stata stampata su tavole di legno. I numeri di capitoli ivi citati riferiscono ai capitoli nell'edizione in 95 capitoli.
1. Contradizioni tra capitoli
Metterò a confronto i due capitoli (89) Shinjin Inga e (76) Dai Shugyo.
Shin significa 'profondo', e jin (da shin) significa 'credere in'. Così Shinjin Inga significa profonda credenza in causa ed effetto. Dai significa 'grande' e shugyo significa 'pratica'. Così Dai shugyo significa 'la grande pratica buddhista'; cioè la pratica di Zazen.
In ambedue questi capitoli, Maestro Dogen cita la medesima storia. Si tratta di una celebre storia cinese a proposito del maestro Hyakujo Ekai (cin. Baizhang Huaihai) e di una volpe selvatica; la storia riguarda la relazione tra pratica buddhista e la legge di causa ed effetto. Questa relazione viene spiegata in due modi, ognuno totalmente diverso dell'altro.
"Di solito, quando Maestro Daichi del Monte Hyakujo nel distritto di Koshu (che succedette al Maestro Baso e fu chiamato Maestro Ekai dal suo vivo) dava la sua predica informale, c'era un signore anziano nel pubblico, che ascoltava sempre la predica con il resto del pubblico. Se si ritirava il pubblico, il signore anziano si ritirava pure. Ma un giorno non andò via subito. Finalmente, il Maestro chiese, 'Qual è questa persona, che sta davanti a me?'
L'anziano rispose: 'Non sono una persona. Lungo tempo fa, nel tempo del Buddha Kasyapa, abitavo [in quanto maestro] in questa montagna. Un giorno, uno studente buddhista mi chiese se persino una persona della grande pratica buddhista cadesse in [ restrizioni di] causa ed effetto. In risposta, gli dissi, "Non cade in causa ed effetto." Sin da quel momento, sono caduto nel corpo di una volpe selvatica per cinque cento vite. Così la prego, Maestro, di dirmi qualche parola che mi cambierà. Vorrei sgomberarmi dal corpo della volpe selvatica.' Poi chiese, 'Cade pure qualcuno della grande pratica buddhista in causa ed effetto?'
Il Maestro disse, 'Non sii oscuro rispetto a causa ed effetto.'
A queste parole l'anziano realizzò la grande verità, e dopo essersi prosternato, egli disse, 'Sono già libero del corpo di una volpe selvatica. Ora vorrei rimanere sulla montagna dietro a questo tempio. Posso chiederLe, Maestro, di eseguire una cerimonia funebre per un monaco buddhista, per me?' [1]
In ambedue i capitoli, la medesima storia viene citata quasi parola per parola. Nella storia vengono usate due espressioni per parlare di causa ed effetto; la prima, la risposta del signore anziano al suo studente, è Fu raku inga che si traduce con "Non cade in causa ed effetto"[2] . La seconda, la risposta di Maestro Ekai al signore anziano, è Fu mai inga che si traduce con "Non sii oscuro rispetto a causa ed effetto." [3]
In ognuno dei due capitoli, Maestro Dogen trae conclusioni contraddittorie da queste due espressioni nella storia. In (89) Shinjin Inga egli dice:
"[L'espressione di] non cadere in causa ed effetto è soltanto una negazione di causa ed effetto, con il risultato che la gente cade in stati cattivi. [L'espressione di] non essere oscuro rispetto a causa ed effetto mostra una credenza profonda in causa ed effetto, e coloro che la sentono possono sbarrazzarsi degli stati cattivi. Non ce ne dobbiamo meravigliare, e non ne dobbiamo dubbitare."
Questi commenti suggeriscono che Maestro Dogen interpreti le due espressioni fu raku inga e fu mai inga come avendo significati diametralmente opposti. Egli insiste chiaramente sulla differenza tra le due frasi "non cadere in causa ed effetto" e "non essere oscuri rispetto a causa ed effetto."
Ma se guardiamo al suo commento sulla storia nel capitolo (76) Dai Shugyo, scopriamo che dice questo:
"Procedendo a tastoni per ciò che è la grande pratica buddhista, [possiamo scoprire che] si tratta soltanto delle stesse grandi cause ed effetti. E poiché queste cause ed effetti sono inevitabilmente perfette cause e completi effetti, non possono in nessun caso esser discussi in quanto cadendo o non cadendo, o in quanto oscuri o non oscuri. Se l'idea di non cadere in causa ed effetto è sbagliata, l'idea di non essere oscuri rispetto a causa ed effetto deve anch'essa essere sbagliata."
Qui Maestro Dogen insiste chiaramente che fu raku inga e fu mai inga significano esattamente la stessa cosa. Egli nega qualsiasi distinzione tra "non cadere in causa ed effetto" e "non essere oscuri rispetto a causa ed effetto."
Così, grazie a questi due capitoli, possiamo vedere che Maestro Dogen giunge a conclusioni opposte e contraddittorie a partire dai medesimi fatti. Pare logicamente inconsistente, e questo è certo vero se solo osserviamo la situazione a partire da un punto di veduta astratto.
2. Contradizioni tra paragrafi
Se guardiamo un altro capitolo, (22) Bussho, possiamo scoprire contraddizioni tra due paragrafi nello stesso capitolo. Egli cita il Maestro Nazionale Sai-un:
'Il Maestro Nazionale Sai-un di Enkan nel distritto di Koshu era un maestro veterano nell'ordine di Baso (cin. Mazu Dao-i). Una volta predicò all'assemblea, "Ogni essere vivente ha la Natura-di-Buddha!"
Così le menti sono tutte nient'altro che esseri viventi, e tutti gli esseri viventi hanno connaturata in sé la Natura-di-Buddha. Erba, alberi, e terre nazionali fanno uno con la mente: poiché sono mente, sono esseri viventi, e poiché sono esseri viventi, hanno connaturata in sé la Natura-di-Buddha. Il sole, la luna e le stelle fanno uno con la mente: poiché sono mente, sono esseri viventi, e poiché sono esseri viventi, hanno connaturata in sé la Natura-di-Buddha.'
Qui Maestro Dogen è chiaramente d'accordo con l'insistenza di Maestro Sai-un che ogni essere vivente ha la Natura-di-Buddha.
