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© Nanabozho (il Coniglio Magno)

Aggiornamento di questa versione italiana : 15 novembre 2006

Version française

Si potrà trovare una versione originale inglese di questo testo da:
www.darkzen.com

Ringrazio Stuart Lachs che mi ha gentilmente autorizzato a tradurre questa opera sua.


Mezzi di potere:
Stabilimento di una gerarchia nel Buddhismo Ch'an/Zen in America,

di Stuart Lachs[1]

Articolo aggiornato a partire da una presentazione fatta al Congresso dell'American Academy of Religion, inBoston nel 1999.

Rappresentazione idealizzata                   Maestro/roshi

Trasmissione del Dharma                   Lignaggio Zen

Koan                                            L'alienazione del Maestro/roshi

Note                                            Sommario


Trasmissione del Dharma

 

La trasmissione del Dharma, a secondo la convenzione, è il riconoscimento formale da parte del Maestro del fatto che lo studente abbia raggiunto un intendimento uguale al suo. Una persona che ha la trasmissione del Dharma nel lignaggio RInzai e che insegna in una grande città dello Stato di New-York ha fornito la definizione che segue della trasmissione del Dharma nel mio questionario: "Riconoscimento formale da parte di un insegnante del fatto che uno studente è ufficialmente il suo erede nel Dharma --- cioè che il senso senza parole tramesso dal Buddha Shakyamuni a Mahakashyapa e via dicendo, è ora arrivato a questo momento qui e a questo posto qui. Scritto e registrato nel lignaggio." La concezione alla quale aderisce quest'insegnante è in modo estesissimo condivisa in ciò che riguarda la trasmissione dell'insegnamento Zen "autentico". Questo riconoscimento da parte di un maestro che lo studente è un erede del suo Dharma è presumibilment identico con la mente pienamente realizzata del Buddha. E' questa continuità di una catena di menti illuminate, presumibilmente specifica allo Zen, e risalendo alla figura storica ma ugualmente fortemente mitologica del Buddha (ed anche aldilà, a secondo un'altra risposta) che forma la base concettuale della considerevole autorità dell'insegnante presente. Dal punto di vista tradizionale dello Zen, la trasmissione del Dharma giustifica che si dia al Maestro l'autorità che si concederebbe al Buddha stesso. La trasmissione del Dharma è impiegata in questo senso sin dalla dinastia Tang (EV 618-907).[25] E' questo uso di una discendenza spirituale come base di autenticità ("un insegnamento speciale fuori dalle scritture") [26] invece della dipendenza sull'autorità di un testo specifico, o in congiunzione colle scritture, che distinguisce la scuola Cian dalle altre scuole cinesi dell'epoca. Questa concezione implica che la trasmissione del Dharma venga conferta solo sulla base della realizzazione spirituale dell'allievo, e per giunta, che la trasmissione sia ricevuta dalle mani stesse dell'insegnante vivo, invece che in un sogno o altrimenti..[27]

Dopo inchiesta, ci si rende conto che l'espressione "trasmissione del Dharma" è ben più flessibile ed ambigua che ciò che noi, Occidentali, supponiamo. Di sicuro, in principio, la si da in riconoscimento di ciò che lo studente ha raggiunto una realizzazione spirituale così profonda come quella del maestro stesso (ammettendo che il maestro abbia una realizzazione profonda). Questa concezione, per i praticanti occidentali dello Zen di oggi, corrisponde alla comprensione dell'espressione "trasmissione da mente a mente (i shin den shin). La trasmissione da mente a mente implica logicamente il Risveglio del discepolo, poiché, se il maestro è illuminato, e che quel che viene trasmesso è la mente sveglia del maestro, allora bisogna che lo studente sia alquanto illuminato. Eppure, tutt'allungo la storia del Cian/Zen, si è concesso la trasmissione del Dharma per altre raggioni. Ciò può essere per una qualsiasi di una certa varietà di raggioni, che si presumono leggittime a un momento dato o a certe condizioni. A secondo alcuni ricercatori, la trasmissione del Dharma è stata difatti utilizzata come mezzo di concedere lo statuto di membro in un datao lignaggio d'insegnamento. Se n'è servito per mantenere contatti politici vitali per il benessere del monastero, per mantenere la continuità del lignaggio anche se il neoeletto non aveva aperto il suo occhio del Dharma, per cimentare un legame personale con un allievo, per rafforzare l'autorità di missionari che stavano spargendo il Dharma in paesi forestieri, [28] o per concedere la salvezza (in modo postumo nel Giappone medievale) col permettere al defunto neoeletto di raggiungere la "linea di sangue" (ketsumyaku) del Buddha. Nel corso dell'ultimo periodo della dinastia Song (EV 960-1280), si dava in modo meccanico la trasmissione del Dharma ai più anziani di un monastero, probabilmente afinché la strada loro verso l'abbaziato non venga bloccata. [29] E' chiaro che il Risveglio non è sempre stato considerato come criterio essenziale per la trasmissione del Dharma. Manzan Dohaku (EC1636-1714), riformatore Soto, ha propagato l'idea che la trasmissione del Dharma dipendeva dall'iniziazione personale tra un maestro ed un discepolo piuttosto che dal Risveglio del discepolo. Ha mantenuto quest'opinione di fronte ad una forte opposizione, dovendo persino citare a suo favore l'ingente autorità dello Zen giapponese, Dogen (EV 1200-1253).[30] E' diventata e rimane sino ad oggi, la dottrina Soto ufficiale.

