© Nanabozho (il Coniglio magno)
Aggiornato al 25 novembre 2006

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Le Bouddha sous le roi des najas

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La pratica di zazen

Introduzione: il mio andamento personale

Esercizi di ammorbidimento: le salutazioni al sole

La cultura del loto: o come non danneggiarsi le ginocchia

 

Sedersi

Siddhartha Gautama, dopo l'aver lasciato la casa, si dedicò per parecchi anni all'ascetismo più estremo, e nello stesso tempo, studiava le dottrine filosofiche più importanti del suo tempo. Nessuna lo soddisfece appieno, e quanto all'ascetismo, gli valse di trovarsi alle porte della morte.

Una leggenda vuole che, totalmente stecchito, e più accanito che il più accanito dei saddhu, egli abbia inteso un musicista spiegare all'allievo: "Vedi, se non si tende la corda a sufficienza, non suona. Ma se la tendi troppo, si rompe".

Per me ha questa frase un senso molto preciso, anzi fisico. Quando sto accordendo un clavicembalo e che si spezza una corda -- poiché stanno sovente all'limite del loro punto di rottura, ed è lì che meglio suonano -- quando accade, provo ogni volta una specie di orrore, quasi quasi...

A quel momento, quindi, avrebbe Siddhartha deciso di non spezzarsi ed avrebbe lasciato perdere colle mortificazioni. Poi si sedette e capì. Dopodiché, sino al suo ultimo giorno, raccomandò a tutti di sedersi.

Sin da secoli ha raccomandato ogni insegnante la postura del loto quanto quella migliore per la pratica di zazen.

Diffatti, consente di mantenere la schiena dritta, dalla coccige al cranio, la colonna vertebrale adoperando la forma ad Esse che si può osservare in ogni disegno anatomico; Quando ci si trova in quella postura, il respiro si effettua calmamente e naturalmente, e il tempo può passare senza che ci si addormenta o si innervosisca.

Eric Rommeluère menziona un piccolo libro intitolato Zen Buddhist English Sutras, pubblicato nel 1948 dalla Hawaii Soto Mission Association, ove, nella parte dedicata alle spiegazioni su di zazen, che fu dapprima scritta in giapponese dal reverendo Kurebayashi, professore di buddhismo zen all'università buddhista di Komazawa e distribuita dall'amministrazione della scuola Sôtô (non era dunque un opera diretta agli occidentali), si possono legere queste linee : 'In tutti i libri sullo Zen, vi si trova un passo : "Zazen è una pratica agevole e confortevole del Buddha-dharma.' [a secondo il Fukanzazengi di Dôgen] Non ci si deve adire in tal modo che induca un dolore fisico. Se lo si fa in forza, col sopportare il dolore, non può essere una pratica agevole, ma una specie di auto-mortificazione."

Quel tipo di affermazioni può facilmente lasciar perplessi coloro i quali hanno un'esperienza del tutto diversa. Si veda peraltro lo scambio messo in linea da Eric Rommeluère a quel proposito, nel drittofilo del suo articolo sul dolore e il suo "gestire", ed è assolutamente complementare a quanto segue. Clicca qui per legerlo. La conclusione logica è che bisogna sciogliere le membra per render ciò possibile. Più metodi sono possibili, e gli si può combinare a secondo i bisogni. 

Zazen è un "asana", una postura, di yoga. Za sta per seduto, ma anche per raduno. Zen proviene dal sanscrito Dhyâna che significa contemplazione. E' la pratica essenziale del Buddhismo Zen, poiché è attraverso essa che lo "zenista" cerca di attualizzare l'insegnamento, una pratica di unificazione con l'Universo.

Se ti si insegna una tecnica, checchesia, la potrai imparare in una sala di classe, o un laboratorio. Se la impari in classe, avrai un pò di difficoltà a metterla in pratica naturalmente, senza sforzo. Se la impari sul posto, in laboratorio, si può che non potrai superare la semplice pratica ordinaria. La Via di Mezzo, ancora una volta, ti consente di congiungere ambe due. Impari la teoria, poi la metti in pratica, e se la tua pratica non è efficiente, sarà ossia che la teoria era sbagliata, ovvero (quello più frequente) che era stata capita male, e sopratutto integrata male.

Quella del buddhismo è quindi il sedersi. Ci sono due o tre modi soli di sedersi, e tutti consistono a sedersi per terra, a gambe incrociate, la schiena ritta. Le differenze sono : ossia ci s'incrociano le gambe in loto, ossia a mezzo-loto, ossia a mo' dei Birmani. Ma in ogni caso, quelle risultano difficili per corpi abituati alle sedie.

Gli esercizi descritti nelle pagine precedenti, ivi inclusi gli esercizi di respirazione, sono destinati ad aiutarti ad ottenere l'agevolezza che ti permetterà di praticare zazen in quanto "porta pacata e gioisa del Dharma" che descrive maestro Dogen. Se gli pratichi con regolarità ed auto-disciplina, senza languire per i risultati, finirai per osservare che la tua pratica di zazen è quanto più agevole.

Eppure, bisogna mettere ognuno in guardia. Non confondere quelli esercizi di scioglimento con la pratica di zazen, completamente diversa. Perciò, quando, nel corso della meditazione, il flusso continuo dei pensieri disordinati ti distrae, tenti alle regole che seguono, quali ci sono state trasmesse dal maestro Kodo Sawaki al maestro Nishijima, e sino a noi :

1) Mantieni verticale la parte bassa della colonna vertebrale.
2) Mantieni tanto verticali quanto possibile la schiena, il collo e la testa.
3) Tieni il mento in giù e tirato indietro, di modo di allungare la nuca.
4) Di conseguenza, i tuoi occhi devono guardare giù ad un angolo di 45 gradi.

Quando osservi che ti sei fatto trascinare dai pensieri, verifica la tua postura, e guarda il muro davanti a te in modo chiaro e concreto. In quelli momenti di distrazione, si può osservare un irrigidirsi delle spalle ed un rilassamento della postura. Rilassa le spalle e raddrizzati. Dovrebbe bastare.

Pur proponendo alcune scuole di concentrarsi sul respiro, noi raccomendiamo di non farlo, perché sarebbe una forma di considerazione e di pensiero. Invece, mentre stai praticando zazen, basta seguire queste istruzioni. Dovresti constatare, nel caso in cui facevi altrimenti, quanto più efficienti sono.



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