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Nanabozho (il Coniglio Magno)
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inglese di questo documento a: |
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Ringrazio il Sig. Mitchell per la sua cortese autorizzazione a fare questa versione del suo lavoro. Per la pronuncia della traslitterazione Pinyin, si prega riportare alla Tavola delle traslitterazioni dal Pinyin al Wade-Giles ed al Giapponese |
Gl'insegnamenti delle scuole chan
Con il loro insistere sulla meditazione silenziosa in quanto mezzo più diretto di realizzare l'esperienza del Risveglio del Buddha, tutte il scuole chan di Cina rigettevano uno studio formale e sistematico della filosofia buddhista, derivata dalle tradizioni scolastiche dell'India e coltivata particolarmente nel monastero principale, l'Università di Nalanda. Invece si sviluppò nel corso del secolo VIII° un tipo specifico di discorso dialogato usando enunciati espressi in metafore e simboli. Si trascrissero per il beneficio d'altri studenti queste conversazioni personali tra maestri e allievi che parevano provocare o dimostrare in modo significativo diversi cenni delle verità dharmiche. Verso il fine del periodo Tang e all'inizio dei Song, un certo numero di questi dialoghi raccolti furono selezionati e codificati in collane di gong an [kôan], o "caso pubblico", e furono, con la pubblicazione di comenti addizionali ugualmente elaborati sotto forma di metafore e di simboli, utilizzati nel secolo XII° come metodo principale d'istruzione probabilmente in tutte il scuole chan. Infatti, il Cinqe Case o scuole chan del periodo Song si distinguono per il tecniche individuali sviluppate da ognuna di esse per maneggiare lo studio dei kôan. Tuttavia, la produzione di questo tipo di discorso iniziò a declinare verso la fine del XIII° in Cina, la pubblicazione da Wumen Hukai del Wumen kuan [La barriera senza porta] rimanendo l'ultima grande collezione di kôan con commento ad essere pubblicata. Possiamo quindi considerare la letteratura chan come un sistema chiuso di discorso simbolico, che trae l'origine da conversazioni aneddotiche tra maestro ed allievo sin dall'inizio dei Tang, chiudendosi sulle collezioni di kôan e di commenti della fine dei Song, un periodo durato circa sei secoli.
Benché gli insegnamenti filosofici originali del Buddhismo sono di rado esplicitamente menzionati in questo discorso così specificamente cinese, ne costituiscono nondimeno la sostanza che sottende gli enunciati implicando segni e simboli. In altre parole, sono il meta-linguaggio sul quale il discorso stesso viene fondato. Lungi dal rappresentare un rigetto della filosofia buddhista tradizionale, la letteratura chan ne è, in realtà, un espressione simbolica. Quasi tutti gli enunciati chan provenienti dall'una qualsiasi delle scuole o da uno dei maestri tendono verso di una delle tre posizioni generali del Mahayana: la teoria della vacuità (a partire dei sûtra della Prajñâ-pâramitâ e della letteratura Madhyamika); la teoria della talità (o non-dualità); e la teoria del tathagata-garbha, o "Essenza-di-Buddha," che si traduce communemente in italiano con "Natura di Buddha".
La vacuità (sunyata) è la percezione che ha il Buddhismo Mahayana del fatto che tutti i fenomeni, fisici e mentali, sono impermanenti, e che nessuno esiste independentemente degli altri. Tuttavia, questo non viene capito semplicemente in quanto enunciato metaforico sulla realtà, ma anche, e in maniera più importante, come oggetto della coscienza intuitiva: in altre parole, la vacuità è per di più una esperienza che si può realizzare ed attualizare tramite la meditazione.
Il termine "talità" (tathata), comparve dapprima nei sûtra della Prajñâ-pâramitâ. Riferisce al modo cui i fenomeni esistono a priori, prima della concettualizzazione o prima che ogni forma di discriminazione tra soggetto e oggetto compaia rispetto a loro. E' lo stato inerente della realtà apparente vista da una posizione di vacuità, o di verità ultima. Quando le proiezioni mentali si fermono, i fenomeni esistono in uno stato di identità autonoma, o di "medesimità" (samata). Tutte le cose rimangono tali come sono, nella loro condizione di base di unità o di totalità, anche chiamata non-dualità (advaita, "non due"). Questo termine viene usato in varii contesti teorici dalle diverse scuole indiane, tra cui il Madhyamika, il Vijñanavada ed il Yogaçara, ed è sovente menzionato in parecchi dei tnatra tardivi. E' ugualmente un insegnamento-chiave nel Da sheng qi xin lun (Risveglio della Fede nel Mahayana), un'opera pubblicata nei dintorni del 550 e che ebbe un impatto considerevole sullo sviluppo del pensiero buddhista nella Cina.
L'espressione tathagata-garbha, che tradurrò qui in quanto Natura-di-Buddha, apparve in un certo numero di sûtra e di shastra (commenti dei sûtra) tra il 250 ed il 400 EC. Significa in sanscrito, o, "Tathagata embrionario" -- cioè il Buddha ceh ancora deve comparire -- o la "matrice del Tathagata" da dove proverrà il Buddha. Fa riferimento alla Natura-di-Buddha in tutti gli esseri sensibili, il potenziale di Risveglio non realizzato, che permetterà all'individuo di dare nascita all buddheità. In cinese, l'espressione fu dapprima tradotta da ru lai zang, e più tardi la si rese con fo xing, dopo che i commenti filosofici cinesi ebbero cominciato a elaborare sul concetto, ed è a secondo quest'ultimo che abbiamo ricevuto le traduzioni "Mente-di-Buddha" e "Natura-di-Buddha" in italiano.
Nei secoli IV° e V°, la teoria del tathagata-garbha venne incorporata al sistema Yogaçara dai teorici eminenti che furono Maitreyanatha, Asanga e Vasubandhu. E' un insegnamento-chiave del Lankavatâra sûtra, che ebbe un grande eut une grande influsso sul movimento chan agl'inizî del secolo VIII°, e giunse ad una particolare eminenza nella storia del riconoscimento del risveglio del Sesto Patriarca dal suo maestro, Hongren. L'espressione mahayanica indiana esprime l'idea che tutti gli esseri sensibili hanno in se l'essenza della buddheità e quindi, grazie alla bodhiçitta, lo spirito di risveglio, la capacità di svilupparsi anche loro in Buddha. La Natura-di-Buddha, questo potenziale che trovasi all'interno di tutto, è nascosto dalle lordure, che oscurciscono la percezione del dharmakaya: l'essenza dell'universo, l'identità e l'unità del Buddha in tutto ciò che esiste.
Nel chan, il concetto di tathagata-garbha prende un aspetto dinamico auto-generatore: per Shitou Xiqian, è veramente il fonte di ogni creazione. Lo specchio è une metafora costante per la Natura-di-Buddha; praticare il Buddhismo è rivelare la "sagezza-specchio luminoso" che si ha drento. Il tathagata-garbha è anche la base dell'insegnmento di "la mente è Buddha" delle scuole chan meridionali del secolo VIII°, ripetutamente menzionato da Shitou e Mazu.
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