Per dare un esempio contemporaneo del ruolo funzionale della trasmissione del Dharma nell'istituzione Zen, tutto quanto una lezione di storia istituzionale, prendiamo la scuola Soto nel Giappone contemporaneo. Questa scuola si sforza d'incollare alle strutture istituzionali del tempo di Dogen quando ogni tempio Soto doveva avere un abbate, e che ogni abbate doveva avere la trasmissione del Dharma. Nel 1984, c'erano 14 718 tempi Zen Soto in Giappone, e 15 528 bonzi Soto. Poiché deve ogni abbate essere un bonzo, ne consegue che quasi tutti i bonzi Soto (95%) hanno la trasmissione. Bisogna osservare che una maggioranza di questi bonzi passano meno di tre anni in un monastero. Parecchi si accontentano di un anno, e perfino sei mesi, di formazione. Tipicamente, mentre ci sono parecchi testi Soto che si riferiscono al rituale della trasmissione del Dharma, non esiste quasi niente sulle qualifiche necessarie.[31]

La vasta maggioranza dei bonzi Zen Soto, in Giappone, sono loro stessi figli, in linea di massima i primogeniti, di bonzi di tempi e che riprendono il tempio del loro padre, più o meno come un 'affare di famiglia'. Nel caso ci fossero solo figlie nella famiglia, si arrangia un matrimonio tra una delle figlie e un giovane bonzo che, seno, non avrebbe altra opportunità per acquistare il proprio tempio. Lo scopo essenziale di tutte queste combinazioni, è l'assicurarsi che il già abbate e la sua sposa abbiano un posto dove vivere dopo il pensionamento. La trasmissione del Dharma è quindi poco più di una formalità. [32]

Per dare un esempio moderno di trasmissione tra i vivi ed i morti, Yasutani-roshi, uno dei maestri Zen i più influenti in Occidente, considerava aver un legame personale spirituale con Dogen, e consideravasi un erede diretto del Dharma di Dogen per virtù del possesso del "veritiero occhio del Dharma" (Shobogenzo). Poteva quindi stabililre la propria autorità senza riferirsi alle discendenze patriarcali Soto o Rinzai.[33]

Il senso ed il valore della trasmissione del Dharma e del lignaggio Zen non è strettamente parlando una preoccupazione moderna. Alla fine della dinastia Ming (EV 1368-1644) in Cina, questi problemi erano soggetti eminenti tra i maestri Cian i più importanti, che espressero una grande varietà di vedute. Taluni credevano poter trasmettere il loro Dharma a un discepolo il cui occhio non era ancora aperto, ma che fosse capace di dirigere il monastero. Questi era chiamato "il sigillo di cocomero", cioè senza relazione con un sigillo di pietra. Fazang (1573-1635), un celebre Maestro Linji, credeva che il Dharma è qualcosa che bisogna capire e che è in relazione coll'affermazione della mente. Questo Maestro pensava che fosse possibile di essere il successore di un maestro morto da parecchio, che non si è mai incontrato, dal momento che la comprensione tra Maestro vivo e Maestro deceduto esiste. Non pensava che fosse necessario aver un certificato di lignaggio per esser considerato un Maestro Cian. Il suo fratello nel Dharma, Dongrong (1592-1660), pensava precisamente a contrario che fosse necessario incontrare il proprio maestro vivo ed aver un certificato di lignaggio.

Ugualmente nella scuola Caodong c'era una varietà di vedute. Una abbastanza commune era che il Risveglio fosse nella nostra propria mente, che non c'era bisogno di andare a cercare una conferma da parte di chiunque altro, se si è liberi di dubbi. Uno dei maestri di questa scuola, Wuyi Yuanlai (1575-1630), credeva che l'essenza della scuola del Cian era che ci volesse una concordanza delle menti, e non una trasmissione formale della scuola. Credeva che tutti i lignaggi del Cian fossero stati interrotti, che fossero estinti, ma che tutte le cinque scuole Cian dell'origine potevano ancora esser considerate come presenti in quanto un qualsiasi praticante avesse una comprensione corretta corrispondendo esattamente alla comprensione antica di questa scuola. Questo Maestro era anche lui opposto alla trasmissione del Dharma allo scopo di perpetuare la discendenza istituzionale. Lo chiamava: "aggiungere l'acqua per tagliare il latte". Di conseguenza, era preferibile per lui l'aver una persona con un intendimento vero senza trasmissione del Dharma quanto una persona con un certificato fondato su niente intendimento. Con una persona che ha un reale intendimento, ma niente trasmissione del Dharma, è la sola scuola a finire, la Via rimane giusta ed alcun danno viene recato al Dharma. Con una trasmissione del Dharma che non sarebbe basata sulla realizzazione della mente, continua la scuola, ma la sua realtà è falsa, inganna la mente, inganna il Buddha, inganna il mondo. In tal caso, si ha ciechi che guidano ciechi e tutti salteranno nel gran fuoco. Fu menzionato che alquanto il lignaggio di Linji quanto quello Caodong furono interrotti [34]. E' ben noto che tra i quattro grandi maestri dell'epoca Ming tardiva, nessuno apparteneva alle scuole di Linji o di Caodong e tre dei quattro non avevano alcun certificato formale di lignaggio.[35]