Ma proprio nel paragrafo seguente, egli cita Maestro Isan Reiyu:
'Maestro Dai-en del Monte Dai-I-san predicò una volta all'assemblea, "Tutti gli esseri viventi non hanno la Natura-di-Buddha."
...Dovremmo continuare a procedere a tastoni per scoprirne il senso. Come potrebbero tutti gli esseri viventi avere la Natura-di-Buddha? Se uno qualsiasi avesse la Natura-di-Buddha, potrebbero essere una banda di demoni. Portando un lenzuolo da demone, vorrebbero ricoprire ogni essere vivente. Ma la Natura-di-Buddha è soltanto la Natura-di-Buddha, e dunque gli esseri viventi sono soltanto esseri viventi. Gli esseri viventi non sono sin dall'origine dotati dalla Natura-di-Buddha.'
Maestro Dogen afferma che tutti gli esseri viventi hanno la Natura-di-Buddha nel primo paragrafo e lo nega nel secondo!
3. Contraddizioni tra frasi
Persino all'interno di un singolo paragrafo, abbondano le contraddizioni. Prendiamo ad esempio il capitolo (3) Genjo Koan. Nel primo paragrafo del capitolo possiamo scoprire le frasi seguenti:
"Quando ogni cosa e fenomeno esiste come insegnamenti buddhisti, allora ci sono delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune. Quando i milioni di cose e fenomeni sono tutti separati da noi, ci sono né delusione né illuminazione, né buddha né gente comune, né vita né morte."
In questa breve citazione si possono scoprire due enunciati; nel primo, Maestro Dogen afferma l'esistenza di delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune a partire da un unico punto di veduta. Ma nella frase che segue, egli dice che visto da un altro punto di veduta, delusione e illuminazione, buddha e gente comune, vita e morte non esistono. Egli è logicamente inconsistente all'interno di un singolo paragrafo perché cambia il suo punto di veduta.
4. Contradizioni all'interno di una frase
In (14) Sansui Gyo, troviamo la frase seguente:
'Un Buddha eterno disse, "Le montagne sono montagne. I fiumi sono fiumi." Quelle parole non significano che le montagne siano 'montagne;' significano che le montagne sono montagne.'
Presa così com'è, la frase non ha senso. Le montagne non sono montagne; sono montagne! La forma della frase sembra contraddire le regole della logica. L'enunciato è inaccettabile a secondo le regole normali del ragionamento. Eppure, ci stanno molte frasi simili nello Shobogenzo. Come le possiamo capire?
Possiamo accettare le contraddizioni?
Sin dal tempo dei Greci, gli esseri umani hanno sviluppato e raffinato un assieme di regole logiche che noi usiamo quando pensiamo a, o discutiamo dei problemi del mondo. Questa è stata la basi della nostra capacità di analizzare e capire il mondo, e quindi di sviluppare le nostre grandi scienze e filosofie. Senza l'esatto sistema della logica che governa ogni attività analitica, sarebbe stato inconcepibile che si fosse potuto sviluppare la civiltà Europeo-Americana.
Meglio vale, quindi, essere qualche po' prudenti quando si discute fino a che limite si possa ammettere la contraddizione logica all'interno di un certo proseguimento intellettuale. In recenti anni, si è detto che il pensiero buddhista possa con facilità accommodare quello che è illogico; infatti c'è chi ha affermato che il pensiero buddhista è aldilà della logica! La veduta propinata da quella gente sembra essere che la religione debba essere aldilà della ragione, e la negazione della logica ha quindi una parte centrale da svolgere. Un esempio di questa tendenza sta nell'interpretazione moderna delle storie cinesi di koan. Molte di quelle storie sembrano illogiche quando le leggiamo in modo superficiale. E c'è dunque gente che insiste che uno degli scopi dello studio buddhista sia di sviluppare un modo strano di pensare che sarebbe aldilà della logica occidentale.
Dobbiamo credere tali strane insistenze? Lo stesso maestro Dogen aveva forti opinioni su questo problema ricorrente. In (14) Sansui Gyo egli dice:
'Nei tempi di oggi, nella grande Cina dei Song, vi è un certo gruppo di gente inaffidabile che ha oramai formato una tale folla da non poter esser vinta da un piccolo gruppo di gente reale. Dicono che questo discorso della Montagna Orientale movendosi sopra dell'acqua ed altre storie come quella del falcetto di Maestro Nansen, sono storie che non possono essere capite razionalmente. La loro idea è come segue: "Una storia che dipendesse da qualsiasi sorta di considerazione intellettuale no potrebbe essere una storia Zen dei patriarchi buddhisti. Ma le storie che non si possono capire razionalmente sono effettivamente storie dei patriarchi buddhisti. Ecco la ragione di cose come l'uso del bastone da Maestro Obaku e le grida di katsu da Maestro Rinzai, che sono aldilà della comprensione razionale e senza attinenza a considerazioni intellettuali, rappresentano la grande illuminazione [che esisteva] anche prima del germogliare della creazione. La ragione per cui molti metodi d'insegnamento dei maestri del passato usavano parole che tagliassero attraverso la confusione era che [i loro insegnamenti] stavano aldilà della comprensione razionale." Coloro i quali dicono cose del genere non hanno mai incontrato un vero maestro e non hanno occhi di studio buddhista reale; sono soltanto piccoli cuccioli che non meritano l'esser discussi. Per gli ultimi due o trecento anni in Cina, ci sono stati parecchi demoni del genere, molti tali rasati come la banda dei sei. E' così pietoso che la grande verità del Patriarca buddhista sia andata a monte. La loro comprensione non può nemmeno arrivare al livello di quella dello sravaka nel Buddhismo Hinayana; sono persino più stupidi dei non-buddhisti. Non sono laici, non sono monaci, non sono degli esseri umani, e non sono dei nel cielo; sono più stupidi di animali che studiassero il Buddhismo. Quelle che questi rasati chiamano storie incomprensibili sono incomprensibili solo per loro; i patriarchi buddhisti non erano così. Non dovremmo mancare a studiare la strada concreta che capiscono i patriarchi buddhisti, solo perché [la via] è incomprensibile per questi [rasati]. Se [le storie] fossero in ultimo aldilà della comprensione razionale, persino il loro proprio ragionamento dovrebbe adesso essere molto fuori marchio.'