Niente strano, visto le implicazioni della convenzione della trasmissione del Dharma, che concezioni idealizzatissime della persona che la riceve, e del ruolo stesso, prevalgano oggigiorno tra gli studenti americani dello Zen. La maggioranza degli studenti vogliono capire l'espressione "trasmissione del Dharma" come una specie di sigillo di granito USDA (istituto americano delle norme) di ciò che il Maestro/roshi è pienamente illuminato, e che i suoi più minuti gesti manifestino l'Assoluto. Quest'atteggiamento è ben illustrato dalle risposte al mio questionario: "Un Maestro Zen è una persona che è stata certificata come esistendo in uno spirito di pieno Risveglio..."


Lignaggio Zen

 

Il terzo componente di questa triade concettuale è il "Lignaggio Zen". Nell'introduzione di un libro recente del Maestro Shengyen, Subtle Wisdom (Saggezza sottile), egli dice che il suo scopo è descrivere lo sfondo e lo sviluppo dello Cian tanto per i nuovi lettori quanto per quelli che dispongono di poca informazione o di informazioni erronee. Ci informa allora di che, "dall'epoca de Buddha, i maestri hanno concesso la 'trasmissione' della loro sagezza ai loro discepoli quando questi hanno dimostrato avere l'esperienza e l'intendimento del Dharma, gl'insegnamenti del Buddha. E' per conseguenza di questa forma di riconoscimento che si sono sviluppati i lignaggi..."[36] Qui, l'idea che il lignaggio Cian risale al Buddha è chiaramente implicita. Anche se non dice che la linea non sarebbe ininterrotta, questo è implicito nel testo, visto che la tradizione Cian ancora esiste e che viene trasmessa da Maestro a discepolo. Quel che viene accuratamente ommesso dall'autore, il quale sa benissimo come sono le cose, peraltro, è che non esiste nulla come un lignaggio Cian ininterrotto che risalirebbe al Buddha, e che il lignaggio allo quale si pretende non è basato su di una profonda realizzazione sprirituale.

La nozione che il Cian/Zen partecipi di un lignaggio ininterrotto risalendo al Buddha viene ripetuta da un contesto Zen all'altro. La menzione qua sopra del mito della trasmissione/del lignaggio Zen da parte del Maestro Shengyen non è solo una ripetizione recente del mito che la scuola dello Zen ha propagato e trasmesso dagl'inizi in Cina nel corso della dinastia Tang. Nelle risposte al mio questionnario, è stato ripetuto da almeno tre insegnanti Zen americano, cui so che sono i "detentori della trasmissione'.

Questo paradigma del lignaggio, per giunta all'idea dei svariati "patriarchi" reggendosi allungo una linea di antenati, non si è prodotto a caso. Si sa bene che la coltura cinese da una importanza massima al culto degli antenati e alla genealogia patriarcale. Essenzialmente, il Cian ha sostituito quest'ascendenza familiare fondata sulla nascita, che è fondamentale per la società cinese tradizionale, da una famiglia "spirituale" la cui genealogia risalirebbe al Buddha, cioè, il lignaggio Cian. Ciò che non significa che sia una creazione delll'immaginazione cinese. I maestri kashmiri ceh hanno fondato la tradizione meditativa in Cina hanno portato con loro "il nocciolo della teoria della trasmissione con la quale il vero insegnamento del Buddhismo si trasmette sin dal Buddha Shakyamuni attraverso una successione di patriarchi". [37] Tale convenzione si inseriva benissimo nell'ordine confuceo preesistente, e facilitava l'accettazione di quel che era infatti una religione straniera. Alan Cole scriveva:

    "Da quando si è aperto le grotte di Dunhuang agli inizî del secolo, si sa che i testi
    lignaggiari del Cian dalla metà e della fine dell'epoca dei Tang divergevano considerevolmente
    gli uni dagli altri nelle loro svariate pretese al possesso del Risveglio&emdash; discendenze che
    risalivano sino a Bodhidharma erano molto diverse nella loro presentazione, a secondo chi le aveva
    redatte. Nell'assieme, questi testi lignaggiari rappresentavano una nuova forma di dibattito
    dal funzionamento seguente: "ho raggione e voi avete i torti, perché appartengo ad un lignaggio di
    verità perfetta e voi no". La struttura di tale polemica doveva sembrare provocante di primo acchito.
    Come mai è potuto succedere questa cosa nel Buddhismo?
    Perché mai si sarà rinchiuso in un modello confuceo di eredità patrilineare...?"[38]"

 

Come lo abbiamo visto più in su, pero, il Cian/Zen tenta di darsi una leggitimità col mezzo di un lignaggio e di una trasmissione incontestabile risalendo ad un Buddha Shakyamuni mitificato. Questo mito corrisponde a una forma di costruzione umana necessariamente soggetta a interpretazione umana. Per leggitimità, intendo la "conoscenza" socialmente obbiettivata che serve a spiegare l'ordine sociale. Un altro modo di dire che la leggitimità è una risposta ad ogni domanda sul "perché" delle combinazioni istituzionali. Ogni leggitimità trattiene una realtà socialmente definita. A certi momenti, una certa leggitimità può sembrare essere al di sopra di ogni questione e tutto il concetto di costruzione e d'interpretazione dello spirito può essere nascosto e persino perso. Ma ad altri momenti, per una qualsiasi raggione storica, le contingenze delle situazioni umane strappano questa coperta e lasciano vedere sino a che punto l'apparente assoluto della costruzione sia realmente fondato nell'interpretazione e l'intendimento umani. Scrive Berger: "Tutti i mondi socialmente costruiti sono intrinsecamente precarî. Mantenuti dall'attività umana, sono costantemente minacciati da questi fatti umani che sono l'interesse proprio e la stupidità." [39]

Lo Zen sembra essersi intrappolato alla sua propria retorica quando ha idealizzato espressioni chiave come Maestro/roshi, trasmissione del Dharma, e lignaggio Zen. Ha divorziato dalle preteze all'autenticità provenienda dai sutra o da ogni altro testo canonico per fondare la sua autenticità sulla discendenza. Inerente a questo modello si ha l'idea corollaria della Trasmissione del Dharma da maestro illuminato a maestro illuminato risalendo sino al Buddha. Il Buddha rappresenta tanto la natura ontologica dell'Universo quanto l'epitome della realizzazione umana. E' oggi necessario mantenere il mito del lignaggio ininterrotto fondato sulla trasmissione da mente a mente, lo stesso di quanto era necessario per i bonzi della dinastia Song che hanno creato il mito e hanno combattuto per farlo ammettere quanto fatto storico. Non ci sono alti modi di sostenere la pretesa dello Cian a rapprensentare la mente del Buddha. Allora diventa importante l'insistenza sui legami ancestrali, attraverso la trasmissione da mente a mente, che siano veri o inventati. Il livello dei meriti e della santità che raggiungono i patriarchi Cian ed i maestri è una importante preoccupazione dei membri vivi di codesto lignaggio Cian, cioè i maestri/roshi vivi. E' il prestigio del lignaggio mitico che consente a questi maestri vivi la loro situazione privileggiata nella tradizione monastica buddhista e nel mondo buddhista in complessivamente. [40]

Benché sia possibile studiare le tre espressioni Maestro/roshi, trasmissione del Dharma e lignaggio Cian/Zen separatamente, sono, per quel che riguarda l'autorità nello Zen, intrecciati e funzionano quasi come un complesso. Questa convenzione della trasmissione nel quadro di una discendenza esige che ciò che viene trasmesso sia totalmente ed autenticamente la mente del Buddha. E' importante osservare che non ci può essere una trasmissione parziale. Di conseguenza, si è un maestro o si è uno. Non esiste uno stato intermediario o equivoco; nessuno viene riconosciuto in quanto "una specie di Maestro" o "quasi un Maestro". Se uno è maestro, ha quindi realizzato la mente di Buddha, e egli/essa funziona quindi dalla prospettiva dell'Assoluto, punto di vista che va aldilà dell'intendimento del consueto essere sensibile. In tal senso, il Maestro rappresenta la manifestazione misteriosa, sacra, della natura vera, la mente di Buddha. Berger così espone il quadro generale: "Se la religione legittimiza così efficientemente, è a raggione del fatto che mette in relazione le precarie costruzioni della realta della società empirica colla realtà ultima. Le tenue realtà del mondo sociale ci sono radicatenel più-che-reale sacro, col situarle indatti all'interno di un quadro di riferimento cosmico e sacro che trascendeerebbe per definizione le contingenze dei significanti e dell'attività umani. Le costruzioni storiche dell'attività umana vengono considerate da una posizione vantaggiosa che, a raggione della propria definizione, trascenda la storia e l'uomo."[41]

Di conseguenza, a secondo la retorica dello Zen, ogni atto del Maestro è una manifestazione della verità viva dello Zen, ogni attività è un insegnamento se solo l'allievo consente all'afferarlo. Tutto ciò che pare cattivo, problematico o contradittorio § dovuto alla mancanza da parte dell'allievo di penetrazione nell'Assoluto, o nella mente di Buddha, donde provengono tutte le azioni ed intuizioni del Maestro. Questo modello porta necessariamente ad un'idealizzazione del Maestro/roshi. In quanto incarnazione della mente illuminata del Buddha, il Maestro è totalmente aldilà della nostra comprensione e non può venir sottomesso quindi al nostro intendimento o al nostro giudizio. Niente sorpresa, dunque, se gran parte dei comportamenti che si possono constatare nei centri Zen americani possono sembrare un pò settarî per il non-iniziato.