Ovviamente, Maestro Dogen non pensa che le storie di koan siano illogiche; egli è altamente critico dei maestri cinesi che dicono che un koan è una specie di enigma illogica. Chiaramente non accetta con facilità le illogicità, e neanche lo dovremmo noi. Dobbiamo continuare a cercare la ragione che sta dietro all'apparente richezza di contraddizioni nello Shobogenzo.
Qui vorrei offrire un consiglio. Allo scopo di studiare il Buddhismo di Maestro Dogen, io credo sia importantissimo basarci completamente sui suoi insegnamenti. Dobbiamo essere esattissimi nel nostro studio. Se ci accontentiamo di immergerci dentro solo a metà, accetando taluni dei suoi insegnamenti, e criticandone altri, presto diventerà impossibile ottenere una piena comprensione dell'assieme del sistema filosofico ch'egli espone.
Esistenza dell'area della realtà
Come spiegare dunque quelle contraddizioni negl'insegnamenti di Maestro Dogen? Nell'area filosofica, non dovremmo accettare le cose con facilità senza una spiegazione.
Dopo aver letto ripetutamente lo Shobogenzo, mi sono messo a pensare che Maestro Dogen guardava le cose a partire da un'area o punto di veduta che sarebbe diverso dal nostro punto di veduta intellettuale comune. Dal nostro punto di veduta intellettuale comune, non si può assolutamente ammettere la contraddizione logica. Ma Maestro Dogen sembrava avere due punti di veduta: quello intellettuale normale del filosofo, ed un altro punto di veduta; uno che tratta i problemi sulla base di qualcosa che sta fuori dall'area intellettuale. Ora, che il pensiero filosofico possa ammettere l'esistenza di un'area altra di quella intellettuale come base per il dibattito è forse il nocciolo del problema con la filosofia buddhista e lo Shobogenzo.
Dopo l'aver letto lo Shobogenzo tante, tante volte, ho cominciato a vedere che con questo suo uso delle contraddizioni, Maestro Dogen segnava un'area che sta al di fuori del dibattito intellettuale; stava segnando l'esistenza fuori dall'area razionale e intellettuale. Quando ero giovane, mi era difficile credere in un mondo che fosse diverso tanto dal mondo dei miei pensieri quanto dal mondo delle mie percezioni. Maestro Dogen parla del mondo ideale della teoria e del mondo della materia come lo percepiamo. Ma egli si serve di questi due punti di veduta per segnare o descrivere il mondo reale, la realtà nella quale esistiamo. E dopo l'aver letto lo Shobogenzo, ho cominciato anch'io a vedere che il mondo nel quale esisto non è né il mondo delle idee nné quello degli oggetti e delle percezioni, ma qualcosa differente da ambedue.
Questa fu una sorpresa per me. Sin dall'inizio della mia vita ho vissuto nella realtà, ma non avevo chiaramente notato questo fatto prima. E penso che questo fatto piuttosto semplice sia molto importante per capire cosa insegna il Buddhismo. Si dice che mentre il Buddha Gautama stava praticando Zazen una mattina, ebbe l'esperienza che montagne, fiumi, erba e alberi erano tutti buddha. Questo è solitamente chiamato lm'illuminazione del Buddha. Tendiamo a pensare che dopo anni d'intensi sforzi, abbia cambiato il suo stato. Ma a secondo la mia esperienza, ho cominciato a vedere che in fatti la storia del risveglio del Buddha Gautama non significava che avesse entrato in uno stato speciale, ma solo che avesse visto chiaramente per la prima volta la realtà nella quale stava vivendo.
Con questa esperienza, ho cominciato ad interpretare lo Shobogenzo come un libro che descrive o segna quella realtà. Ho scoperto che se prendiamo lo Shobogenzo come un manuale per la realtà, è completamente sensato, con tutto ciò di contraddizioni eccetera. Se prendiamo lo Shobogenzo come descrizione di un sistema intellettuale, è impossibile trovarci un senso. Si può dire che l'oggetto degli scritti di Maestro Dogen era dare una descrizione della realtà. Ma non si può catturare la realtà a parole. Sin dal tempo del Buddha Gautama in avanti, i buddhisti si sono sforzati di catturare la realtà a parole, e mi pare che questo sia la ragione fondamentale per il volume tremendo nonché la varietà dei sutra buddhisti che ci sono pervenuti. Maestro Dogen non faceva eccezione. Anche lui ha tentato l'impossibile. Questa è la ragione per cui lo Shobogenzo sembra così difficile da spiegare; questa è la ragione delle contraddizioni che contiene. Maestro Dogen non tenta di costruire una teoria intellettuale specifica -- egli sta tentando di utilizzare tutti gli attrezzi della filosofia e della logica per segnare qualcos'altro; qualcosa che sta aldilà di esse. Nell'area delle sole ragione e logica, è impossibile abracciare sistemi di pensiero che contengano grandi contraddizioni. Ma la stessa realtà contiene contraddizioni. Noi stessi sperimentiamo quelle contraddizioni ad ogni momento. Così una descrizione intellettuale della realtà deve trovare uno spazio per quelle contraddizioni, poco importa quanto inaccettabile quello possa sembrare ai nostri poteri intellettuali.
A quel punto, vorrei menzionare un punto molto fondamentalo rispetto alla natura della stessa contraddizione. Noi abbiamo l'impressione nell'area intellettuale ch'esiste qualcosa che si chiama contraddizione; che qualcosa possa essere illogico. Ma in realtà, non c'è niente che sia una contraddizione. E' soltanto una caratteristica dello stato reale delle cose. E' soltanto col nostro intelletto che possiamo scoprire l'esistenza di una cosa chiamata contraddizione.
Un ponte tra l'intelletto e la realtà
Dopo l'aver studiato lo Shobogenzo per più di 50 anni, la mia certezza è completa: lo scopo del Buddhismo è di realizzare la realtà. Il Buddha Gautama ci incalzava a scoprire la realtà tramite la pratica di Zazen. L'interpretazione tradizionale della parola sanscrita dharma è piuttosto vaga, riferendosi a una forma d'insegnamenti. Ma io credo che dharma significhi non solo 'insegnamenti' ma segni anche tre aree -- principi ovvero insegnamenti, situazioni o circostanze esterne, e morale o comportamento. Questi sono i componenti di una filosofia della realtà.
Possiamo, allora, avere una filosofia della realtà, se la realtà è fuori dall'area con la quale tratta la filosofia ? Logicamente dobbiamo dire che la risposta è di no. Realtà e intelligenza sono completamente separate. Quale specie di sistema possiamo costruire che ci permetterà di proseguire una descrizione della realtà?