Koan

 

Uno degli aspetti specifici dello Zen che ha cattato l'attenzione degli Americani, è il koan Zen. Come lo potrmo vedere più in là, si utilizzano i koan in più modi, e questi koan svolgono un certo numero di funzioni. Come lo sanno molti, un koan è una storia o più correttamente un incontro tra un maestro ed un discepolo (o qualsiasi altra/e persona/e). Gli si utilizza nel corso di una forma di meditazione chiamata Meditazione di Koan (C. kanhua Chan, G. kanna Zen), meglio conosciuta sotto la denominazione popolare di studio dei koan. In Giappone, lo studio dei koan è diventato, col passare del tempo, formalizzatissimo in ogni lignaggio d'insegnamento, ogni tale lignaggio disponendo del proprio corso di koan "attraverso" il quale bisogna passare, con risposte accettate corrispondendo ai casi dati, ed un metodo standardizzato per segrettamente guidare l'allievo attraverso il corso dei koan e delle risposte. [42] Il contenuto di un corso all'interno di un lignaggio rimane un segreto ben tenuto. Questi dialoghi sono più sovente totalmente sconcertanti per il non iniziato. I koan non sono resoconti storici di avvenimenti reali, anche se lo credono i Buddhisti di Estremo Oriente, come parecchi altri, se non la maggioranza dei praticanti contemporanei. Si tratta piuttosto di recreazioni del modo cui i maestri illuminati del passato potrebbero aver parlato ed agito. La popolarità dei testi di koan è finita per informare l'attuale pratica orale. [43] Cioè che sono finiti per fungere da modelli per le forme della retorica e della procedura nel discorso pubblico all'interno delle istituzioni Zen. Se il concetto dei koan in quanto invenzione litteraria implicherebbe troppi calcoli od artifici da parte dei compilatori, gli si può vedere in un altro modo quanto i racconti folclorici della tradizione Zen. [44]

Anche se gli Americani vogliono credere che stanno seguendo una forma antica e ortodossa di studio dei koan nel quadro di uno Zen cinese, coreano o giapponese, non è davvero il caso, perché una forma tale non esiste. Non esiste un modo unico di utilizzare i koan; non si sa con esattezza a che momento sono stati utilizzati i koan nella Cina dei Song e dopo. Un maestro coreano popolare negli USA ha costruito un corso di koan che pare riflettere l'idea che ne hanno gli americani, la quale corrisponde al metodo della scuola Rinzai giapponese moderna, mentre questa non è la forma che viene utilizzata in Corea. Questa versione troncata del modello Rinzai potrebbe indurre l'allievo che c'è poco o niente contenuto intellettuale nello studio dei koan nel Giappone moderno, tuttavia, il G. Victor Sogen Hori, un universitario canadese che spese circa quindici anni della vita sua nei monasteri giapponesi a fare lo studio dei koan ne dipinge un quadro molto diverso. A secondo lui, si spende un tempo ragguardevole nel redigere dissertazioni sui koan, che debbono essere presentate al roshi e classificate da esso. Vengono consentiti grandi sforzi per familiarizzarsi col libro degli incipit [45] di tal sorta che questa grande collana di frasi viene essenzialmente imparata a memoria. Finalmente, per chi lo può, bisogna scrivere poesie in Cinese per accompagnare i diversi koan.[46]

Come quasi tutti gli altri aspetti dello Zen, i koan ed il risveglio che, si spera, ne conseguirà dal loro studio, vengono presentati agli Americani in un modo estremamente idealizzato. Le qualità presentate nelle descrizioni edealizzate che gli aneddoti dei koan contengono vengono del tutto naturalmente trasferte sul Maestro/roshi, poiché la retorica dello Zen presenta le persone che questi aneddoti riguardano come avendo completamente ammaestrato i koan.

Si può vedere un esempio di questa concezione idealizzata nella citazione che segue di Yasutani roshi nel suo commentario del koan Mu:

    "Già da quando avrete esploso nel Risveglio, stupirete il Cielo e scuoterete la Terra.
    Come se aveste già ricuperato la grande sciabola del Generale Kuan [un gran generale, invincibile
    in combattimento], sarete in grado di ammazzare il Buddha se lo incontraste [e che diventasse
    un ostacolo per voi] e spedire tutti i patriarchi sulla strada vostra [se vi fossero un fastidio].
    Di fronte alla vita e alla morte, siete totalmente liberi; nelle sei Sfere dell'Esistenza ed
    i Quattro Modi della Nascita, vi spostate in un samadhi d'innocenti delizie.[47]"

 

Al leggere tale descrizione, si potrebbe credere che il roshi non si sposta altro che in un "samadhi d'innocenti delizie". Tuttavia, vedete come lo stesso roshi pienamente illuminato manidestava la sua sagezza quando trattava delle condizioni sociali e politiche del Giappone moderno. La citazione che segue contiene parole che non sono state scritte da Yasutani altro che per un pubblico esclusivamente giapponese, poco prima della sua morte nel 1972. Dopo che avesse dato del traditore al movimento operaio ed ai sindacati giapponesi, va avanti dicendo: "Le università che abbiamo oggi devvono essere schiacciate tutte senza eccezione. Se non può esser fatto a raggione della presente costituzione, allora bisogna dichiarare questa priva di valore al più presto, poiché è una costituzione anti-giapponese che rovina la nazione, una costituzione vergognosa nata come figlia bastarda delle forze di occupazione alleate"[48] Quel tipo di vedute era un aspetto costante dei discorsi di Yasutani nell'arena politica e sociale, ricoprendo cioè al minimo gli ultimi 40 anni della sua vita.

I koan servono essenzialmente in due maniere. Nei gruppi associati alla tradizione Soto dello Zen giapponese, servono in occasione degli insegnamenti formali, ossia in quanto tema principale del corso, ossia in quanto dispositivo pedagogico per far risalire un qualunque punto, ossia ancora per servire d'indicazione. Nei gruppi che appartengono alle tradizioni Rinzai o Sambôkyôdan dello Zen giapponese, come in certi gruppi connessi colle tradizioni coreana o cinese, così vengono utilizzati i koan; ma servono anche, e questo in modo molto più importante, in quanto soggetto di meditazione per lo studente. Incontri privati col maestro (giap. sanzen o dokusan) fanno anche parte del processo quando si usa così dei koan.