Era proprio in questo stato che i Buddhisti svilupparono il loro metodo unico di spiegare la realtà. Il metodo si chiama catvary arya satyani, ovvero le quattro nobili verità, e spiega l'interazione tra attività intellettuali e realtà tramite l'uso di quattro punti di veduta. I due primi punti di veduta sono le prospettive filosofiche tradizionali, il terzo è una filosofia della realtà ed il quarto è la realtà esperienziale.
Questa è l'ipotesi che ho sviluppata quarant'anni fa, a partire dallo studio dello Shobogenzo, e benché non abbia avuto il sostegno neanche della società buddhista in Giappone, non posso scoprire nessun'inadeguatezza nella mia idea, poco importa come ci provo.
Catvary arya satyani, le quattro nobili verità comprendono duhkha-satya, samudaya-satya, nirodha-satya e marga-satya. L'interpretazione tradizionale si svolge come segue:
Duhkha-satya, ovvero la verità della sofferenza dice che ogni cosa e fenomeno in questo mondo sono sofferenza.
Samudaya-satya ovvero la verità degli aggregati dice che la causa della sofferenza è il desiderio.
Nirodha-satya, ovvero la verità della negazione dice che ci dobbiamo disfare del desiderio.
Marga-satya, ovvero la verità della via corretta dice che quando ci disfaremo di ogni desiderio, realizzeremo la verità.
Quando lessi questa interpretazione tradizionale delle quattro nobili verità, la trovai così dogmatica e illogica che non la poté accettare. Dire che tutto nel mondo sia sofferenza mi sembra il sommo del dogmatismo. Certo, spesso ci pare il mondo essere pieno di tristezza, ma l'asserzione che tutto sia sofferenza nel mondo è pessimista al di là delle parole. E dire che la causa di tutta questa sofferenza sia il desiderio è troppo dogmatico. Io penso che, fondamentalmente, il desiderio sta alla radice della nostra forza vitale. Ci è impossibile disfarci del desiderio e continuare a vivere. Se il Buddhismo dovesse insistere che dobbiamo distruggere ogni desiderio in noi, allora ci starebbe spingendo a fare l'impossibile. E l'ultima delle verità non è chiara. Qual'è la natura della verità che si realizzerà? Si dice che dobbiamo seguire l'ottuplice nobile sentiero, ma nessuna spiegazione chiara di quegli otto sentieri è mai stata data nei tempi del Buddha Gautama. Cosa s'intende per 'corretto'? Le quattro nobili verità sono riputate stare al centro degli insegnamenti buddhisti, ma mi sembrava impossibile credere in un assieme d'idee così dogmatiche e parziali.
Dopo l'aver letto lo Shobogenzo ed essermi familiarizzato con il pensiero di Maestro Dogen, ho scoperto una nuova interpretazione delle quattro nobili verità. E' un'interpretazione che ci consente di combinare le nostre spiegazioni intellettuali e la realtà. Ho scoperto il metodo particolare che usa Maestro Dogen per collegare il pensiero filosofico e la realtà. Ho chiamato questa teoria quella delle tre filosofie ed una realtà.
Per illustrare questo metodo mi servirò del capitolo (3) Genjo Koan, che è il terzo capitolo nell'edizione in 95 capitoli dello Shobogenzo, ma era quello primo nell'antecedente edizione in 75 capitoli. Ha quindi un significato speciale a ragione della mia convinzione che sia qui che Maestro Dogen espone al lettore il suo punto di veduta filosofico. Il primo paragrafo del Genjo Koan è:
"Quando ogni cosa e fenomeno esiste come insegnamenti buddhisti, allora ci sono delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune. Quando milioni di cose e fenomeni sono tutti separati da noi, ci sono né delusione né illuminazione, né buddha né gente comune, né vita né morte. Il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, e così [in realtà] c'è vita e morte, c'è delusione e realizzazione, ci stanno gente e buddha. Benché tutto questo possa essere vero, i fiori appassiscono anche se gli amiamo, e le erbacce crescono anche se le odiamo, e nient'altro."
Questo paragrafo è composto di quattro frasi. La prima è: "Quando ogni cosa e fenomeno esiste come insegnamenti buddhisti, allora ci sono delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune." Cosa significa? Questa frase descrive la situazione quando pensiamo al mondo sulla base di un sistema filosofico idealista -- un assieme di insegnamenti. A partire da questa base possiamo scoprire differenze tra più categorie; delusione e realizzazione, pratica ed esperienza, vita e morte, buddha e gente comune. Questi contrasta con la seconda frase che dice che non ci stanno differenze se guardiamo al mondo "quando milioni di cose e fenomeni sono tutti separati da noi stessi." Questa seconda frase ci dice che se vediamo il mondo come separato dal nostro proprio punto di veduta soggettivo, cioè obiettivamente, non possiamo scoprire differenza alcuna in valore tra delusione e illuminazione, buddha e gente comune, vita e morte. Sono tutti fatti concreti ed hanno valore uguale in quanto ciò. Questo è il punto di veduta scientifico o materialista. Qui, Maestro Dogen distingue chiaramente tra le prospettive filosofiche dell'idealismo e del materialismo.
Allo stesso tempo, nella terza frase egli separa il punto di veduta buddhista da questi primi due: egli dice che il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, e ci stanno quindi in realtà gente e buddha. Maestro Dogen ci sta dicendo che il Buddhismo è differente dai relativi confronti in termini di grande o piccolo, pesante o leggero. Naturalmente, il significato della frase "all'origine trascendente su abbondanza e scarsità" non è esatto, ma egli sembra star dicendo che il Buddhismo non appartiene all'area in cui si fanno i paragoni, in cui si dice che questo vale di più di quello, che questo non è così importante di quello, e non appartiene neanche all'area dei paragoni fisici.
Qui, dovremmo fare una pausa per pensarci bene sopra. Sarà mai possibile avere una "filosofia" che non appartenga all'area intellettuale discriminante? Ci sarà un'area filosofica in cui si potesse trascendere ambedue i criteri soggettivo ed obiettivo? L'unico mezzo a cui abbiamo da penzare a proposito dei problemi filosofici è l'intelletto. Cosa significa trascendere la filosofia nell'area della filosofia?
A volte i nostri pensieri sono della natura "io penso questo", o "io credo in questo." Ci serviamo delle nostre proprie idee e credenze per costruirci un'immagine del mondo. Il nostro atteggiamento è soggettivo. La filosofia che si costruisce sulla base dei nostri pensieri soggettivi si chiama soggettività.
Ad altri momenti basiamo i nostri pensieri sulle nostre percezioni sensoriali. Percepiamo il mondo materiale tramite i sensi e diamo un senso a ciò che percepiamo grazie al nostro intelletto. Quello è oggetttività.
Soggetivismo e oggetivismo, idealismo e materialismo formano i due tipi fondamentali di filosofia. Ambedue sono proseguimenti dell'intelletto. Possiamo anche scoprire filosofie che sono un miscuglio dei due tipi di base. Ma potremmo scoprire un sistema filosofico che non corrispondesse ad alcuno di questi tre gruppi? La risposta è: no, naturalmente. E' impossibile costruire una filosofia che non sia in qualche modo basata né sull'idealismo, né sul materialismo, né su di un miscuglio dei due; è quella la natura della filosofia. La filosofia è innegabilmente ristretta all'area dell'intelletto.
Ma nella terza frase del Genjo Koan, vediamo Maestro Dogen insistire che il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, sopra ogni specie di analisi relativistiche. La parola 'Buddhismo' nella frase è butsu-do in Giapponese. Butsu significa 'Buddha' o 'buddhista', e do significa via, principio, o criterio morale. Così la parola tradotta come 'Buddhismo' si riferisce pure al comportamento, alla condotta o all'azione buddhista. Io credo che in questa frase Maestro Dogen ci sta dicendo che il Buddhismo non sta nella stessa area dell'analisi filosofica, ossia idealista ossia materialista. Io credo che l'area trascendente a cui si riferisce Maestro Dogen è l'area del nostro comportamento o condotta; cioè le nostre medesime azioni.
Questo è un punto molto importante per capire gl'insegnamenti buddhisti. I filosofi sono pronti a credere che l'intelletto è assoluto; che non c'è nulla che non si possa analizzare con gli attrezzi della logica, niente che non si possa descrivere o discutere a parole. Maestro Dogen ci da un esempio in (10) Shoaku Makusa di questa tendenza nostrana di aderire all'intelletto in quanto onnipotente. Egli cita una discussione tra un famoso poeta cinese, ed il Maestro buddhista Choka Dorin:
'Haku Kyo-i della dinastia Tang era un discepolo laico di Maestro Bukko Nyoman (cin. Foguang Ruman), e discepolo alla seconda generazione di Maestro Baso Do-itsu (cin. Mazu Dao-i). Quando era prefetto del distretto di Koshu studiava sotto al Maestro Choka Dorin (cin. Zhuoguo Daolin). Un giorno Kyo-i chiese, "Cos'è esattamente la grande intenzione degl'insegnamenti del Buddha?"
Maestro Dorin rispose, "Non fare il male. Fare il bene."
Kyo-i disse, "Se cio è vero, allora persino un bambino di tre anni potrebbe pronunciare tali parole!"
Maestro Dorin disse, "Benché un bambino di tre anni possa pronunciare questa verità, un signore anziano di ottant'anni non la può praticare."
A quelle parole, Kyo-i immediatamente si prosternò a mò di ringraziamento, eppoi se ne andò.'
La storia sottolinea l'assoluta differenza tra il dire "non fare il male" e effettivamente non fare il male. Nelle nostre vite giorno per giorno stiamo ben disposti a dimenticare questa differenza, la differenza tra l'idea di condotta corretta e la condotta corretta propriamente detta. Questo è uno degli articoli più importanti di doctrina della filosofia buddhista; la differenza fondamentale e assoluta tra pensiero ed azione. I buddhisti hanno scoperto che l'area delle nostre azioni, della nostra condotta, del nostro comportamento in questo mondo è completamente diversa da quella dell'analisi intellettuale o della percezione sensoriale. E' quello il significato dell'enunciato di Maestro Dogen nel Genjo Koan:
"Il Buddhismo è originariamente trascendente su abbondanza e scarsità, e così [in realtà] c'è vita e morte, c'è delusione e realizzazione, ci stanno gente e buddha."
Benché la frase sia un enunciato del quadro filosofico di Maestro Dogen, non espone un concetto intellettuale; riferisce alle nostre azioni reali. E dice che le nostre azioni reali sono al di fuori dell'area filosofica; la trascendono.
Adesso abbiamo un problema. Possiamo permettere alla filosofia buddhista di contenere enunciati che non siano enunciati di filosofia di per sé, ma parlino di qualcosa che sarebbe aldilà della filosofia? Possiamo affermare un tale sistema filosofico quanto valido e razionale? Nella tradizione del pensiero occidentale, questo non è accettabile. Ma almeno di accettarlo e di muoverci in avanti, non potremo per niente capire la filosofia di Maestro Dogen. La dovremo rifiutare in quanto sistema filosofico.
Nella filosofia occidentale c'è un metodo che ci rammenta questo problema. Si tratta del metodo della dialettica, molto apprezzata dal filosofo tedesco Hegel (tesi, antitesi e sintesi) e adoperata da Karl Marx nel suo sviluppo della dottrina del materialismo dialettico. Maestro Dogen utilizza uno strumento simile alla dialettica nello spiegare la relazione triangolare tra soggettività, oggetività e Buddhismo.
E' chiaro che Maestro Dogen pensa che il Buddhismo appartiene ad un'area al di fuori dell'area intellettuale; cioè, non è analisi intellettuale di per sé. Ma allo stesso tempo, egli propone il Buddhismo quanto filosofia realista. Cosa significa una 'filosofia realista'?
La filosofia dell'azione
Io credo che la terza frase del Genjo Koan sia la definizione di Maestro Dogen di una filosofia della realtà. La storia già citata a proposito di Maestro Choka Dorin ci rammenta che manchiamo di solito la differenza tra abilità intellettuale e l'azione stessa. Ma io credo che tale differenza sia cruciale: Lo stesso Buddha Gautama scoprì la chiara differenza tra ciò che crediamo di essere la realtà e cos'è l'azione reale. La filosofia buddhista è una filosofia basata su di questa differenza. Ella espone questa differenza, ed è di per sé una filosofia completamente nuova. La chiamo filosofia dell'azione.