Nelle scuole dello Zen dove il koan dispone di una preeminenza in quanto focolare di attenzione della pratica meditativa, il koan ha questa funzione addizionale di rafforzare il potere del maestro ed anche l'autorità di una gerarchia istituzionale in parte fondata su quel che sorge largamente dall'invenzione letteraria. Il maestro, avendo ostensibilmente ammaestrato i koan, è una rappresentazione viva dello spirito di risveglio che il koan indica. L'insegnante giudica della penetrazione dello studente e decide se la sua risposta è completa o abbastanza profonda per ottenere la conferma, o l'approbazione e per passare ai casi che seguono nel cursus. Benché prentenda al contrario la retorica popolare, il fatto di "passare" al caso seguente non significa per niente che lo studente abbia profondamente capito il caso presente. C'è stato un certo "passaggio", cui non si discute apertamente e sullo quale non si scrive nulla. Cioè che si fa andare lo studente avanti nel cursus dei koan, anche se ha dimostrato poca penetrazione o realizzazione in parecchi di essi.

Gl'incontri privati tra allievi ed insegnanti hanno luogo sotto una forma stilizzata: brucia l'incenso nell'atmosfera morbida della sala d'intervista, lo studente si china entrando e lasciando la stanza, e si prosterna per terra prima di venire a sedere davanti al maestro che lo sta aspettando, seduto. E' quest'ultimo che controlla l'intervista; che decide se deve encorraggiare lievemente o fortemente; dare un indizio o soltanto rinviare l'alliervo; rimproverarlo o encoraggiarlo; raccontare un aneddoto personale o rimanere glaciale, e por fine all'intervista a volontà sua, da un tintinno della campana. Finalmente, è il maestro che decide se lo studente deve "passare" a un altro caso, o, più importante ancora, quando la penetrazione di qualcuno è un'esperienza abbastanza Zen o no.[49] Si capisce tra i praticanti che quello è il vero Zen, laddove la vera formazione si fa in segreto. Lo studente non deve discuttere in nessun modo quel che succede in sanzen con quicchessia tranne il maestro. In tale ambiente e contesto, è facile vedere come l'allievo fa la connessione tra il maestro di oggi ed i grandi Maestri del passato le cui parole sono esaminate nei koan.

Come spero averlo fatto vedere, la retorica delle istituzioni Zen riconosce nel maestro di oggi che sta aspettando lo studente nella morbida sala d'interviste, il discendente vivo dei nostri antenati cinesi, i grandi maestri del koan. Il discorso sostiene che tra questa trasmissione da mente a mente, e questo lignaggio Zen ininterrotto esiste una connessione diretta tra quel maestro vivo ed il Sesto Patriarca e Bodhidharma, ed, difatti, la discendenza completa dei patriarchi e sino al Buddha stesso. Questa nozione di connessione diretta viene menzionata nell'idioma Zen come "da sopraciglia a sopraciglia", ciò che implica una massima intimità, e quindi "sentire dalle medesime orecchie e vedere dai medesimi occhi".[50] Così, tra questa partecipazione ad uno scambio che è naturalmente legato dalla forma ed il simbolo alle attività dei maestri illuminati, lo studente rigioca lo stesso koan, e, in un senso, entra nella sfera senza limiti dello spazio sacro. Atttraverso tutte le interviste private, il Maestro/roshi presenta il caso, dirige la discussione o le domande, introduce un linguaggio speciale e a volte, un modo fisico di rispondere; o ancora può rispondere con una storia personale. Ma sempre rimane lui, e lui solo, l'arbitrio finale della penetrazione o della comprensione corretta, cioè del "passaggio" attraverso il koan. Ciò che significa realemente questo passaggio "può variare fortemente da un insegnante all'altro e da un caso all'altro. Anche tra le più grandi figure della tradizione Zen si possono travare grandi disaccordi su quello che significa la "realizzazione". Dogen, ad esempio, il fondatore dello Zen Soto in Giappone, criticava Tahui (EV 1088-1163) un contemporaneo del proprio maestro, e forse il massimo rappresentante dello Zen da koan e l'uno dei giganti dello Cian in Cina. Lo accusava dell'aver nessuna penetrazione, e lo accusava, in essenza, dell'esser un truffatore.