Al livello della vita quotidiana, ci è ovvio che pensare a proposito del mangiare è completamente diverso dall'esperienza propria del mangiare. E che il gusto del cibo è separato e diverso dall'azione di mangiare. Questo è chiarissimo, ma falliamo spesso a riconoscere fatti così semplici. Questo ha un'importanza fondamentale per una chiara comprensione della filosofia buddhista.
Nella teoria buddhista, l'azione viene descritta come contatto tra il soggetto e l'oggetto. E' l'incontro tra interno e esterno. Questo si vede nell'insistenza buddhista all'effetto che mente e corpo sono uno solo. L'azione sempre ha luogo nel momento presente. Il tempo qui ed adesso è il soggetto del capitolo dello Shobogenzo intitolato Uji. In questo capitolo Maestro Dogen spiega che il momento presente è il palcoscenico di ogni azione.
Così l'azione è diversa dal pensiero. L'azione è diversa dal percepire con i sensi. L'azione non esiste senza una negazione del pensiero. L'azione non esiste senza una negazione della percezione sensoriale -- perché l'azione sta fuori dall'area del pensiero e della percezione. Allo stesso tempo, non è possibile costruire una filosofia che non abbia una base intellettuale. Così la filosofia dell'azione è per natura propria un'anomalia. Viene basata sulla negazione dell'intelletto e della percezione sensoriale, ma si basa su di ambedue. Questa è una vera dialettica. Questa è pure una vera contraddizione. E' la contraddizione tra intelletto e realtà. Nell'area dell'intelletto, non dovremmo mai accettare l'inconsistenza logica, e non dovremmo mai cedere alla veduta sostenuta da alcuni che la teoria buddhista sarebbe aldilà della logica. Nei limiti della spiegazione intellettuale, dovremmo attenerci a strette regole logiche per sviluppare una struttura teorica qualsiasi. Ma la filosofia dell'azione segna qualcosa che sta aldilà di un'immagine intellettuale. E' quella la ragione per cui è così difficile farci un posto nei sistemi filosofici dell'Occidente. Ma è arrivato il tempo di muoverci aldilà dei limiti intellettuali delle filosofie esistenti della nostra civiltà, e ci serve la terza filosofia.
La realtà
Avendo tracciato la base del nostro nuovo punto di veduta filosofico, siamo propensi a dimenticare che questa nuova filosofia è pur soltanto quello. La filosofia dell'azione non potrà mai riacciuffare l'ineffabile natura della realtà stessa -- potrà soltanto segnare la strada. E la realtà di cui tutti noi facciamo l'esperienza è completamente diversa dalle filosofie qualsiasi che potremmo costruire. E' impossibile a descrivere pienamente a parole. Questa è la ragione per cui parecchi scrittori tentano di riallacciare la realtà all'espressione simbolica e alla poesia.
Maestro Dogen dice nell'ultima frase nel paragrafo del Genjo Koan, " Benché tutto questo possa essere vero, i fiori appassiscono anche se gli amiamo, e le erbacce crescono anche se le odiamo, e nient'altro." In questa frase egli tenta di esprimere l'ineffabile natura della realtà.
L'uso di espressioni simboliche per catturare la natura della realtà stessa è un passo che non possiamo trovare nello stesso modo nel pensiero filosofico occidentale. E' un passo aldilà delle tre fasi, tesi, antitesi e sintesi. E' un passo aldilà della filosofia stessa. Le spiegazioni della realtà non possono assolutamente essere la realtà. Questa è la ragione per cui io chiamo il mio sistema filosofico a quattro fasi, tre filosofie ed una realtà.
Tre filosofie ed una realtà
Ci sono stati due sistemi filosofici principali nella storia del pensiero occidentale: l'idealismo ed il materialismo. E' facile scoprire la base di questi due sistemi nello stesso processo del pensiero umano. Dapprima, quando si pensa a un problema filosofico, il nostro treno di pensieri avanza da una premessa logica ad un'altra premessa logica. Costruiamo un quadro razionale nella nostra mente ed è questa entità che diventa l'oggetto dei nostri pensieri o credenze. I nostri pensieri sono basati sull'intelletto stesso. Quello fu il modo usato da Platone e normalmente lo si chiama idealismo; cioè, una filosofia centrata sulle stesse idee. Non si deve certo sottostimare l'effetto che ha avuto il pensiero idealista sulla storia della filosofia occidentale.
Ma nella storia del pensiero si può scoprire un'altra corrente distinta; una corrente nella quale il quadro razionale che noi costruiamo è basato sulla percezione del mondo esterno attraverso i sensi. Quello che si percepisce attraverso i sensi ci da un'immagine mentale del mondo esterno. Basiamo i nostri pensieri e le nostre credenze su questa informazione a partire dalla mente esterna. Tale sostanza che è fuori dalla mente, la chiamiamo materia. E un quadro razionale basato sulla materia, lo si chiama materialismo.
Queste due filosofie fondamentali sorgono a partire da diverse fonti e sono fondamentalmente opposte l'una all'altra. Fatto sta che non ci stanno ragioni per noi di decidere quale da queste due viste del mondo sia vera. Per migliaia di anni, i filosofi idealisti hanno insistito che l'idealismo fosse la verità, che le idee fossero la vera perfezione, ed i filosofi materialisti hanno dissentito, insistendo che il mondo fisico sia la realtà vera e propria. Questo conflitto, benché appaia quasi comico quando lo guardiamo da lontano, ha occupato le menti di molti pensatori sinceri sin da così lungo tempo che lo si possa ricordare.
Il Buddha Gautama notò questo conflitto, come sorse nelle sue proprie ricerche, e fu preocupatissimo di scoprire una soluzione. Dopo di una lunga e sincera ricerca, un giorno scoprì che stava vivendo nella realtà, non nell'area dell'intelligenza umana che è casa per ambedue il materialismo e l'idealismo. Nell'area intellettuale ci stanno due punti di veduta soli; l'idealismo, basato su di una veduta soggettiva della realtà, ed il materialismo che è basato su di una veduta oggetiva. Soggetto ed oggetto si possono differenziare in modo assoluto nelle nostre menti. Quello è in fatto que che dice Maestro Dogen nel primo paragrafo del Genjo Koan. Idealismo e materialismo hanno ambedue pretese uguali ad essere la descrizione corretta della realtà; non sarà mai possibile decidere qual'è quella migliore.
Il Buddha Gautama scoprì che la soluzione al conflitto tra i due sistemi filosofici fondamentali era considerare le cose a partire da una terza area, ch'egli chiamò nirodha satya, o filosofia della negazione. Per negazione, intendiamo la negazione di ambedue il pensiero intellettuale e la percezione sensoriale. Allo stesso tempo, questa negazione suggerisce uno sfondo dell'azione -- che non appartiene all'area della mente o dei sensi. Ma include la vita delle aree che stanno fuori dall'area dei nostri intelletto e sensi? Sembra essere una strana insistenza. La mia risposta è si. Ad esempio, concetti e nomi di oggetti sono etichette intellettuali, ma le entità stesse sono senza nome; esistono come sono -- senza nome -- in un'area senza nome. Quello è fatto importantissimo, ma che facilmente viene trascurato in questo mondo di abitudini intellettuali radicate nel quale viviamo. Abbiamo tendenza a pensare che le cose e fenomeni reali che ci circondano sono identici ai concetti che abbiamo di loro, e quindi non distinguiamo tra le cose come le vediamo con l'intelletto o i sensi e le cose nella realtà senza nome. Quella è la delusione che scoprì il Buddha Gautama nella condizione umana.
Per riepilogare, dunque, ci sono stati tre correnti di base del pensiero filosofico nella storia; idealismo, materialismo, e sistemi filosofici che sono un miscuglio dei due. Questi rispecchiano i due modi fondamentali di pensare; il pensiero basato sulla mente ed il pensiero basato sulla percezione. Accanto a quelle tre correnti, non possiamo scoprire nessun altro sistema filosofico che resista all'esame. Recentemente però, particolarmente nell'area della filosofia buddhista, abbiamo visto l'emergenza di una "filosofia" basata sul concetto di sunyata o vacuità [4]. Questi pensatori propongono un sistema filosofico diverso dall'idealismo, dal materialismo e dalle loro combinazioni, ma pur sempre nell'area intellettuale. Per me, in quanto monaco buddhista, il loro punto di veduta è totalmente senza fondazione.
A volte sembrarebbe, nel primo paragrafo del Genjo Koan, che Maestro Dogen stia suggerendo l'esistenza di una strana area dell'intelletto che non è é idealista né materialista né una combinazione dei due. Ma mi pare questo sia un malinteso su di ciò che egli intende per trascendenza di abbondanza e scarsità. Trascendere abbondanza e scarsità significa uscire dalle aree dell'intelletto e della percezione sensoriale, non significa sbarrazzarsi da quelle due aree all'interno dell'intelletto -- non è una negazione intellettuale dell'intelletto che risultarebbe nella "Vacuità." Ci è impossibile disfarci dalla differenza tra abbondanza e scarsità all'interno delle aree della mente e della percezione sensoriale. Ma il Buddha Gautama e Maestro Dogen scoprirono ugualmente questa area che non sta all'interno della mente o della percezione -- l'area dell'azione. La scoperta di questa area e la chiarificazione della sua natura in termini filosofici risolve il problema del conflitto tra idealismo ed materialismo. Questa è il proprio contributo del Buddhismo alla filosofia mondiale.
Hegel e Marx sembrano ambedue aver notato il bisogno di una risoluzione a questo conflitto, e tentarono ambedue di scoprire una filosofia che sorpassasse questa differenza. Nessuno dei due riuscì, perché le loro filosofie in fine non segnavano una realtà che fosse aldilà delle aree dell'intelletto o della percezione sensoriale. Benché suggerisca l'interesse di Hegel per la storia del mondo un suo interesse per il mondo reale al di fuori del mondo delle idee, egli s'è fatto intrappolare dal suo concetto di "spirito del mondo" che lo ritraeva a conclusioni intellettuali. L'interesse di Marx per le soluzioni materiali lo ha fatto cadere nel tranello della sua propria credenza nella realtà ultima della materia, ed in fine anche lui è fallito nei suoi tentativi di trascendere il conflitto.
La dialettica buddhista, tuttavia, differisce in importanti modi dalla dialettica Hegeliana o Marxista in quanto la dialettica buddhista ha quattro fasi -- tesi, antitesi, sintesi e realtà. La dialettica buddhista dice che ci stanno tre specie di modi per vedere la realtà, ma in fine, l'oggetto delle nostre spiegazioni non esiste nella nostra intelligenza; esiste così com'è nella realtà senza nome. Così in questo senso, la filosofia buddhista funge di ponte tra filosofia e realtà. Ecco perché la teoria buddhista sembra così difficile da afferrare.
Finalmente, la realtà non si può mettere in parole. I buddhisti impiegano il paragone di un dito che punta alla luna. La luna è un simbolo per la realtà ed il dito è simbolico della spiegazione filosofica. Ironicamente, le dialettiche Hegeliana e Marxista rimangono intrappolate dall'eccellenza delle loro spiegazioni intellettuali. Ma il Buddhismo punta al il mondo reale in un modo essenzialmente pratico.
E' un fatto triste e pur divertente che noi esseri umani abbiamo per migliaia di anni scambiato l'immagine del mondo da noi costruita grazie alle nostre eccellenti capacità intellettuali, per il mondo reale in cui noi esistiamo. Abbiamo fallito a riconoscere l'esistenza della realtà. Benché vivendo nella realtà, siamo in larga misura incapaci di riconoscere il fatto.
Ma il Buddha Gautama riconoscì quel fatto dopo dei suoi sforzi pratici nel proseguire la verità, e mi pare che il mondo entri adesso un una nuova fase -- una fase nella quale stiamo scoprendo la natura della realtà nella quale noi viviamo; non un mondo solo della mente, né un mondo solo di sostanza materiale, ma un mondo reale. Questo, mi pare, è la ragione per cui tanta gente ora dimostra un interesse nella credenza buddhista.
Ma il mondo reale è ineffabile, aldilà della descrizione. e questa è la ragione per cui ambedue il Buddha Gautama e Maestro Dogen ci incitavano a praticare Zazen. Zazen ci insegna la vera natura della realtà.
Nell'ultima fase, quindi, abbiamo da pensare a quello che è impossibile di pensare. Questa è la ragione fondamentale per cui lo Shobogenzo di Maestro Dogen sembra così difficile. Ma se noi studiamo lo Shobogenzo possiamo scoprire un sistema filosofico che si basa sul realismo -- una filosofia per oggi.