Durante una ritirata da sette giorni, gl'incontri privati tra allievo e Maestro/roshi si ripetono più volte al giorno, ed in altre occasioni forse da una a più volte a settimana. Ma questo succede sempre coll'intendimento che si tratta lì del "vero"insegnamento e che ci si trova al confronto dell'essenza dello Zen. Non è di poca importanza che sia là che uno deve avanzare in questo gruppo specifico, che sarà là che uno verrà riconosciuto in quanto buon allievo o allievo prediletto, che ci si va allenare per il ruolo di futuro insegnante, o anche che si potrà entrare nella famiglia del Buddha grazie all'atto della trasmissione del Dharma. Scrive Berger : "Se la religion legittimizza così facilmente, è che mette in relazione le precarie costruzioni della realtà che fa la società empirica, colla realtà ultima."[51] Qui, nella sala di sanzen, privatamente, tra gl'inchini, le campane e l'incenso, per mezzo del koan, lo studente affronta la comprensione Zen della realtà, l'assieme della tradizione Zen o dei nostri "Antenati Zen", come lo enunciava un gruppo. Lo studente si ritrova nella presenza della natura di Buddha o della mente di Buddha come manifesta quotidianamente nel ruolo tenuto dal maestro che rimane seduto in silenzio, aspettando che l'allievo gli venga presentare la suo propria natura di Buddha. Questo succede in un ambiente dove il Maestro/roshi è manifestazione dell'assoluto, il luogotenente del Buddha. Il Maestro invita, lusinga, stimola lo studente nel giungersi, nel vedere, nel prender parte a questa sacralizzazione del mondo quotidiano per mezzo del koan, del Buddha manifestato, e degli antenati. L'insegnante è seduto davanti all'allievo, lo affronta, e l'allievo si prosterna e si presenta davanti a lui totalmente e di tutto cuore.

L'orchestrazione dell'incontro agisce almeno su due livelli diversi di idealizzazione. Uno è tacito e testuale, a secondo l'uso delle storie letterarie di saggezza, nelle quali il maestro ha presumibilmente ammaestrato il senso esoterico profondo, e che rapprensenta un paradigma idealizzato della relazione maestro/allievo. L'altro, più esplicito e gestuale, si giuoca nello scambio ritualizzato degl'inchini, la cura data all'arrangiamento fisico della stanza, l'apprendistato di un nuovo linguaggio, un modo di esprimere delle idee non facilmente afferrate dal non-iniziato, e l'allenamento a rispondere spontaneamente e in modo iconoclastico, cioè per mezzo di azioni quasi formalmente prescritte. Quell'idealizzazione del'insegnante e dell'istituzione da esso/essa rappresentata, risulta, in ultima analisi, colla legittimazione della gerarchia istituzionale. E' per mezzo di tali atti altamente ritualizzati e sino a un certo punto, delle risposte rituali ai koan stessi, che l'autorità del Maestro/roshi s'incarna e riceve il suo significato. Lo studente partecipa ad un rituale che incarna il maestro vivo in quanto uguale del Buddha e della discendenza dei patriarchi. Nello stesso momento, si sottomette l'allievo alla sua propria posizione di essere umano ordinario, coi suoi desideri di progredire, di realizzare, e di essere riconosciuto.

Malgrado il fatto che tutti questi elementi dell'intervista siano convenzioni monastiche, che riflettono la struttura istituzionale ben più di qualsiasi qualità inerente al Risveglio, lo studente può aver l'impressione che egli o ella sta partecipando infatti ad un avvenimento situato in uno spazio sacro e fuori dal tempo. Tutto il scenario è interamente costruito da gente, eppure, ci si fa credere all'allievo che è questo l'unico modo, o maniera cui le cose sono sempre avvenute sin dagl'inizî dei tempi più antichi dello Zen. Così come lo descrive Berger, l'intenzione del rituale è di "far dimenticare alla gente che quell'ordine è stato stabilito dagli uomini, e continua nel dipendere dal consenso degli esseri umani. Gli si lascia credere che col seguire del programma istituzionale a loro imposto, non fanno altro che il realizzare le più profonde aspirazioni del loro essere e che si stanno mettendo in armonia coll'ordine fondamentale dell'universo."[52]


Note

[25] Foulk, T.Griffith e Robert H. Sharf, "On the Ritual Use of Ch'an Portraiture in Medieval China," Cahiers D'Extrême Asie, 7, 1993, p. 195.

[26] Per leggere una discussione interessante dell'accettazione piuttosto tardiva (inizî del secolo dodicesimo), ed anche controversa, di quest'idea autodefinenda nello Cian/Zen, vedi Welter, Albert, " Ch'an Slogans and the Creation of Ch'an Ideology, A Special Transmission Outside the Scriptures," conferenza presentata al Congresso Annuo dell'AAR, Novembre 1995.

[27] Faure, Bernard, Rhetoric of Immediacy, Princeton University Press, 1991, pp. 221,225;
Shengyen, Master, Investigation of Chinese Buddhism in the Late Ming Era, tradotto privatamente per l'autore da Ming-yee Wang, Dharma Drum Publications, 1987, pp. 48-53.
Per un tipo di trasmissione strano ed interrotto nella discendenza di Caodong, vedi Schlutter, Morten, "Silent Illumination, Kung-an Introspection, and the Competition for Lay Patronage in Sung-Dynasty Ch'an" in Buddhism in the Sung, pubbl. da Peter N. Gregory e Daniel Getz, Honolulu: Hawaii University Press, 1999.

[28]. Welch, Holmes, Buddhism in China, 1900 to 1950, Harvard University Press, 1967, p. 315. Welch cita il caso di un bonzo cinese del novecento che ha dato la sua trasmissione ad un altro bonzo cinese che stava allora in Birmania, "senza averlo mai incontrato, e senza nemmeno sapere se accetterebbe il suo Dharma."

[29] Foulk, T. Griffith " Myth, Ritual, and Monastic Practice," Religion and Society in Tang and Sung China, pubb. da. Patricia Buckley Ebrey e Peter N. Gregory, University of Hawaii Press, 1993, p.160.