[Segue: Struttura dello Shobogenzo
Genjokoan ovvero l'Universo realizzato]
Note
1. Questa e tutte le citazioni susseguenti tratte dallo Shobogenzo in questo articolo provengono dalla traduzione di G.W. Nishijima e Mike Cross. [ritorno]
2. Fu è una parola di negazione, raku significa una caduta, in significa causa e ka significa effetto. Così la traduzione letterale è "non cade [in] causa ed effetto." [ritorno]
3. Fu è una parola di negazione, mai significa oscuro o ignorante, e inga significa causa ed effetto. Così la traduzione letterale è "non [essere] oscuro [a proposito di] causa ed effetto." [ritorno]
4. Ho trattato questo problema in dettaglio nel mio articolo "A Buddhist Monk's View of the Theological Encounter III" proposto per pubblicazione nel Journal of Buddhist-Christian Studies. [ritorno]
5. "Ogni cosa e fenomeno" è all'origine sho-ho (tutti i dharma). La parola sanscrita dharma ha molti significati, ad esempio, legge, insegnamenti, sostanza, entità, cosa, pratica, ecc. [ritorno] [ritorno]
6. "Insegnamenti buddhisti" è all'origine buppo (dharma buddhista). [ritorno]
7. "Milioni di cose e fenomeni" è all'origine banpo (decine di migliai di dharma). [ritorno]
8. "Traccia" e "segni" sono tutti all'origine la stessa parola -- seki. "Continuamente, istante per istante" è all'origine cho-cho (lungo-lungo). [ritorno]
9 "Senza comparsa" è fu-sho. Fu esprime la negazione. Sho significa "comparire" o "comparsa," ed anche "vivere" o "vita." A secondo la teoria buddhista dell'istantaneità, l'Universo compare e scompare ad ogni momento. Cioè, l'Universo esiste momentaneamente. E poiché esiste momentaneamente, non è possibile dire che compare o scompare da un attimo all'altro. Così "senza comparsa" esprime l'istantaneità dell'Universo, e "senza scomparsa" pur esso esprime l'istantaneità dell'Universo. [ritorno]
10. In tutto questo paragrafo, "essere riflesso in" è all'origine yadoru, dimorare. [ritorno]
11. Lett. "non rompe." In altre parole, la realizzazione non cambia l'uomo di per sé. [ritorno]
12. In altre parole, un uomo non cambia lo stato di realizzazione. [ritorno]
13. Lett. "Quanto a la lunghezza e piccolezza del tempo, dovremmo esaminare le grandi acque e le piccole acque, e dovremmo discernere la larghezza e la strettezza del cielo e della luna." [ritorno]
14. Lett. "un lato." [ritorno]
15. "Collana di perle" è all'origine yo-raku, dal sanscrito muktahara. Questa frase è un riferimento a un idea citata nel commento chiamato Sho Dai Jo Ron Shaku Ryaku Jo. L'idea è che diversi soggetti vedono lo stesso oceano in diversi modi. Per i pesci è un palazzo, per gli dei è come una collana di perle, per gli esseri umani è acqua, e per i demoni è sangue o pus. [ritorno]
16. Banpo. Vedi nota 7. [ritorno]
17. Lett. "Polvere interna" (il mondo secolare) e "aldilà del quadro" (il mondo buddhista trascendente). [ritorno]
18. Banpo no kafu. Lett. "lo stile usuale delle decine di migliai di cose e fenomeni." Ka significa casa, vita quotidiana o usuale. Fu significa vento, atmosfera, o stile. [ritorno]
19. La frase originale sta nello stile di doppia negazione: "Non è il caso di non realizzare le limitazioni ad ogni testa, e non è il caso di non fare capriole dappertutto." [ritorno]
20. Lett. "ottenere" o "giungere a." [ritorno]
21. "Non sempre definitiva" è all'origine due caratteri, ka e hitsu. Questi caratteri erano adoperati in Cinese per esprimere le domande "Come sarebbe necessario di...?" o "Come si potrebbe decidere che...?" [ritorno]
22. Successore di Maestro Baso Do-itsu. [ritorno]
23. "Fatto" e "principio" sono ambedue all'origine la medesima parola dori. [ritorno]
24. Shinji Shobogenzo pt.2, no.23. A secondo la storia nel Shinji Shobogenzo, dopo della prosternazione del monaco, il Maestro dice, "Inutile maesro di monaci! Se avesti mille studenti, quale guadagno ci sarebbe?" [ritorno]
25 . "Comportamento" è all'origine "l'aria" (fu). Fu significa "vento," "aria" o "atmosfera," e quindi "stile", "costumi," "modi" o "comportamento." Viene molto frequentemente adoperata nello Shobogenzo con questo ultimo significato, ad esempio, para.[90] di questo capitolo nella frase banpo no ka-fu, "il modo in cui le cose naturalmente sono." [ritorno]
26. Lett. "la vigorosa strada autenticamente trasmessa." [ritorno]
27 . Maestro Goso Ho-en disse nella sua predica formale, "Per cambiare la Terra in oro, e sbattere la Via lattea in formaggio." Formaggio è so-raku, che era un prodotto latteo come yogurt o formaggio. La metafora funziona ancora meglio nelle lingue europee quanto nella forma di origine, poiché la galassia che noi chiamiamo "la Via lattea", in cinese la si chiama "il Lungo Fiume". [ritorno]
28 Lett. "circa alla metà dell'autunno." Nel calendario lunare, l'autunno è luglio, agosto, e settembre. Il 15 di agosto starebbe sempre a luna piena. Siccome il cielo d'autunnoè usualmente chiarissimo, si diceva questo fosse il miglior giorno per vedere la luna. A Maestro Dogen piaceva guardare la luna, e dunque il 15 di agosto era un giorno preferito per lui. [ritorno]
© Windbell Publications 1992
4-505 Kamishakujii 3-19
Nerima-ku, Tokyo 177, GIAPPONE
Tel/Fax: +81 (0)3-3929-4680
http://www.windbell.com
Corriele: mjl@gol.com
Hideo Ida Zazen Dojo
5-11-20 Minami Yawata
Ichikawa City, Chiba 272, JAPON
Tel: +81 (0)473-79-1596
Corriele: dsangha@gol.com