[30] Bodiford, William M., Soto Zen in Medieval Japan, University of Hawaii Press, 1993, p. 215."La trasmissione Zen del Dharma tra maestro e discepolo potrebbe aver luogo, che l'allievo abbia realizzato il Risveglio o no, in quanto il rituale di iniziazione personale era stato compiuto." Per una discussione più avanzata dei sorprendenti usi della trasmissione del Dharma, vedi Bodiford qui sopra, p.149, Welch citato più avanti, The Rhetoric of Immediacy, pp.14, 17, 225. Vedi pure "On the Ritual Use of Ch'an Portraiture in Medieval China."

[31] Foulk, T. Griffith, "The Zen Institute in Modern Japan," pp.157-177 , Zen, Tradition and Transition, Kenneth Kraft ed., NY, Grove Press, 1988

[32] Quest'informazione me l'ha data Brian Victoria in una corrispondenza privata.

[33] Sharf, Robert, "Sanbokyodan, Zen and the Way of New Religions," Japanese Journal of Religious Studies, Autunno 1995, Vol. 22, no. 3-4.

[34] Shengyen, Master, Investigation of Chinese Buddhism in the Late Ming Era, Dharma Drum Publications, 1987, pp.5-7, 48-53, tradotto privatamente per l'autore da Ming-yee Wang. Per uno strano ed ininterrotto tipo di trasmissione nella discendenza Caodong, vedi Schlutter, Morten, "Silent Illumination, Kung-an Introspection, and the Competition for Lay Patronage in Sung-Dynasty Ch'an." In Buddhism in the Sung, pubb. da Peter N. Gregory e Daniel Getz, Honolulu: Hawaii University Press, 1999.

[35] I quattro maestri furono Oui (1595-1653), Taguen Chengge (1543-1603), Yun-chi Chu-chung (1535-1615), e Hanshan (1546-1623). I commentari di Han Shan sul Sutra di Diamante ed il Sutra dell'Illuminazione completa sono stati tradotti in inglese in Luk, Charles, Chan and Zen Teaching, prima e terza serie, rispettivamente, Rider & Co., 1960 e 1962. Per talune delle parole di Han Shan sulla meditazione, vedi Luk, Charles, The Secrets of Chinese Meditation, Weiser, 1979. Vedi anche Oui, An Exhortation to be Alert to the Dharma. Trad. dal Maestro di Dharma Lok To. Ed. Dr. Frank G. French, Bronx, New-York: Sutra Translation Committee of The United States and Canada, 1987.

[36] Shengyen, Master, Subtle Wisdom, Doubleday, 1999, p. IX.

[37] McCrae, John, "Encounter Dialogue and Transformation in Ch'an" in Paths to Liberation, pubbl. da Robert Buswell e Robert Gimello, University of Hawaii Press, 1992, p.359.

[38] Cole, Alan, "Fathering Your Father and Other Literary Privileges in the Platform Sutra," conferenza data in occasione di un seminario all'Università di Princeton sotto gli auspici di Stephan Teiser, dicembre 1998, p. 12, permesso di citare concesso dall'autore.

[39]The Sacred Canopy, pp.32-34

[40] " Myth, Ritual, and Monastic Practice in Sung Ch'an Buddhism", in Religion and Society in T'ang and Sung China, p.174.

[41] The Sacred Canopy, pp. 32-34.

[42] Soto Zen in Medieval Japan, pp.145-148.

[43] McCrae, John, "Encounter Dialogue and Transformation in Ch'an", in Paths To Liberation, pubb. da Robert E. Buswell e Robert M. Gimello, p.340

[44] Quest'idea dei koan in quanto racconti folclorici è stata suggerita da Robert Aitken, in Original Dwelling Place, Counterpoint, 1996, p.103

[45] Frase di Incipit- jakugo(G.)-- significa letteralmente "frase giunta" -- utilizzata per dimostrare la comprensione del koan utilizzando un verso o una frase nel pour montrer sa compréhension du kôan en choisissant un vers o une phrase dans le Zenrin Kushin, Antologia delle poesie Zen- una collana di 4,380 poesie tutte riprese da una grande varietà di fonti cinesi. Cf. Hori, G. Victor Sogen, "Koan and Kensho in the Rinzai Zen Curriculum," p.26, una conferenza inedita presentata al Congresso annuo dell'American Academy of Religion,.21 novembre, 1994.
Permesso di citare concesso dall'autore.

[46] Hori, G. Victor Sogen, "Koan and Kensho in the Rinzai Zen Curriculum," pp.24-29.

[47] The Three Pillars of Zen, pp.76-77.

[48] Zen At War, p.168.

[49] Per un trattamento interessante della volatilità istituzionale nel lignaggio Sambôkyôdan di Yasutani e di chi controlla il risveglio, alla pari cogl'interessi nazionalisti, cf. Sharf, Robert H., "Sanbokyodan: Zen and the Way of the New Religions," Japanese Journal of Religious Studies, autunno 1995, Vol. 22 /no.3-4, pp.444-452.

[50] Three Pillars of Zen, p.83.

[51] The Sacred Canopy, p. 32.

[52] The Sacred Canopy, P.33


[Segue : terza parte]

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